INTERVISTA
Il bambino «muto»
Parla Egle Becchi, docente di
pedagogia all'università di Pavia
ARIANNA DI GENOVA
Ha tutta l'aria di un blitz l'accelerazione estiva promessa
da Letizia Moratti per introdurre l'anticipo dell'ingresso nella scuola materna
ed elementare a partire da settembre prossimo. La ministra ha anche trovato il
modo di aggirare il parlamento: sperimentare la riforma per decreto. Quando?
Subito, sotto l'ombrellone. In spiaggia, insegnanti e famiglie potranno decidere
cosa fare di quel figlio nato a marzo o gennaio, fuori misura di calendario
scolastico. La «fretta» di Moratti preoccupa l'opposizione e anche gli esperti.
Egle Becchi, docente di pedagogia e storia della pedagogia a Pavia, da anni ha
incentrato i suoi studi sull'educazione della prima e primissima età (ha curato,
tra gli altri, il Manuale della scuola del bambino dai tre ai sei anni ed
è autrice de La storia dell'infanzia, Laterza 1996). «L'ingresso
anticipato nella scuola - spiega - non è un male in sé. La domanda da porsi è
un'altra: dove mandiamo i nostri figli? A quali condizioni? La sperimentazione
di cui parla Moratti non c'è mai stata. Certo, è demagogica, le famiglie magari
saranno anche contente... La verità è che si vogliono tagliare i costi degli
asili nido e far vincere l'idea di una scuola-parcheggio dove un bambino può
entrare anche a due anni ma senza nessuna preparazione né degli adulti né del
piccolo in questione».
Qual è il rischio maggiore di questa riforma?
Può avere serie conseguenze, cancellare l'eccellenza pedagogica che ha
caratterizzato in Italia la fascia d'età 0/3 e «uccidere» del tutto gli asili
nido. Si accorcia l'iter scolastico risparmiando proprio sulla fascia più
fragile. I bambini qui diventano materia di contrattazione economica. È un modo
come un altro per sottrarre soldi al pubblico, come sta avvenendo con la sanità.
Ma cosa manca alla proposta di Moratti per essere «seria»?
Mancano le condizioni, quelle fattuali, oggettive, non c'è chiarezza nei
termini, le circostanze sono oscure. Una sperimentazione, per sua natura, va
pensata e provata. Se questo non avviene, il pedagogista si ribella.
Probabilmente poi il tutto avverrebbe prevedendo ulteriori tagli al personale e
non il contrario. È una mossa di uno stato ridotto in condizioni di povertà
sociale. Il rapporto numerico per una buona materna è di 1 adulto per 8 bambini.
Si rispetterebbe questo principio? e come se non si hanno finanziamenti né
risorse aggiuntive? Una riforma gestita così diventa soltanto un episodio che si
attua sulla pelle di soggetti «ignoti».
Che significa per un bimbo/a di due anni entrare a scuola a due anni?
Tante cose diverse. Innanzitutto dimentichiamo che oggi la maggior parte dei
bambini sono figli unici, quindi non hanno avuto esperienza di socializzazione
prima del loro ingresso nella scuola. D'improvviso, il piccolo, ipercoccolato in
famiglia, deve vedersela sia con adulti/insegnanti che con i suoi coetanei.
Inoltre si troverebbe, lui di due anni a convivere con uno di cinque, il che può
dar vita a forme di affidamento interno, ad una ibridazione di rapporti ma anche
questo è qualcosa di importante, da sperimentare prima.
E dal punto di vista pedagogico?
Si torna alla vecchia idea che il bambino non è individuabile, è solo una folla.
Oltretutto: è stata ascoltata la scuola? ci sono insegnanti pronti ad interagire
con piccoli di due anni con esigenze totalmente diverse da quelli di tre o
cinque?
testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 1 agosto 2002