L'educazione? Questione di stile
di Vittorino Andreoli
«Si può essere rigidi o lassisti, ma la follia maggiore della formazione è di non avere una linea coerente Non esiste orientamento senza censura, cioè senza scelte precise e anche divieti: perché la libertà si esercita entro regole date»
L'educazione non è mai
improvvisazione e nemmeno empirismo estremo, per questo deve avere una linea
d'azione e quindi una coerenza, che chiamiamo stile. Un termine che
s'allontana dal rigidismo impositivo e dal lassismo totale, dal laissez faire.
Già queste affermazioni potrebbero trovare qualche resistenza e certo
l'avrebbero trovata, in maniera forte, in epoche passate. Per il positivismo,
per esempio, il comportamento è un riflesso deterministico del cervello, per
cui, data quella conformazione, segue un'azione: se il cervello è da delinquente
nato, si ha un agire delinquenziale. Un tale individuo va riconosciuto e
controllato per sempre, in luoghi perenni, il carcere. Analogamente per un
cervello folle, che richiedeva il manicomio a vita. In una simile concezione il
termine stesso di educazione ha un significato esclusivamente individuale e la
società conta poco; l'educazione si riduce a imposizioni e a punizioni. Non
molto diversa, sempre in una descrizione schematica, è la visione di Jean
Jacques Rousseau: qui il singolo è buono ed è la società a rovinarlo. Pertanto
si deve provvedere ad un'organizzazione sociale tale da non alterare ciò che
spontaneamente porterebbe al buon bambino, al buon giovane di una città
avanzata, ma anche al buon selvaggio. Noi rifiutiamo oggi queste visioni, nella
certezza che il risultato del comportamento emerga dall'incontro tra il singolo
e la società, e che quindi il vero nodo dell'educazione sia la relazione tra il
singolo e gli altri.
Per singolo, poi, intendiamo un insieme dato dalla sua costituzione biologica,
geni e conformazione cerebrale, ma anche dalle esperienze che cominciano dal
primo giorno di vita, e persino nell'ultima parte della gravidanza. Insomma, per
quanto sia importante la biologia, non è determinante, immodificabile e fatale,
ma è un substrato, un terreno su cui agiranno gli incontri con la società. Ecco
l'altro termine da chiarire per non farne un'entità astratta. La società è
l'insieme delle persone e delle istituzioni (gruppi e idee) che si mettono in
rapporto con il singolo. Ogni relazione ha un riflesso
comportamentale e dunque una valenza educativa. Negli ultimi due o
tre decenni si è fatta una delle scoperte più grandi nella storia del cervello.
Si è dimostrato che una sua parte è plastica ed è in
grado di modificarsi e strutturarsi a seguito di un'esperienza. Un
cervello ben lontano dall'idea che avevano i positivisti nella seconda metà
dell'Ottocento, espressa nei termini di un homme machine e di un orologio
precisamente programmato, non modificabile a meno di non rompersi. La scoperta
del cervello plastico muta la dimensione dei processi educativi. In qualche modo
il nostro cervello è il risultato di tutta la storia passata, segnata nei geni,
ma è anche una stazione per recepire il presente attraverso le modificazioni
plastiche cui va incontro. Ed è straordinario che sia capace persino di
immaginare un futuro possibile. La biologia non è più chiusa dentro il
determinismo, oggi si è aperta e molti parlano persino di biologia della
libertà. L'incontro tra un bambino e la propria madre diventa educativo nel
senso di un'esperienza che cambia persino la struttura del corpo. Se è vero che
gli stili educativi possono essere folli, tuttavia la
follia più grande di un'educazione è di non avere alcun stile, di ridursi a una
sorta d'improvvisazione, senza regole, senza controlli e verifiche.
Senza stile vuol dire anche senza coerenza ed ecco il punto essenziale.
Coerenza significa che sempre di fronte alla stessa
azione, allo stesso comportamento, l'educatore deve rispondere in maniera
identica. È l'unica modalità ; per poter indirizzare. Se ciò che oggi
va bene, domani inspiegabilmente è proibito, l'educando capisce che non c'è
regola e che tutto dev'essere legato ad uno sperimentalismo estremo, del tipo
stimolo/risposta. Allo stimolo darò una risposta qualunque e poi constaterò il
risultato, senza tenere conto di regole o leggi.
Se una madre o un padre sono incostanti nelle risposte alle richieste o ai
comportamenti di un figlio, non si potrà nemmeno parlare di stile. E così se vi
è un'opposizione all'interno della coppia in termini di educazione. Poiché oggi
le azioni educative si sono allargate ben oltre la famiglia, per coinvolgere la
scuola e gli organi che si chiamano d'informazione di massa,
proprio per la mancanza di qualsiasi coerenza
si delinea la difficoltà di fornire ai giovani uno
stile educativo. Già da queste considerazioni si capisce quanto
difficile sia proporre uno stile, e dunque una coerenza, e nello stesso tempo
risalta come l'educazione sia sfuggita dalle mani della famiglia o di
un'organizzazione principale a cui la famiglia la delegava. Una considerazione
che serve a mostrare il dramma dell'educazione nel tempo presente, per altri
versi straordinario. Uno spettro sembra profilarsi in queste ultime annotazioni,
quello censorio, che fa alzare scudi e anatemi violenti.
Occorre essere precisi: uno stile educativo è una scelta
di criteri, di principi e di scopi da raggiungere. Non è dunque
possibile pensare a un'educazione senza censura,
e uso provocatoriamente questa parola. Non è possibile un'educazione senza
genitori coerenti, senza una scuola definita, che non può essere tutto e il suo
contrario e in aggiunta con una televisione capace di azzerare o contrastare
sforzi di famiglie e istituzioni educative. Non si dà educazione senza scelte,
che vuol dire esclusione e che quindi significa anche
vietare. Il sistema educativo del «tutto è buono» ha segnato in
Italia la reazione al fascismo, doverosa, ma si è
naufragati nella paura di orientare. Sono convinto che all'interno di
un sistema educativo i termini «ammesso» ed «escluso», «buono» e «cattivo»
debbano avere accesso proprio per coerenza con lo stile.
TESTO INTEGRALE TRATTO DA "Avvenire" - 6 agosto 2002