Se tutti
vivessero come gli occidentali
LA TRAPPOLA
DEI CONSUMI
di Alberto Ronchey
Malgrado le ansie paralizzanti propagate dal terrorismo
di Al Qaeda l’11 settembre d’un anno fa, in questi mesi estivi s’è visto il
ritorno alla congestione internazionale del traffico aereo. E malgrado gli
allarmi sui disastri ambientali dovuti all’iperconsumo energetico, s’è visto
il consueto spettacolo delle infinite colonne di automezzi per ogni esodo e
controesodo, insieme con la frenetica ronda stagionale dei motoscafi d’ogni
stazza vaganti fra baie usate come aree di parcheggio e il mare percorso
come un’immane autostrada senza corsie. Ma è solo qualche aspetto del
persistente dispendio energetico, anche se altri consumi hanno subìto un
calo a causa dell’inflazione o della Borsa. Poi, con la ripresa lavorativa
dell’autunno, si replica ogni mattina la ressa degli automezzi che da ogni
direzione investono e assediano le città, già ingorgate dal traffico e
soffocate dall’inquinamento. Sulle quattro ruote, di preferenza, ognuno
viaggia solo. Poiché ogni bene scarso, com’è lo spazio delle strade urbane,
fa venire in mente che la sua disponibilità sia regolabile da un prezzo, in
qualche metropoli occidentale ora s’impone un road pricing . Già dal
’75, Singapore anticipava simili esperienze prescrivendo un pedaggio a
chiunque volesse accedere in quella megalopoli guidando una vettura con meno
di quattro viaggiatori. Ma in Italia il car pool , ossia l’uso
consortile dell’auto, urta contro agguerrite repulsioni.
Se già è difficile ogni correzione di usi e costumi acquisiti nella mobilità
di massa, più arduo appare qualsiasi tentativo di ridurre l’iperconsumo
d’elettricità, che brucia sempre più petrolio e altri combustibili fossili
avvelenando ecosfera e atmosfera. È almeno prevedibile, per i prossimi
tempi, una tecnologia più compatibile con l’ecologia? Si aspetta, chissà
fino a quando, la sostituzione dei carburanti con i sistemi di trazione
all’idrogeno senza più scarichi di gas, mentre la produzione di elettricità
nucleare incontra non solo fobici sospetti, ma la difficoltà di smaltire
oltre certi limiti le scorie radioattive. La tecnologia dovrebbe darsi un
poco più da fare, almeno su questioni superabili.
Eppure, in generale, quanto a lungo potrà continuare la produzione di
beni e servizi moltiplicata con i ritmi degli ultimi decenni? È la
domanda che l’ Earth Summit di Johannesburg ha rivolto agli
occidentali, anche se nessuno conosce la risposta. Moderare i consumi del
pop hedonism dominante nelle società industriali, e i costumi d’ogni
traffic-jam democracy , non è certo più facile che limitare le nascite
nel mondo superpopolato e sottosviluppato. L’ostacolo non è solo nella
«rivoluzione dei diritti e delle aspettative crescenti», ma nella dinamica
stessa d’ogni economia che deve accrescere ogni anno il prodotto lordo per
garantire salari, profitti, investimenti, occupazione.
L’assillo della nostra epoca, sia per il mondo dell’iperconsumo sia per
quello dell’iperpopolazione, rimane l’insostenibilità dell’accrescimento
illimitato (bisogni economici e proliferazione umana) in presenza di fattori
limitanti (risorse di natura non rinnovabili e spazi vivibili nell’ambito
dell’ecosistema). Per ora, superare la contraddizione fondamentale si può
solo a parole, anche se descriverla è necessario per la conoscenza o
coscienza collettiva.
Il presidente sudafricano, Thabo Mbeki, ha riassunto così lo stato
del mondo attuale: « Se
ogni cinese dovesse consumare la stessa quantità di benzina d’ogni
americano, la Cina avrebbe bisogno dell’intera produzione mondiale di
greggio».
Riguardo poi
alla società italiana, che pure non è la più esosa nell’iperconsumo e
spericolata nella devastazione ambientale, uno scienziato del progetto
Redifining progress , Mathis Wackernagel, ci avverte:
«Se tutti vivessero come gli italiani, avremmo bisogno di due pianeti o
anche più».
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