«Costruiamo la pace per lo sviluppo»
Le associazioni cattoliche non si rassegnano all'azione militare in Iraq
e si movimentano
di MIMMO DE CILLIS*
Mentre il papa, i vescovi, la diplomazia della Santa Sede sono impegnati a tutto campo nell'azione politica e di influenza sull'opinione pubblica per scongiurare un guerra all'Iraq, la società civile cattolica non vuol essere da meno: sembra essersi risvegliata, tuffandosi in un movimentismo che non appariva dai tempi del G8 di Genova. Che la Chiesa italiana abbia preso una posizione diversa rispetto a quella del Governo sull'intervento armato in Iraq, è ormai chiaro: il no alla guerra è stato ribadito ieri a conclusione dei lavori della Cei da monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza episcopale, che ha illustrato il documento finale del Consiglio permanente. La via suggerita è quella di «un'opera di dissuasione e rimozione delle cause che creano un contesto favorevole sia alle guerre che allo sviluppo del terrorismo». Tra queste ultime c'è «la tragica situazione in Terra Santa, che va risolta in qualche modo al più presto». Dopo aver sottolineato la posizione unanime espressa dai vescovi italiani a proposito delle parole pronunciate dal cardinale Camillo Ruini, Betori ha ribadito che la «guerra preventiva avrebbe costi umani altissimi ed effetti destabilizzanti che non portano a nulla». Una bocciatura per la linea di Berlusconi, sempre più schiacciata su posizioni della Casa Bianca.
Ai vescovi hanno fatto eco i cattolici di numerose associazioni che hanno pubblicato un «Manifesto contro la guerra», in cui i movimenti affermano di non volersi rassegnare all'inevitabilità dell'azione militare. Affrontando i temi della pace e della globalizzazione, l'associazionismo cattolico italiano ha convenuto sulla necessità di ritrovare una posizione comune e rilanciare l'unità. Nel documento «La pace, condizione essenziale per lo sviluppo globale», insieme all'imperativo morale di «costruire la pace», si sottolinea la necessità di «un impegno come cittadini» per testimoniare i valori cristiani in ogni ambito di vita. Al tempo stesso, il testo afferma la necessità di partecipare come singoli e associazioni a iniziative per la tutela della pace, per la promozione della persona, per sostenere la battaglia per la riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo, per combattere ogni tipo di povertà e anche per diffondere un consumo e un risparmio «socialmente responsabile». Del messaggio si è fatto portavoce Luigi Bobba, presidente delle Acli, e fra i leader di un cartello che raccoglie oltre 60 associazioni, da Azione Cattolica, ai Focolarini, Pax Christi, Comunità di Sant'Egidio, Mani Tese, Agesci, fino alla Compagnia delle Opere.
«La ritrovata unità è un segnale positivo», ha commentato. «La chiara scelta del no alla guerra preventiva conferma orientamenti già maturati a Genova e consolidati durante quest'anno. Su temi come globalizzazione pace, diritti umani, sviluppo, i cattolici ci sono, vogliono essere visibili e presenti, e sono in grado di farsi sentire». Secondo Bobba questa posizione avrà una sua consistenza anche in sede politica: «Il governo deve avere tre punti fermi: non sganciarsi dalle decisioni dell'Onu; non compromettere la soggettività politica dell'Europa; ricercare sempre le vie del dialogo e della pace, in alternativa all'uso delle armi».
«E' un importante punto di partenza comune sui grandi temi dell' uomo di oggi, pur nella diversità delle sigle», afferma Tonio dell'Olio di Pax Christi, che ieri ha accolto il nuovo presidente, il vescovo Valentinetti, che alcuni già chiamano «il nuovo don Tonino Bello». Dell'Olio nota come «un laicato cattolico compatto acquista più forza e autonomia di denuncia» e auspica un'apertura alla società civile, con l'adesione al Social Forum europeo.
*Lettera 22
testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 25 settembre 2002