PROPOSTA PER RENDERE UTILE IL VERTICE DI JOHANNESBURG

 SULLE POVERTÀ DEL PIANETA


Un’agenzia per dare la sveglia al mondo

di Giulietto Chiesa

IL «Vertice della Terra» di Rio de Janeiro, si tenne nel clima di euforia che ci ha tenuti svegli, come drogati, per i dieci anni successivi. Si delineò una situazione grave per il nostro pianeta. Si presero impegni solenni. Da allora il Pil dei paesi ricchi è cresciuto di circa 10.000 miliardi di dollari, ma 1,2 miliardi di persone vivono ancora con meno di un dollaro al giorno. Ci siamo detti che la ricchezza, in fondo, cresceva per tutti. Michel Camdessus (che è stato in quegli anni il numero uno del Fondo Monetario Internazionale) arrivò a dire: «diventiamo più ricchi, così potremo aiutare i più poveri». Mentiva.

Oggi ci sono 80 paesi che hanno un reddito pro-capite inferiore a quello del 1992.

L'aiuto dei paesi ricchi ai più poveri è diminuito: dallo 0,35% del Pil dell'inizio anni '90, allo 0,22% dell'anno 2000.

Il Segretario Generale dell'Onu, Kofi Annan, denuncia tre drammatici punti irrisolti, anzi ancora più gravi di allora:

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non esiste una politica internazionale che affronti la sfida della povertà;

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l'ambiente è gravemente minacciato tanto da insostenibili ritmi di produzione che di consumo;

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e, come detto, l'aiuto internazionale è non soltanto insufficiente, ma declinante.

Siamo alla vigilia di un altro «Vertice della Terra», quello che comincerà il 26 agosto a Johannesburg. L'euforia di allora è svanita. Il mondo intero, gli Stati Uniti d'America in primo luogo, sono in recessione. La crisi economica sta investendo le economie ricche, una dietro l'altra. L'ottimismo è finito, la ripresa è lontana e incerta.

E la situazione del pianeta è di gran lunga più grave di quanto non fosse dieci anni fa.

I lavori preparatori di Johannesburg sono approdati a un nulla di fatto. Gli Stati Uniti non hanno neppure mandato un loro rappresentante all'incontro finale di Bali.

La comunità mondiale è ferma di fronte alla catastrofe ecologica e sociale.

Il che equivale a riconoscere che siamo tutti di fronte a un impressionante deficit di leadership. Un evento che non ha precedenti - come molte altre cose che accadono di questi tempi - nella storia umana. Siamo fermi a discutere della ripresa, della ripresina, e quasi nessuno si pone la questione più importante: ma anche nell'ipotesi che la ripresina venisse, come fare fronte ai suoi effetti devastanti sulla nostra vita e su quella delle generazioni che verranno? Mi chiedo cosa occorra ancora per dare la sveglia agli organizzatori del nostro (ma anche del loro) futuro. Che abbiano clamorosamente sbagliato tutti i calcoli è ormai accertato. Che perseverino ottusamente nello stesso errore, a spese della collettività umana, è faccenda che dovremmo sottoporre a un vaglio collettivo.

Non è facile, perché non ci sono strumenti, nemmeno culturali, da usare nell'immediato. E non è facile perché il sistema mediatico (così come quello degli esperti economici) ha finito in questi anni per svolgere la funzione di pubbliche relazioni per i grandi potentati economici, invece che quella di esercitare le funzioni critiche che gli sarebbero proprie. E questo pone, mi sembra, un compito di rapido risanamento. Ma ci vuole molto di più. Bisogna porre mano all'agenda dei problemi di Johannesburg individuando le priorità a seconda dell'urgenza. Chi deve farlo? Io credo che sia inutile attendersi soluzioni e metodologie dai governi (salvo eccezioni) e dalle agenzie internazionali esistenti. Gli uni e le altre sono bloccate dai meccanismi obsoleti delle diplomazie, dei veti incrociati, dei compromessi e dei ricatti.

L'unica via realistica è quella di unire gli sforzi dei circoli più aperti della politica e del business internazionale, delle organizzazioni non governative, della comunità scientifica e culturale per creare dei «luoghi» adeguati dove sia possibile non solo esaminare le cifre reali, e, quindi, individuare l'agenda dei problemi più gravi e immediati, senza dover tenere conto delle pressioni interessate delle lobby (di quelli che credono ancora di essere i più furbi solo perché sono i più potenti). Questi «luoghi» dovranno avere un elevato carattere interdisciplinare, perché le decisioni richieste implicano un alto grado di complessità. Non saranno luoghi di decisione, poiché non avranno i poteri per rendere vincolanti le loro conclusioni, ma dovranno avere un'alta e riconosciuta universalmente autorità morale.

Da Johannesburg, più che ulteriori denunce e allarmi, dovremmo esigere l'individuazione preliminare di questa agenda delle priorità e un censimento delle forze e dei mezzi finanziari per creare questo tipo di agenzie, di «authorities morali» su scala planetaria, in cui far confluire politici in funzione, ex leader di provata autorità, scienziati, personalità della cultura, esponenti religiosi, uomini d'affari con ampiezza di vedute più larga dei confini delle Borse Valori. È da queste «agenzie per l'emergenza», anche se non dotate dei poteri necessari per imporre le decisioni alla collettività internazionale, che si potranno attingere metodologie e indirizzi da attuare.

Ciò servirà ai deboli che non hanno i mezzi e il know-how per attuarle e ai forti che hanno i mezzi e il know-how, ma non la volontà di attuarle e il coraggio di affrontare il loro corpo elettorale dicendogli la verità sullo stato del pianeta. S'intende che la più grande e la prima «agenzia dell'emergenza» dovrebbe diventare il sistema mediatico internazionale. Esso è corresponsabile, nel suo complesso, dello stato di cose presente.

Da esso, in primo luogo, deve e può venire l'aiuto a far comprendere la verità a larghe masse di opinione pubblica. Certo è che se non si supererà la logica, che fu di Ronald Reagan, e che rimane di George W.Bush, secondo cui «il tenore di vita del popolo americano non è negoziabile» (logica che è ancora di tutti i paesi ricchi), allora non si farà nulla di tutto questo. La mano nascosta del mercato non ha funzionato nemmeno per Wall Street, che pure ha potuto torcerla a suo piacimento in questi ultimi vent'anni anni. Stiamo ad aspettare se funzionerà con la Natura?

                                           testo integrale tratto da "La Stampa" - 21 agosto 2002