LIbertà e sicurezza negli Usa

La paura mangia le anime

di Barbara Spinelli

COMINCIATA dopo l’11 settembre, la guerra contro il terrore sta mutando i nostri costumi, le nostre abitudini morali, e perfino quella che Leopardi chiamava conversazione cittadina, per distinguerla dallo scontro prepolitico fra uomini che è basato sulla calunnia, l’invidia, lo spregio settario del diverso. La paura del crimine e l’ansia della sicurezza sono diventate passioni cruciali: costantemente attizzate, non più governate soltanto da agenzie specializzate o da organi regolari della giustizia. L’intera società è mobilitata, come accade nelle guerre totali, e il cittadino è guardato a vista non solo dal poliziotto, dal giudice, o magari dall’ispettore fiscale. L’occhio che lo spia è ormai quello di ciascun passante, come vorrebbe un disegno di legge proposto negli Stati Uniti dal ministro della Giustizia John Ashcroft.

Milioni di cittadini sono invitati a vigilare sul vicino di casa, sui suoi atti sospetti, sui suoi gesti «inusuali». Il quartiere stesso e la società in quanto tale sono chiamati a divenire «l’occhio e l’orecchio che rintraccia il pericolo in nome della patria», dicono i fautori dell’iniziativa. L’indignazione delle associazioni per le libertà civili è tale che perfino i repubblicani nella Camera dei deputati si sono sentiti nell’obbligo di fare marcia indietro, nei giorni scorsi. Chiamato Tips, il Programma di informazione e prevenzione contro il terrorismo è uno strano fantasma, che si aggira nell’America e che potrebbe un giorno aggirarsi anche nei nostri paesi. E’ il fantasma di una società che resta democratica pur munendosi del vizio più umiliante dei rapporti personali: la delazione. I senatori americani si sono per il momento ribellati ma il progetto non è ancora stato abbandonato, e già il governo ha predisposto siti Internet in cui fa appello al civismo delle comunità, delle famiglie.

I prestatori di servizi a domicilio sono incitati, in blocco, a denunciare comportamenti poco raccomandabili: dal lattaio al postino, dall’idraulico all’impiegato incaricato di verificare un contatore. Tutto è sotto gli occhi di tutti, come già avveniva nelle società totalitarie e nelle case comunitarie dei tempi sovietici. C’è chi denuncia quest’ultima mossa dell’amministrazione Bush ricordando i servizi segreti della Germania comunista (la Stasi che lacerò famiglie, affetti, amicizie di una vita). C’è chi cita Orwell e il Grande Fratello. In ogni caso siamo di fronte all’emergere di un nuovo tipo di società, fondata sulla diffidenza reciproca anziché sulla fiducia e il contratto.

Una società che sull’altare della sicurezza sacrifica le libertà del singolo individuo e il suo diritto alla vita privata.

La paura sta prendendo il posto del mito dell’uguaglianza assoluta, nelle menti dei cittadini e di tanti loro rappresentanti. E’ refrattaria anch’essa alle differenze fra individui, e al conflitto che è la stoffa delle democrazie: ha lo stesso effetto uniformante, livellatore. La paura mangia le anime delle nostre società liberali: proprio come nel profetico film di Fassbinder (Angst Essen Seele Auf) uscito negli Anni Settanta quando ebbe inizio ­ secondo gli studiosi di criminologia ­ quella forma di collettiva gestione del crimine denominata Società Penale. Una società che governa e previene autonomamente il delitto, senza più la mediazione del magistrato o del guardiano dell'ordine. Che non corregge più le deviazioni sociali né le riforma, ma si limita a reprimerle e allontanarle dalla vista. Ancora una volta è la libertà a patirne, come nell’epoca in cui l’uguaglianza si trasformò in rigido dogma. A questa perdita del monopolio sull’anti-crimine viene dato il nome di controllo sociale, e di mobilitazione patriottica nella guerra al terrorismo.

Ma come spesso accade quando le virtù straripano, è il loro contrario che si instaura. Un dispotismo virtuoso sale sul trono, e con la sua forza rivoluzionaria infrange i fondamenti veri della morale: morale fondata sull’esperienza, e sugli usi e costumi che nascono da tradizioni. Lattai e postini sono figure classiche di tale tradizione, in America: sono l’emblema della sua vocazione a stringere con il vicino o con il visitatore occasionale relazioni superficiali, e tuttavia caratterizzate dall’amabilità se non dall’amicizia. E’ quest’antico habitus che le destre liberiste infrangono, rubando alle sinistre il fondamentalismo giacobino dello Stato che controlla tutto e tutti. Lo Stato che entra in casa e ti spia, attraverso controllori reclutati da appositi comitati cittadini: i Citizen Corps proposti da Ashcroft, così somiglianti alle parrocchie d’un tempo. Il liberismo di Bush è legato a forme simili di integralismo cristiano, assai più che allo spirito libertario pur sempre presente nel partito repubblicano.

Gli europei seguono con fatica, perché i loro costumi sono differenti. Il controllo esercitato in diretta dai quartieri è più timido che in Inghilterra o America. E lo Stato ha ancora il monopolio del controllo sociale sulla criminalità, anche se tende a perderlo con l’estendersi delle associazioni cittadine e lo spalancarsi ripetuto dell’occhio televisivo. Nel 1996-1997, la Francia insorse spaventata quando il governo Juppé propose una legge che invitava i cittadini alla delazione nei confronti degli immigranti clandestini. Chiunque ospitasse in casa un immigrato senza carta di soggiorno, era invitato a segnalarlo al commissariato. Si inalberarono gli intellettuali, che assieme alle associazioni scesero in piazza manifestando a due riprese, nel febbraio e marzo ‘97. Juppé dovette in gran fretta ritirare un dispositivo che era stato paragonato alle leggi concepite per il controllo degli ebrei, nella Repubblica di Vichy. Sicurezza e libertà entrano in conflitto quando ci sono conflitti militari, ed è uno sviluppo che ha la sua logica: ogni battaglia è esigente verso l’individuo, e l’efficacia del patriottismo è anche a questo prezzo.

Ma le guerre in cui oggi siamo immersi sono radicalmente diverse da quelle che hanno conosciuto l’America o l’Europa, nei secoli scorsi. La guerra contro le centrali del terrore è non solo mondiale, ma permanente. La prima operazione in Afghanistan fu battezzata giustizia infinita, e quell’aggettivo ­ «infinito» ­ non sembra ancora esser pensato con profondità. Le guerre infinite stravolgono le libertà per una durata egualmente incommensurabile, dunque insidiosamente vaga. Le democrazie cambiano, e il contrasto con i totalitarismi si stempera. Lo si vede anche nella lotta vera e propria al terrore. I metodi di Putin in Cecenia e quelli del regime cinese verso i separatisti musulmani dello Xinjiang non dovrebbero esser assimilati ai metodi bellici dell’Occidente, nei combattimenti contro i nemici veri o presunti dell’ordine.

Eppure queste differenze vengono ormai sistematicamente trascurate, occultate. A partire dagli attentati contro le Torri tutte le guerre sono legittimate: anche la ferocia distruttrice contro gli inermi musulmani nel Caucaso. Secondo il criminologo David Garland, è qui il pericolo che si nasconde in un controllo sociale esasperato, che perde il senso del limite e diviene hybris (D. Garland, The culture of control, Oxford 2001). La «cultura del controllo» e la Società Penale si sostituiscono al vecchio sistema di correzione e prevenzione del crimine, affidato a poliziotti o magistrati che agiscono al riparo dalle telecamere e dalla politica.

La paura del delitto domina i sentimenti dei cittadini, e per fronteggiarla si privatizzano le professioni di controllo, si aboliscono o si denaturano gli organi intermedi, e si stabilisce per questa via una connessione diretta tra Stato e individui.

E’ una singolare privatizzazione della violenza, quella che di fatto esalta lo Stato tutore, onnipresente.

Una privatizzazione che scommette sui vizi dell’uomo, molto più che sulle sue virtù. «Sempre più si restringono gli orizzonti di amabilità, nell’appena spuntato terzo millennio», hanno scritto su questo giornale Carlo Fruttero e Franco Lucentini, evocando la figura del lattaio nel cinema americano. Ma non è solo l’amabilità a esser minacciata. E’ attorno al segreto d’ogni individuo che si stringe un nuovo cerchio. Un segreto senza il quale non esiste ­ neppure in democrazia ­ né uomo amabile, né uomo libero.

                                        testo integrale tratto da "LA STAMPA" - 21 luglio 2002