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«Causerà un terremoto giudiziario»
Il procuratore Grasso: effetti devastanti su Cosa Nostra
PALERMO – Provocherà un «terremoto giudiziario in tutta la Sicilia» il pentimento di Nino Giuffré, il capo del mandamento mafioso di Caccamo, che finora ha portato a 28 arresti, 13 ieri e 15 la scorsa settimana. Ne sono convinti il procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Grasso, l'aggiunto Sergio Lari e i sostituti Lia Savo e Michele Prestipino che da due mesi verbalizzano le sue dichiarazioni mentre i carabinieri di Palermo e Termini Imerese le verificano punto per punto anche sulla base delle indagini antimafia che da due anni a questa parte svolgono nella zona del Termitano e delle Basse Madonie.
E se il procuratore Grasso parla di «terremoto giudiziario» vuol dire che avrà le sue buone ragioni per affermarlo, anche se non si riesce a strappargli una parola in più a proposito dei referenti politici e imprenditoriali del numero 2 di Cosa nostra, del braccio destro di Bernardo Provenzano. Il procuratore glissa, svicola, fa intendere - senza dirlo - che è ancora troppo presto per alzare il tiro a proposito di politici o elezioni oppure pubblici amministratori e magistrati amici. Ma cita più volte Giovanni Falcone quasi volesse ricordare a tutti quello che ripeteva sempre il giudice assassinato: «Nelle inchieste antimafia bisogna partire dal basso e avere la pazienza di risalire tutta la piramide organizzativa sino al vertice senza fare l'errore di compiere dei salti investigativi che finiscono per compromettere tutto».
Dunque, il terremoto giudiziario ci sarà, ma seguendo le indicazioni e le raccomandazioni di Giovanni Falcone. E quindi a tempo debito, quando le rivelazioni di Giuffré a carico di politici, imprenditori e insospettabili fiancheggiatori saranno controllate e verificate secondo quello che prevedono le norme vigenti. È questa la strategia della Procura di Palermo. Quella del carciofo, foglia dopo foglia mentre vengono avvisate le Procure di altre città che “Manuzza” è disposto a parlare dei personaggi coinvolti nelle inchieste di cui sono titolari per competenza. Però di tempo ce n'è poco e a Nino Giuffré – aggiunge Grasso – si dovrà chiedere ancora tanto e questi 180 giorni che la legge prevede per esaurire le dichiarazioni dei collaboratori ci sembrano davvero pochi per scandagliare la mente di un uomo che ha immagazzinato tanti dati. La legge sui pentiti certamente non ci permette di spingerci oltre e di avere nuove collaborazioni. Nonostante questo, Giuffrè ha accettato di collaborare».
Il procuratore Grasso e gli altri magistrati della Dda di Palermo sanno che con Giuffrè pentito sarà possibile fare un buon lavoro. Ma sanno anche che bisognerà procedere con i piedi di piombo per evitare un “flop”. Soprattutto evitando che ci siano fughe di notizie su questo o quel politico. Di qui la scelta della riservatezza assoluta che ha permesso di tenere segreta per due mesi la collaborazione del boss che durante tutto il tempo degli interrogatori ha continuato a restare sottoposto al regime del 41 bis per non insospettire gli altri capimafia detenuti e quelli ancora latitanti.
Il pentimento di Giuffré provocherà un “terremoto” anche dentro Cosa Nostra e non solo perché ne scompaginerà l'organizzazione. «Con la decisione di collaborare con la giustizia - spiega Grasso - Giuffré riconosce il primato dello Stato rispetto a Cosa Nostra e la capacità delle istituzioni di vincere il confronto con la criminalità organizzata. La decisione di collaborare di un personaggio del suo calibro, ai vertici della mafia, indurrà a riflettere molti uomini d'onore e quindi possiamo affermare sin d'ora che questa inchiesta sarà di grande respiro e dagli sviluppi imprevedibili».
Forse non è un caso che il procuratore ammetta adesso, senza remore né titubanze e smentendo quanto sostenuto fino a ieri, che Giuffré sia stato catturato grazie ad una soffiata. «Non sappiamo chi ha telefonato ai carabinieri», dice ammiccando. Ma è come se dicesse: «Mafiosi, ricordatevi che se è stato tradito uno come Nino Giuffré, potrà esserlo chiunque di voi e quindi state attenti». Magistrati e inquirenti dicono di avere emesso le ordinanze di custodia cautelare dei giorni scorsi senza mai citare Nino Giuffré che ne aveva parlando e basandosi sulle indagini che svolgono nel Termitano da un biennio. E aggiungono che per la prima volta gli accertamenti compiuti trovano puntuale conferma nelle parole del nuovo pentito storico.
G. P.
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