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Omelia nel solenne Pontificale di S. Maria Nascentedi Carlo Maria Martini
Duomo, 8 settembre 2002 Avevamo sperato che questa festività dell'8 settembre, festa patronale del nostro Duomo, potesse essere già celebrata dal mio successore, Sua Eminenza il cardinale Dionigi Tettamanzi, iniziando così egli solennemente l'anno pastorale, come siamo stati soliti fare ogni anno. Tuttavia egli non ancora potuto rendersi disponibile per l'ingresso in diocesi, che farà il prossimo 29 settembre, e quindi tocca ancora a me, mentre esprimo con voi una preghiera per il mio successore, celebrare quest'oggi la Natività della beata vergine Maria. Ho così l'occasione non solo si elevare un ultimo canto a Maria in questo Duomo, ma anche di salutare ancora una volta tutti i fedeli, di dire una parola ai vicini e ai lontani. Saluto dunque ciascuno dei presenti, in particolare il Capitolo del Duomo e la Curia, i consacrati, i diaconi, i presbiteri, i vicari episcopali col Pro- Vicario Generale, i vescovi ausiliari col Vicario Generale, come pure l'arcivescovo Monsignor Pasquale Macchi, il vescovo Tresoldi e Mons. Armando Dini Arcivescovo di Campobasso, che ringrazio di cuore per questa presenza fraterna. Saluto cordialmente per un'ultima volta tutte le autorità civili e militari e tutte le istituzioni accademiche, scientifiche, culturali e caritative, di cui è ricca la nostra città. Vorrei esprimere a tutti il mio sincero ringraziamento per la leale e generosa collaborazione, per la grande benevolenza e per il paziente sostegno che mi è stato dato in questi ventidue anni. Ma vorrei specialmente ringraziare Dio in questo Tempio, nel quale tante volte lo abbiamo supplicato, anche in tempi di dure calamità, di lutti e di tragedie. Gli anni che abbiamo vissuto insieme sono stati pieni di incontri, di gioie e di fatiche, di angosce e di speranze e l'aiuto di Dio non ci è mai mancato. Vorrei ringraziare Dio per mezzo di Maria che dall'alto di questo Duomo ha sempre vegliato con amore su questa città e su questo territorio. Alla Madonnina sulla guglia più alta ho guardato spesso in questi anni dal terrazzo della mia abitazione affidando con speranza a lei me e ciascuno di voi. Di me posso dire che ho sempre avuto molto forte il senso dei miei limiti e che sono consapevole delle mie lacune e delle mie unilateralità. Ho sempre sentito come superiore alle mie forze il peso di così tante responsabilità. Per tutte le mie mancanze, omissioni e inadeguatezze chiedo perdono a tutti: ai credenti perché possa contare sulla loro intercessione nel giorno del giudizio, e anche a tutti i non credenti perché è importante poter far leva sul perdono reciproco per guardare al futuro con rinnovata fiducia e servire insieme la giustizia e la pace. Come mi scriveva recentemente una giovane "sentinella del mattino" "ora mi rendo conto che la mia povertà è una grande ricchezza perché lì incontro l'amore del Padre…il senso della mia vita l'ho trovato nello scoprirmi bisognosa del suo perdono, ricca solo del suo amore, un amore che basta davvero a colmare tutta la nostra esistenza" (Lettera del 3 giugno 2002). Sono conscio per questo di avere confidato soprattutto sulla parola di Dio, di essermi buttato fin dall'inizio in questa perigliosa impresa con la coscienza sì dei miei limiti e delle mie inadeguatezza ma anche con fiducia totale nella sua Parola. E questo perché sono cristiano e so di essere nato e sostenuto da questa Parola. E a tutti, credenti e non credenti, vorrei ripetere che la sorgente del mio pensare e del mio agire ha voluto essere sempre, almeno nell'intenzione, la parola di Dio, in particolare a partire dalle Scritture. Ho cercato anche sinceramente di ascoltare la storia, gli eventi, le persone, le voci della città, tutti voi che incrociavo nel mio cammino: ho desiderato incontrare almeno idealmente tutti, ma soprattutto gli ultimi, i poveri, i bisognosi, coloro che sono nella sofferenza, i feriti della vita, i carcerati, gli umiliati e gli offesi, gli ammalati. Avrei voluto fare in questo senso molto di più e chiedo perdono a coloro che si fossero sentiti trascurati. Ed ora forse vi chiederete che cosa mi appresto a fare dopo aver compiuto i 75 anni e dopo aver esercitato questo ministero di vescovo per ventidue anni e sette mesi, che è quasi identicamente il tempo in cui servì questa Chiesa il mio grande predecessore Sant'Ambrogio, alla cui l'ombra vorrei collocarmi come ultimo dei suoi discepoli. Ciò che mi preparo a fare ora vorrei esprimerlo con due parole: una che indica novità e un'altra che indica continuità. La parola che indica novità è quella pronunciata da Paolo nel discorso di Mileto: "Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà" (At 20,22). Paolo continua dicendo che lo Spirito santo in ogni città gli attesta che lo attendono catene e tribolazioni. Non so quanto possa voler dire questa parola per me, ma certamente sento mia la parola pronunciata subito dopo da Paolo: "Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio" (At 20,24).L'aspetto nuovo della mia vita è dunque Gerusalemme, dove vorrei compiere un servizio umile e silenzioso di preghiera e di studio. Ma nella parola di Paolo è espressa anche la continuità con il servizio fatto finora. Paolo dice infatti di volere soprattutto e anzitutto "rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio". Egli richiama così la consegna di Gesù ai Dodici all'inizio degli Atti: "Avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme…e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). E' la continuità della testimonianza al messaggio della grazia di Dio che costituisce il filo rosso del servizio di un vescovo anche nel passaggio da vescovo residenziale a vescovo emerito. Un vescovo emerito non ha certamente più alcuna responsabilità amministrativa e decisionale, ma mantiene uno strettissimo legame e una grave responsabilità davanti a Dio verso tutti coloro che gli sono stati affidati, a cui ha consacrato la sua vita e dai quali non potrà mai di staccarsi spiritualmente. Per questo un vescovo anche emerito continua a sentire come sue le gioie, le prove, le tentazioni, gli interrogativi che toccano la vita di quella porzione di popolo che rimane pur sempre la sua Chiesa, come pure i problemi di tutte le persone che in questo territorio cercano con sofferenza e con cuore sincero la verità e la giustizia. Un vescovo rimane legato a tutte queste persone soprattutto col ministero dell'intercessione. Anzi vorrei dire che una certa distanza, anche fisica, dagli eventi e dalle urgenze quotidiane permetterà al vescovo emerito di abbracciare con più calma e con uno sguardo più ampio la totalità delle situazioni, delle persone delle biografie, godendo con chi cammina sereno per la via della verità, soffrendo con chi è nell'oscurità e nel dolore, sentendosi partecipe della ricerca di chi vuole più luce. Questa è la spiritualità che intendo vivere per quanto tempo il Signore vorrà ancora darmi, mentre dividerò le mie occupazioni tra lo studio e la preghiera. Sento che il servizio dell'intercessione è in piena continuità con la testimonianza che ho cercato di dare in questi anni. È un'intercessione che non ha confini né di spazio né di tempo, perché si estende fino alla pienezza del Regno e guarda a quel tempo in cui, come dice il profeta Michea "il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele" (Mi 5,2: prima lettura). E' una intercessione che mantiene e approfondisce tra noi qui legami forti che si sono stretti in questi anni e che niente potrà sciogliere. Tanto più che mi pare di poter dire come Paolo, all'inizio della lettera ai Filippesi, che "vi porto nel cuore" e che "Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù" (Fil 1,7-8). Anzi il testo greco di questa lettera permette di tradurre non solo "vi porto nel cuore" ma anche reciprocamente "voi avete nel cuore me, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa" (Fil 1,7). Questa preghiera di intercessione è la preghiera praticata fin dalla antichità, a partire da quella di Mosè con le braccia alzate sul monte fino a quella di Gesù per i suoi nell'ultima cena (cfr Gv 17) e alle preghiere di Paolo all'inizio delle sue lettere. È stato detto che per Paolo " il vertice del nostro vivere è la preghiera di intercessione, che si concreta in un grande ringraziamento, o un grande ringraziamento che si esplica in una continua preghiera di intercessione " (don Giuseppe Dossetti, in un commento alla lettera ai Colossesi). Ed è così che Paolo prega ad esempio perché i fedeli di Colossi abbiano " una piena conoscenza della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale", perché possono comportarsi "in maniera degna del Signore per piacergli in tutto " (Col 1,9-10). E all'inizio della lettera agli Efesini rende grazie e prega " perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui " (Ef 1,17). Questa era già fin d'ora la mia preghiera per voi, ma essa si esprimeva soprattutto nelle celebrazioni liturgiche. Ora avrò più tempo per pregare, e mi eserciterò quindi maggiormente in questa intercessione che è suscitata nel nostro cuore da quello Spirito che "intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili" (Rom 8,26). Sono certo che anche voi pregherete così per me ed è con questa fiducia che concludo affidando tutta la Chiesa diocesana "al Signore e alla parola della sua grazia" (At 20,32) che ha il potere di purificare e di portare a pienezza ogni sforzo sincero, perché "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rom 8,28: seconda lettura). Ai miei fedeli raccomando in particolare l'amore della Scrittura e la pratica della lectio divina, mentre ai cristiani di tutte le confessioni affido la speranza dell'unità della Chiesa e di una ritrovata comunione nella molteplicità dei doni di Dio, che permetta un dialogo fruttuoso tra le religioni e una rinnovata amicizia col popolo delle promesse. A tutti dico: amatevi gli uni gli altri, così vivrete nella giustizia, nel perdono e nella pace. Il nostro maggiore contributo alla pace in un mondo gravido di conflitti e di minacce di nuovi assurdi conflitti nascerà da un cuore che anzitutto vive in se stesso il perdono e la pace. Servitevi con amore a vicenda facendovi prossimi a tutti, perché chi rende il più piccolo servizio al minimo di tutti i fratelli lo rende non solo al mistero della dignità umana ma a ciò che la fonda, cioè al mistero di Gesù. E ora mi rivolgo a Maria "dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo" (Mt 1,16: terza lettura). La madre di Gesù, di cui celebriamo oggi la nascita, è stata vicina con discrezione e senza interferenze alla vita della Chiesa primitiva specialmente con la sua preghiera di intercessione. Mi ottenga ora di continuare con lei questo servizio per tutti voi nella Gerusalemme di questo mondo, nell'attesa della Gerusalemme celeste, quando tutti saremo palesemente una cosa sola nel mistero del Padre. |
dal sito www.diocesi.milano.it