Un anno dall'11 settembre
Per essere altro da ciò che siamo stati
di Mario Luzi
Da qui dove mi trovo nella chiara profondità
del paesaggio naturale e umano della Valle dell'Orcia, l'evento delle torri
crollate a Manhattan mantiene quella incredulità che ebbe per molti a prima
notizia e perfino a prima vista, ossia quell'ambiguità fra virtuale e reale, tra
immaginario, allucinatorio e irreparabilmente tragico. Il primo impatto con
quell'episodio, ricordo, non lo ebbi qui dove sono solito passare l'estate, ma
in una parentesi fiorentina. Per una commissione da effettuare insieme,
aspettavo nel mio appartamento una cara persona che doveva venire a prelevarmi.
Tardava, e quando arrivò era confusa e assai sconvolta per avere, durante il
percorso dalla sua abitazione alla mia, aperto la radio dell'auto e raccolto
notizie terribili, così terribili che io dubitai si trattasse di una finzione
alla Orson Welles.
In ogni caso aprimmo la tv di casa, e proprio in quell'istante avveniva
l'assalto aereo alla seconda delle torri geme lle. La dolcissima e premurosa
umanità di Caterina Trombetti, poetessa, era stata dunque l'annunzio della più
disumana catastrofe. L'ecatombe l'ho vista ma devo fare uno sforzo di
concretezza e di dislocazione mentale per riviverla in pieno da questo luogo
perspicuo e quasi intemporale che è Pienza. Le ferite e le piaghe aperte da quel
truce atto sono ancora sanguinanti nella carne viva dell'America e in questo
caso di molti americani, e di riflesso nel mondo. Tuttavia la forza astrattiva
che la politica ha nella sua pseudo-mentalità globale, rischia di depotenziare
la cruda enormità del fatto; ed essa tende a trasformarsi in un dato, in un
antefatto di altre possibili enormità. Eppure il segno di inquietitudine e di
travaglio planetario che essa brutalmente presentò è ancora e sempre più
minaccioso e impellente. Le richieste sacrosante di tante umanità che sono diet
ro a quel segno si fanno sempre più urgenti. Abbiamo davvero cercato di
leggerle? Abbiamo cercato di adeguarci a quella rivelazione sullo stato di
troppi nostri simili? Forse la nostra chiaroveggenza è ancora insufficiente, ma
dobbiamo almeno essere consci di queste insufficienze, per renderci conto delle
necessità di guardare il mondo con occhi meno egocentrici.
Forse non apparirà fuori luogo se riporto qui le parole scritte
nell'immediatezza dell'emozione dell'11 settembre 2001.
«Quegli aerei che si avventavano contro le altere torri,/quel volo a capofitto
di vite umane contro altre vite.../L'anima di quel cataclisma era l'odio,/un
rancore antico/che si liberava con una sorta di ebbrezza.../Era anche un inno
alla morte/cantato nel sangue di migliaia di creature sacrificali./E quello che
per noi era tenebra/per altri era luce ed estasi.../La mente vacilla, l'animo è
soverchiato, oppresso./Si preparano forse già venuti i tempi/in cui sarà
richiesto agli uomini di essere/altri da come noi siamo stati. Come?»
testo integrale tratto da "Avvenire" - 8 settembre 2002