le idee
COSA NOSTRA NEL TERRITORIO GLOBALE

di GIUSEPPE LUMIA*

Le questioni poste da Giovanni Fiandaca dalle pagine di questo quotidiano richiedono una valutazione assai attenta. Naturalmente il confronto su temi come questi, che talvolta rischiano di appassionare e dividere, deve essere improntato a un dialogo sereno e rispettoso dell'altro.
Ma veniamo al merito della questione. È vero, alcuni studiosi utilizzano il paradigma della globalizzazione per sostenere che Cosa nostra, come le altre mafie del nostro Paese, è in una fase di declino. A conforto di tale ipotesi si mette in luce il rapporto mafiaterritorio, visto anche questo come sintomo di un ancoraggio al passato.
Stesso ragionamento, sempre secondo costoro, vale per la presenza delle organizzazioni criminali nel campo del racket e, in una certa misura, anche della gestione degli appalti pubblici.
Devo dire con molta onestà che non mi trovo affatto d'accordo con questa possibile analisi.
Cosa nostra, infatti, è stata sempre capace di mettere insieme una certa tradizione e una certa innovazione e di adattarsi alle trasformazioni che via via il contesto politico, economico e politico andava esprimendo.
Lo stessa cosa accade oggi.
La mafia di oggi non è in declino, anzi è in piena sintonia con due bisogni entrambi espressione dell'attuale dimensione, contraddittoria e ambivalente, della modernizzazione: territorialità e globalizzazione.
La territorialità non è di per sé segno di arretratezza, anzi in tutto il mondo essa è il più delle volte punto di forza per attivare forti processi economici e sociali.
La territorialità quindi può essere elemento di appartenenza positiva, di radicamento culturale, di autosviluppo sostenibile e a misura d'uomo.


Dall'altro lato, spesso, q
uesta dimensione si trasforma in localismo asfittico, in appartenenza chiusa, in fattore di esclusione e di conflitto regressivo, dove le diverse organizzazioni criminali svolgono una funzione devastante.
La mafia sa utilizzare la categoria della territorialità nella seconda accezione.
Ad esempio, il racket viene imposto oggi con una modalità diversa rispetto al passato: la mafia oggi chiede il "pizzo" per offrire una sorta di falso servizio di "protezione". La minaccia e la violenza diventano così solo una sorta di estrema ratio e non, come accadeva prima, quasi una precondizione.
La stessa infiltrazione nel settore degli appalti è vissuta per mettere insieme controllo del territorio e affari, dimensione collusiva con le istituzioni e con l'economia e capacità di rimotivare l'appartenenza mafiosa dei propri affiliati.
Tali attività che anche sul versante economico non sono affatto residuali, visto il loro carattere pervasivo e capillare. I dati sulla gestione degli appalti parlano di un controllo quasi assoluto del settore. La mafia, infatti, è in grado di controllare a monte le gare e a valle la gestione dei cantieri. E persino le piccole opere pubbliche non sfuggono a questa funzione di radicamento territoriale, senza la quale di certo non vi sarebbe stata e forse non vi sarà Cosa nostra in futuro.
Tale radicamento ha consentito all'onorata società di superare la fase repressiva scaturita dalla stagione delle stragi. Così pure di limitare i danni causati da un certo rigetto generalizzato verso di essa che, in una certa fase della nostra storia, vi è stato nella società.
Per analizzare la forza delle mafie non dobbiamo, quindi, contrapporre la territorialità alla globalizzazione. La 'ndrangheta, ad esempio, ha saputo proiettarsi nella globalizzazione solo perché fortemente radicata nel territorio.
L'elemento stesso della tradizione per selezionare i propri affiliati nel contesto rigido delle famiglie mafiose le ha permesso di arrestare la possibile emorragia dei collaboratori di giustizia e non le ha impedito, di contro, di lanciarsi nel mercato internazionale degli stupefacenti.
Cosa nostra ha anche un altro punto di forza che la rende assai lontana dal supposto declino.

Ed è la sua capacità di "fare sistema", cioè di puntare contemporaneamente alla ricchezza e al potere e di mettere insieme aspetti politici ed economici, sociali e culturali, organizzativi e militari.

Da qui la necessità di operare un salto culturale e altrettanto sistemico nel contrasto alla mafia.

Dobbiamo quindi colpirla sia nella sua dimensione territoriale che in quella globale costruendo, ad esempio, un omogeneo spazio giuridico europeo e internazionale. Nello stesso tempo è necessario costruire una progettualità ampia e in grado di saper procedere sui diversi versanti: repressivogiudiziario, economicofinanziario, socialeculturale e, infine, politicoistituzionale.


Tale lavoro va realizzato cercando di comprendere per tempo e quindi di anticipare tutti i potenziali conflitti oggi esistenti e che rischiano di farci ripiombare in un'ennesima stagione di violenza. Sappiamo che i fronti aperti sono almeno tre.
Quello fra la mafia che sta "dentro" le carceri (con boss di calibro che devono scontare pene pesanti e con il regime del 41 bis) e quella che ne sta "fuori" e che, tentando di "inabissarsi", fa affari e si arricchisce.
Quello, inoltre, fra Cosa nostra e quei politici, oggi sotto tiro, che assai probabilmente hanno "trattato" o hanno fatto "promesse" adesso difficilmente mantenibili.
E quello, infine, fra la mafia e chi (magistrati, giornalisti, esponenti della società civile, politici) la combatte con rigore, perseveranza e coraggio.


Giuseppe Lumia
deputato nazionale
e capogruppo Ds
in commissione Antimafia

testo integrale tratto da "Repubblica - Palermo"  7 agosto 2002