Johannesburg, emergenze e falsi problemi

La crescita demografica non diventi un alibi

DI Gian Carlo Blangiardo

Le statistiche più recenti sulla popolazione segnalano circa 1,2 miliardi di bambini in età 0-9 anni. Si tratta indubbiamente di generazioni che non erano al mondo all'epoca della Conferenza di Rio, nel 1992, e che quasi certamente non sono edotti sul concetto di sviluppo sostenibile né sulle cause che costantemente lo rimettono in discussione. A maggior ragione non si rendono conto che c'è chi ritiene che sia proprio la loro presenza una delle cause (se non "la" causa) dei grandi squilibri. Ancora una volta l'avvio di un summit sullo sviluppo potrebbe per alcuni trasformarsi da occasione di confronto sulle reali problematiche e sulle relative azioni di contrasto in un'occasione per rimettere sul banco degli imputati la dinamica della popolazione. Meglio, di quella parte di popolazione che cresce troppo rapidamente introducendo fattori di disturbo che, in un mondo sempre più globalizzato, finirebbero per mettere in discussione i modelli di consumo, di produzione e di scambio sino alla stessa impostazione della vita delle società economicamente più evolute. Si tenta così di attribuire alla crescita demografica dei Paesi più poveri la responsabilità di fenomeni che vanno dalla crescente desertificazione al danneggiamento della barriera corallina; dalla minaccia di estinzione che colpisce un quarto delle 4630 specie di mammiferi e l'11% delle 9675 specie di uccelli, alla carenza di acqua potabile che, talvolta solo per l'assenza di risorse e tecnologie adeguate, affligge oltre un miliardo di persone.

Nel contempo si finge di ignorare che dal 1950 il consumo di combustibili fossili è aumentato del 460% (mentre la popolazione mondiale si è accresciuta del 140%) e che il 20% dei paesi più ricchi consumano il 68% dell'energia del pianeta (e i 20 più poveri meno del 2%).

Si dimentica che 290 milioni di cittadini americani brucia no l'energia equivalente al consumo di 3 miliardi di cinesi o di 5 miliardi di indiani. Ma né i cinesi né gli indiani sembrano destinati a raggiungere tali ordini di grandezza neppure secondo le previsioni più fantasiose. Già questo fa capire come un approccio quantitativo nell'affrontare il tema dello sviluppo sostenibile vada largamente ridimensionato, e come, viceversa, i punti nodali da affrontare siano i modelli con cui si realizzano le diverse attività dell'uomo. E' sulle scelte di consumo, sulle modalità di produzione, sui meccanismi di scambio, sulle regole dell'organizzazione sociale che occorre lavorare per costruire un vero sviluppo sostenibile. Attribuire alla crescita demografica il peso dei danni ambientali e dei numerosi malanni che affliggono l'umanità è solo un alibi pericoloso. E' un alibi, perché scarica sulle popolazioni più povere la responsabilità di fenomeni che molto spesso sarebbero ev itabili se, in nome della solidarietà e (perché no?) di un interesse comune, i Paesi ricchi indirizzassero risorse alla cooperazione ben superiori all'attuale 0,22% del loro prodotto interno lordo. E' un alibi che diventa anche pericoloso perché rischia di rilanciare la paura di una bomba demografica che, se mai c'è stata, oggi è certamente nella fase di disinnesco in gran parte del mondo. Peraltro con una velocità di rallentamento della crescita che rischia di introdurre nuove importanti problematiche. Non a caso, meno di sei mesi fa a Madrid, nel quadro di una Conferenza Mondiale indetta dalle Nazioni Unite, le prospettive dell'invecchiamento demografico, che già oggi preoccupano i paesi più sviluppati, sono emerse con drammaticità proprio nei riguardi di molti paesi del Terzo Mondo, quegli stessi che hanno sperimentato nell'ultimo decennio una riduzione della fecondit&agr ave; largamente superiore ad ogni più ottimistica attesa. Auguriamoci che a Johannesburg in tema di popolazione si abbandoni la vecchia e fuorviante logica dei "numeri in libertà" e che invece si approfondiscano gli aspetti più qualitativi del vivere sulla Terra. E' giunto il momento di smetterla di discutere se il numero di bambini venuti al mondo dopo la Conferenza di Rio siano troppi o troppo pochi, ciò che è veramente importante è mettere a punto una strategia ed i necessari interventi per garantire loro un futuro dignitoso in un mondo migliore.
 

TESTO INTEGRALE TRATTO DA "AVVENIRE" - 25 AGOSTO 2002