Imprigionato in Cina il vescovo Wei Jingyi

Il presule della «Chiesa clandestina», fedele cioè al Papa,

è stato arrestato in una città della Manciuria

Di Nello Scavo
 


La polizia della Cina del nord ha arrestato monsignor Wei Jingyi, vescovo della Chiesa cattolica «clandestina». Il presule è stato incarcerato lo scorso 9 settembre, ma la notizia è riuscita a filtrare solo ieri. Secondo quanto riferisce la Kung Fundation di Stamford, che dagli Stati Uniti segue le drammatiche vicende della Chiesa cattolica nella Cina popolare, monsignor Jingyi - 44 anni e già segretario della Conferenza dei vescovi della Chiesa non riconosciuta dalle autorità - è stato fermato a Qiqihar, città della Manciuria nella provincia del Heilongjian (regione di Nord-est). Fino a questo momento non ci sono altri dettagli sull'arresto. Né è stato possibile mettersi in contatto con la polizia cinese di Qiqihar. Assoluto silenzio viene anche da alcune sedi diplomatiche della Cina popolare in Europa.
In passato monsignor Wei Jingyi ha subito più volte la condanna ai lavori forzati: prima dal 1987 al 1989 e successivamente per altri due anni, dal 1990 al 1992. I segnali di un improvviso giro di vite contro la Chiesa cattolica non riconosciuta (ne esiste una "ufficiale", vicina al governo e perciò definita «patriottica») erano stati registrati appena lo scorso luglio. Un tribunale della provincia di Hebei, vicino Pechino, aveva condannato tre preti cattolici ad essere internati per tre anni. Colpevoli di «attività di culto» - era stato il verdetto - che minacciano la stabilità sociale della Repubblica.
«Attualmente tutti i 50 vescovi della Chiesa cattolica romana clandestina sono stati messi in prigione, si trovano agli arresti domiciliari o vivono sotto stretta sorveglianza», ha dichiarato un portavoce della Fondazione cardinale Kung, precisando che tra i presuli non ancora imprigionati alcuni sono costretti a nascondersi. Nulla invece si sa di quasi 40 credenti arrestati tra cui due vescovi. Intanto si susseguono le incarcerazioni, confermando l'esistenza di una campagna pianificata per costringere la comunità cattolica cinese, fedele al papa di Roma, ad aderire alla «Associazione della Cina cattolica patriottica», sostenuta dallo Stato comunista.
Recenti stime calcolano che su 1 miliardo e 200 milioni di abitanti, in Cina i cattolici siano 12 milioni in 138 diocesi: 79 sono i vescovi «ufficiali» della Chiesa governativa, 49 quelli della Chiesa «clandestina»; 1.200 i sacerdoti «ufficiali», mille i clandestini; 2.150 le religiose «ufficiali», 1.500 quelle fedeli a Roma; circa 1.500 i religiosi «riconosciuti» e mille i «clandestini».
Sulla carta il regime permette la libertà di culto, ma riconosce solo l'autorità delle organizzazioni "statali". Precisa infatti la Costituzione: «Le istituzioni religiose e gli affari religiosi non sono soggetti ad alcuna dominazione straniera». E il Vaticano, secondo la dittatura comunista di Pechino, è considerato tale.

 

testo integrale tratto da "Avvenire" - 18/9/2002