TUTTI SOPRA IL TETTO
La
sera dell’8 Aprile, in una delle camerate del lager di via Corelli, a Milano,
uno degli internati «si fa male»; non sappiamo se in questo caso,
l’ennesimo, per autolesionismo si intenda ingestione di sostanze tossiche o
materiale tipo pile e lamette o ferite o altro. Sappiamo che quando si accorgono
che uno di loro sta male, alcuni internati chiedono un’ambulanza. Visto che
l’ambulanza non arriva, nella camerata decidono che l’unica soluzione è
dare vita ad una protesta che diventerà presto rivolta.
Come
da prassi, la Croce rossa richiede l’intervento della polizia: perquisizioni,
distruzione di beni personali e di libri (in particolare il corano) e violenze
fisiche. Dal 9 aprile comincia uno sciopero della fame che dura almeno 10
giorni, per poi continuare a singhiozzo nelle settimane successive.
Domenica
10 aprile si tiene un presidio davanti al carcere di San Vittore dove sono stati
trasferiti due internati che hanno partecipato alla rivolta: Gisela, brasiliano
e Mohammed, marocchino, poi condannati per “danneggiamento e incendio”
grazie alle testimonianze di alcuni operatori della Croce rossa (Invernizzi e
Sei).
Nel
frattempo le espulsioni continuano, in particolare sono espulsi coloro che si
sono maggiormente esposti nei contatti con l’esterno. Ma contemporaneamente
alle espulsioni, per snellire il numero dei rivoltosi, vengono effettuate anche
numerose scarcerazioni.
Se
l’intento delle autorità è quello di svuotare la protesta, non riesce in
pieno, per due motivi legati al senso di resistenza che “gli sfruttati tra gli
sfruttati” stanno dimostrando: quelli che sono stati scarcerati perché
“facinorosi” hanno deciso di rimanere e sostenere la protesta
dall’esterno; quelli che sono stati internati in quei giorni per riempire i
posti vacanti (ricordiamo che la Croce rossa percepisce 75 euro al giorno per
ogni recluso), come alcune donne rumene rastrellate da uno dei campi-ghetto
voluti dal prefetto Bruno Ferrante, sono stati i primi a salire sul tetto
durante la rivolta del 15-16 aprile, allargando la protesta al settore femminile
fino ad allora più titubante.
Il
25 aprile, alla fine del corteo ufficiale in cui come al solito sfilano assieme
vittime e carnefici, viene convocato un presidio di fronte al Cpt di via Corelli
in sostegno con la lotta degli internati e per ricordare agli sbadati che i
campi di concentramento esistono ancora.
Un
tentativo di avanzamento in direzione del Centro è subito ostacolato dalla
polizia con un fitto cordone e con camionette che sbarrano l’accesso alla via.
Si decide quindi, mentre alcuni lasciano il presidio per tornarsene a casa, di
improvvisare una manifestazione in quartiere perché l’esistenza di quel Cpt
è un problema che riguarda tutti ed in particolare chi ci abita accanto.
Altri
vanno sul lato della tangenziale, da dove si riesce a vedere il Centro e
appendono uno striscione che viene visto dall’interno.
I
detenuti sono tor-nati ancora sui tetti: tutte le loro richie-ste sono state
disat-tese: «chiusura dei Cpt, blocco delle espulsioni e degli internamenti».
Anche
il blocco temporaneo delle deportazioni promesso dal dirigente della polizia
Aversa che si occupa di via Corelli per sedare l’ultima rivolta, non c’è
mai stato. Nel mese successivo avvengono altre rivolte, alcune sostenute da
presidi e battiture, altre lasciate purtroppo da sole.
La
notte tra il 23 ed il 24 maggio, dopo aver protestato all’interno delle
camerate, dopo la distruzione tra le altre cose di una delle telecamere che
ininterrottamente li spia, gli immigrati si rifugiano sul tetto dove urlano a più
riprese «Tutti liberi, non vogliamo più essere prigionieri!». E lì restano
finché la polizia non li trascina giù, mandando qualcuno in infermeria,
qualcuno al Pronto soccorso e qualcuno a San Vittore.
All’insaputa
degli avvocati nominati dagli indagati, la mattina del 24 si tiene l’udienza
di convalida dell’arresto per 21 persone: 9 vengono trattenute in carcere,
mentre le altre 12 sono portate chi al Cpt di via Corelli e chi a quello di
Bologna.
Il
31 maggio si celebra la prima udienza del primo grado in un clima
particolarmente teso e in un’aula piena di sbirri. Nonostante i secondini ed
il Pm particolarmente seccato per il vociare, si riesce a comunicare sia con gli
imputati nel gabbione che con gli altri.
«Queste
sbarre non possono niente, io sono libero!», dice uno di loro.
«Non
mi fate più paura», afferma un altro rivolgendosi agli sbirri.
E.,
coi polsi legati, fuori dal gabbione, non smette di urlare in faccia ai
secondini che tentano di tenerla buona. Quando chiede di andare in bagno viene
portata “di sotto”. Già, esiste un “sotto” nel tribunale milanese, che
ricorda il “Garage Olimpo”, eredità mai smantellata del periodo in cui
l’edificio è stato costruito, a testimonianza che dal fascio littorio al
tricolore repubblicano c’è un filo conduttore che tiene in piedi lo Stato.
Quel
giorno chi ha scelto il patteggiamento e il rito abbreviato viene condannato dal
giudice Fabiana Mastrominico a 6 e 8 mesi di reclusione, più di quanto
richiesto dal Pm.
Per
tutti gli altri si vedrà nell’udienza di giovedì 23 giugno, giorno in cui
saranno presenti i loro accusatori: l’ispettore capo del commissariato di
Lambrate, Romano Pili e il responsabile provinciale della Croce rossa, Alberto
Bruno.
Ancora
una volta la Croce rossa mette nero su bianco per chi e per cosa lavora.
Nel
frattempo, il Cpt è in corso di ristrutturazione: vogliono creare un centro di
identificazione per richiedenti asilo politico e una nuova garitta per le forze
di polizia. Paradossalmente, è proprio arrampicandosi sullo scheletro di
cemento e mattoni di questa nuova costruzione che due immigrati sono riusciti ad
evadere. Con un sol gesto si sono lasciati alle spalle il Cpt e la prospettiva
della deportazione e hanno raggiunto l’agognata libertà.
Contro ogni frontiera
SCUSATE,
NON ABBIAMO CAPITO:
CHI
È CHE SEMINA TERRORE?
Come
già sapete, anche Lecce ha i suoi pericolosi terroristi. A detta della
magistratura e dei media, si tratta degli anarchici che per lungo tempo hanno
lottato contro il Cpt “Regina Pacis” di San Foca. Cinque di loro sono stati
arrestati, mentre un’altra decina sono indagati a piede libero. Secondo la
polizia i cinque anarchici arrestati «seminavano il terrore», (truce immagine
ripresa con entusiasmo da La Padania,
sempre in prima linea in difesa della razza). Noi non sappiamo né ci interessa
se gli arrestati siano responsabili o meno delle azioni che vengono loro
attribuite, ma…
Ma
di sicuro la Curia leccese gestisce con carità cristiana un lager, un luogo
dove sono stati rinchiusi centinaia e centinaia di stranieri rei di essere
poveri immigrati anziché ricchi turisti. Già la loro semplice detenzione
costituisce una infamia, ma per di più il trattamento loro riservato era
talmente brutale da far finire in galera lo stesso direttore del Cpt, don Cesare
Lodeserto, nonostante le sue protezioni altolocate. Forse questi anarchici hanno
dato fuoco al portone del suo Duomo, e della sua casa; se lo hanno fatto, è per
restituire all’uomo di Dio un po’ della tanta misericordia che ha elargito.
Chi è che semina terrore?
Di
sicuro tutti coloro che lavorano in un lager sono responsabili della sofferenza
di chi vi è recluso. Anche chi si adopera per nascondere i lividi provocati
dalle manette ai polsi e le ferite causate dalle manganellate, oppure prescrive
sedativi per ottenere apatia e rassegnazione, anche costui è un aguzzino. Con
il loro operato quotidiano questi collaborazionisti in guanti bianchi perpetuano
miseria e disperazione. Forse questi anarchici li hanno disturbati per telefono,
perché attratti dalla loro umana reputazione. Chi è che semina terrore?
Di
sicuro i responsabili del Regina Pacis possono contare sul sostegno di tutti i
grandi mezzi di informazione, servizievoli nel riportare le loro parole in
favore dei lager e ripeterle, ripeterle, ripeterle fino a trasformarle in
pubblica opinione. Se questi anarchici hanno lasciato scritte sui muri della
città per far conoscere a tutti le loro parole contro i lager, è il minimo che
potessero fare. Chi è che semina terrore?
Di
sicuro le rivolte dentro il lager sono scoppiate perché a nessuno piace venire
privato della libertà e della dignità. Una simile condizione può essere
tollerata per un breve periodo, ma poi esplode la rabbia. Per fortuna non tutti
gli esseri umani sono animali addomesticati. Per fortuna non tutti gli esseri
umani sono attoniti spettatori.
Se questi anarchici hanno soffiato sul fuoco, ciò è avvenuto solo dopo
che l’istituzione del Cpt ha fornito il combustibile e la sua gestione ha reso
l’aria incandescente. Chi è che semina terrore?
Di
sicuro le forze dell’ordine per reprimere chi protesta dentro e fuori ai Cpt
ricorrono alla violenza più brutale. Quando non ammazzano, i servi dello Stato
spezzano colonne vertebrali, teste, braccia, gambe. Forse durante una iniziativa
questi anarchici hanno colpito «ripetutamente» uno di questi massacratori in
divisa, procurandogli «lesioni al gomito destro». Chi è che semina terrore?
Di
sicuro l’esercito statunitense, nel corso della sua guerra in Iraq, ha
ammazzato oltre centocinquantamila persone (tutti fanatici fondamentalisti
sgozzatori di cristiani?). A rifornire di benzina i suoi bombardieri, i suoi
carri armati, i suoi strumenti di morte, è la Esso. Forse questi anarchici
hanno tagliato le gomme delle pompe di una sua stazione di servizio; se lo hanno
fatto, è per congratularsi dell’affare. Chi è che semina terrore?
Di
sicuro la multinazionale Benetton si è appropriata delle terre del popolo
Mapuche in Patagonia, popolo che si è visto cacciato con violenza dal luogo
dove è nato e dove è sempre vissuto. Ora i Mapuche sono più che mai a rischio
di estinzione. Il padano Benetton, cuore generoso, ha promesso che costruirà un
museo in loro memoria. Forse questi anarchici hanno imbrattato le vetrine di un
suo negozio, per dare un ennesimo tono ai suoi celebri colori. Chi è che semina
terrore?
Di
sicuro gli spazi sono a disposizione solo di chi ha in tasca i soldi per
poterseli permettere, o la tessera del partito giusto. Per tutti gli altri, ci
sono al massimo i locali pubblici dove consumare merci oppure i vicoli dove
bucarsi. Forse questi anarchici hanno occupato uno spazio vuoto e inutilizzato
da anni, perché non amano né i soldi né i partiti, perché vogliono
divertirsi. Chi è che semina terrore?
Di
sicuro gli anarchici arrestati non hanno mai tolto la libertà a nessuno, non
hanno mai torturato chi non è d’accordo con loro, non hanno mai bombardato
civili inermi, non hanno mai sfrattato intere popolazioni, così come non hanno
mai licenziato lavoratori, non hanno mai avvelenato l’acqua e l’aria, non
hanno mai truffato migliaia di consumatori…
Ma
allora, scusate, non abbiamo capito: chi è che semina terrore?
TERRORISTA
È LO STATO
LIBERTÀ
PER GLI ANARCHICI ARRESTATI
LIBERTÀ
PER GLI IMMIGRATI SEQUESTRATI
TUTTI
LIBERI
Anarchici