CRONACHE
DA TORINO E DINTORNI
14
aprile. Scritte
e striscioni appaiono a Torino, in solidarietà con gli immigrati in lotta e
contro i Cpt.
15
aprile. Presidio
itinerante al mercato di Porta Palazzo, per informare la città dello sciopero
della fame iniziato da qualche giorno nel Cpt di via Corelli, a Milano.
16
aprile. L’eurodeputato
leghista Mario Borghezio lamenta di ricevere continue telefonate notturne di
dileggio e di minaccia. Un quotidiano pubblica una foto del muro esterno della
sua abitazione, dove è stata tracciata una scritta: «Borghezio piciu ‘d gôma».
Lo stesso quotidiano riporta anche che nell’androne dell’edificio sarebbero
state affisse fotografie dell’eurodeputato recanti l’invito a sputargli in
faccia.
18
aprile. Un enorme
striscione in solidarietà con le lotte di via Corelli viene esposto durante la
maratona di Torino.
22
aprile. Alcuni
passeggeri distribuiscono sui tram cittadini volantini contro la collaborazione
tra la Gtt, che gestisce i trasporti pubblici cittadini, e le forze
dell’ordine riguardo alle espulsioni. Quando compaiono due controllori, si
decide di attuare una forma di sabotaggio “a bocca aperta”: i disturbatori
li precedono sui tram e avvertono rumorosamente gli altri passeggeri del loro
imminente arrivo. Qualche straniero senza biglietto riesce così a fuggire,
suscitando le ire dei controllori. In questa maniera parte la campagna: «Fai lo
sgambetto al controllore!». Le azioni di disturbo verso i controllori
proseguiranno nelle settimane successive in tutta la città.
1
maggio. I reclusi nel
Cpt di C.so Brunelleschi proclamano uno sciopero della fame, ma nessuno fuori lo
viene a sapere. Inascoltati, interromperanno la protesta il giorno successivo.
La capienza massima di questo Cpt è di soli 70 posti, ma nonostante i continui
rastrellamenti in città non si riempie quasi mai oltre questo limite perché i
rimpatri sono velocissimi.
7
maggio. Aosta. La Digos
ferma ed identifica due anarchici, accusandoli di aver affisso dei manifesti
contro la Croce Rossa Italiana. Nei giorni successivi, l’ispettore della Cri
valdostana denuncerà i due per “diffamazione a mezzo stampa”.
10
maggio. All’alba, le
forze dell’ordine fanno irruzione in un accampamento Rom alla periferia nord
della città. Con la scusa di censire gli abitanti, raggruppano una ventina di
persone e le trasferiscono in questura. Di queste, 14 verranno espulse.
In
serata, un ragazzo senegalese appena arrivato in città e senza documenti, viene
inseguito dai carabinieri nel corso di una retata nel parco del Valentino, lungo
gli argini del Po. Si nasconde sulla riva, ma cade in acqua ed affoga.
11
maggio. È sera. La
polizia ferma ad un posto di blocco un’autovettura con quattro giovani
senegalesi a bordo. Uno di loro fugge, altri due scendono subito dall’auto; il
quarto indugia, un poliziotto gli si avvicina e parte un colpo di pistola. Il
senegalese muore poco dopo.
Intanto,
nel carcere delle Vallette, una detenuta di origini slave viene ritrovata
suicida.
12
maggio. Perquisite
all’alba le case di cinque compagni, tra Valle d’Aosta e Piemonte, mentre a
Lecce scattano gli arresti dell’operazione “Nottetempo”.
14
maggio. Numerosi comizi
volanti si svolgono nel mercato di Porta Palazzo, per informare la città sulle
morti di Mamadou e Cheik Ibra, i due ragazzi senegalesi uccisi dalle forze
dell’ordine, ed invitare tutti ad un presidio indetto per il pomeriggio contro
il terrore poliziesco, le espulsioni, gli arresti di Lecce e la politica della
Gtt.
Il
presidio durerà pochissimo. Gli italiani solidali e gli immigrati, soprattutto
senegalesi, sono arrivati in molti e dunque si decide di partire in corteo. Lo
striscione di apertura recita: «Carabinieri, polizia, vigili: assassini». Non
ci sono né simboli né sigle di gruppi specifici, ma solo tanta rabbia
condivisa da tutti. I giornali, quando non tacciono, descrivono il corteo come
una pacifica sfilata organizzata dalla comunità senegalese, turbata solo dal
tentativo dei soliti “anarco-insurrezionalisti” di provocare scontri. Da
questo momento in poi, con poche eccezioni, le testate torinesi canteranno
sempre la stessa canzone, fino alla nausea e al ridicolo: gli immigrati non
hanno alcun motivo per essere incazzati, mentre invece sono i sovversivi a
pescare nel torbido per creare tensioni.
16
maggio. Nel pomeriggio,
un’assemblea di strada apre la discussione su come difendersi nei quartieri
dagli abusi e dalle violenze della polizia.
18
maggio. Nel quartiere di
San Salvario appaiono scritte e manifesti contro le espulsioni e il terrore
poliziesco. In alcune locandine si invita all’autodifesa contro le forze
dell’ordine.
19
maggio. Nel corso della
notte, i reclusi nel Cpt si rivoltano, bruciano i materassi e danneggiano per
quel che possono la struttura. Molti sono gli atti di autolesionismo. La polizia
interviene. Parte lo sciopero della fame. Un recluso, alla notizia del proprio
rimpatrio imminente, spacca una finestra e ne ingerisce i vetri. Passerà la
mattinata in ospedale, perdendo l’aereo della deportazione. Ritornato nel
Centro viene riempito di botte e messo in isolamento.
A
fine mattinata, tutte queste notizie arrivano a Radio Black Out. Da qualche
giorno, infatti, nel Centro è rinchiuso un amico di alcuni redattori, Tareq,
che anche dentro il Cpt ascolta la radio, facendola conoscere anche ai suoi
compagni di reclusione.
Dalle
18 in poi cominciano a radunarsi di fronte al Cpt circa 150 persone. Da dentro
si sente battere sulle sbarre, da fuori si risponde battendo pietre su piloni e
segnali stradali. Qualcuno sale sul muro di cinta ed espone un grosso
striscione, i reclusi si arrampicano sulle reti ed urlano. Intanto Marilde
Provera, deputata di Rifondazione, entra ed esce dal centro, invitando tutti
alla calma. Dentro viene ignorata, fuori i manifestanti spiegano al megafono che
costei non rappresenta nessuno e che non c’è alcun motivo per stare calmi.
Alcuni
si organizzano e con delle mazze aprono un piccolissimo varco nel muro di cinta
del Cpt. Dopo qualche esitazione la celere carica, ma viene respinta. Sembra
che, nella concitazione, un noto funzionario della Digos venga colpito in faccia
con una merda. I manifestanti si disperdono dopo poco, e un grosso gruppo di
loro si dirige in corteo fino al vicino deposito dei tram, per spiegare agli
autisti le responsabilità della Gtt riguardo alle espulsioni. Scioltosi
l’assembramento, alcuni compagni vengono fermati dalla Digos e uno di loro,
Giovanni, viene arrestato con l’accusa di “violenza aggravata” e
“lesioni”.
20
maggio. Lo sciopero
della fame dentro il Cpt prosegue compatto (68 scioperanti su 70 reclusi), in
molti praticano anche lo sciopero della sete. Rientrano nel Centro alcuni
clandestini che durante le proteste del giorno precedente si erano autolesionati
finendo in ospedale.
21
maggio. All’alba, i
detenuti di C.so Brunelleschi si ribellano di nuovo per impedire l’espulsione
di alcuni di loro; molti minacciano il suicidio, in vari ingeriscono batterie e
vetri. Un clandestino si taglia l’addome tanto gravemente da dover essere
ricucito d’urgenza sul posto: la Croce rossa e la polizia decidono di
rilasciarlo, per evitare danni peggiori.
Nel
pomeriggio, un presidio in solidarietà con le lotte degli immigrati e per la
liberazione di Giovanni viene indetto di fronte al Cpt. Il presidio dura qualche
ora, i reclusi salgono a turno sui tetti, la comunicazione tra loro e i
dimostranti è fittissima. Qualcuno lancia una scarpa: dentro c’è la cartella
clinica di un clandestino, rinchiuso nel centro anche se malato di Tbc. Filtrano
le storie di molti altri reclusi e si scopre così che molto spesso è proprio
la Croce rossa ad impedire la liberazione di quei clandestini che avrebbero
diritto ad uscire.
Intanto, Giovanni viene scarcerato.
23
maggio. Il Cpt è
blindato, con la celere schierata in permanenza di fronte all’ingresso. Nel
pomeriggio, Marilde Provera fa un’altra visita ai reclusi, che la bollano come
«quella che difende gli sbirri». Uscita, continua a denunciare le condizione
igieniche del centro, ignorando che la richiesta degli immigrati in lotta è
soltanto una: «libertà!».
In
serata, nella piazza del mercato di San Salvario si svolge un’assemblea in
memoria dei due ragazzi senegalesi uccisi dalle forze dell’ordine e per
continuare la discussione su come difendersi nei quartieri dal terrore
poliziesco. In molti, italiani e stranieri, si avvicinano e dicono la propria,
nonostante la piazza sia blindata e si parli circondati dalla polizia.
24
maggio. Otto rumeni
reclusi nel Cpt vengono espulsi.
25
maggio. All’alba, la
polizia sveglia sette marocchini reclusi nel Cpt ed annuncia loro che l’aereo
li aspetta. La notizia arriva nelle case dei compagni nel giro di qualche
minuto, seguita immediatamente dagli uomini della Digos. Vengono perquisite
dieci abitazioni, oltre al centro di documentazione “Porfido”. Tra gli
immigrati espulsi c’è Tareq, che la settimana successiva si metterà in
contatto ancora una volta con i suoi amici di Torino, raccontando d’essere
stato trattenuto in carcere un paio di giorni non appena arrivato in patria e di
essersi visto sottrarre i soldi che aveva. Durante le perquisizioni, la Digos
sequestra 1500 copie di volantini contro
la Gtt. Formalmente, però, la perquisizione è l’inizio di una indagine
relativa a un plico incendiario recapitato la mattina precedente ai Vigili
urbani di San Salvario e rivendicato successivamente dalla FAInformale.
Nel
pomeriggio, un presidio indetto in centro si sposta fino all’“Olimpic Store”.
Qui vengono illustrate ai passanti le strette relazioni che intercorrono tra il
buon funzionamento dei cantieri olimpici e il terrore poliziesco scatenato in
città contro gli immigrati.
Intanto,
all’estremo nord della città, la polizia circonda un caseggiato abitato da
stranieri ed irrompe negli appartamenti. Eddy, un clandestino nigeriano appena
arrivato in città per far visita alla propria fidanzata, si rifugia sul
cornicione per sfuggire ai mastini in divisa. Cade e muore. È il quarto nel
giro di quindici giorni. Due ragazze, uniche testimoni della tragedia, vengono
trasportate in C.so Brunelleschi. Determinati e imbestialiti, i nigeriani del
quartiere scendono in piazza e si scontrano con la polizia.
26
maggio. Nel pomeriggio,
varie sigle della sinistra torinese si ritrovano sotto la prefettura per
protestare contro la violenza della polizia. I nigeriani presenti fanno discorsi
di fuoco, ma alla fine si decide per una delegazione da inviare nelle stanze del
prefetto.
In
serata, si svolge il dibattito “Le città e i lager”, organizzato per
discutere della lotta contro le espulsioni a Torino, Lecce e Milano.
27
maggio. In mattinata,
c’è una dimostrazione sotto il consolato del Marocco, responsabile insieme
allo Stato italiano delle espulsioni dei cittadini marocchini. Dopo qualche ora,
i dimostranti si spostano sul luogo dove, nel novembre 2004, era morta Latifa
Sdairi, una ragazza marocchina precipitata da un tetto di San Salvario mentre
tentava di sfuggire ai controlli del Vigili urbani.
Nel
pomeriggio si svolge una commemorazione di Eddy, a cui partecipano anche
compagni. L’atmosfera è tesa, viene bloccata la strada e si rischia
nuovamente lo scontro con la polizia.
Nei
quartieri cittadini proseguono i volantinaggi contro le violenze della polizia e
si chiama ad una manifestazione per il giorno dopo.
28
maggio. Ore 15:
cominciano a radunarsi a Porta Palazzo i primi manifestanti. Non si vedono
bandiere né di partiti né di gruppi specifici. Solo una associazione
antirazzista fa eccezione. La polizia è presente in forze, ma non si fa vedere.
A poche decine di metri dalla partenza, il corteo è già di mille persone, di
ogni colore. In testa al corteo, gli amici di Eddy. Al megafono, il fratello. A
un certo punto vengono intravisti da lontano dei vigili urbani, e già la
tensione sale. Nessuno riesce a sopportare le divise, questo pomeriggio. Per un
centinaio di metri, il corteo si accoda ad una manifestazione dei sindacati di
base, poi prosegue da solo. Arrivano messaggi dal Cpt: qualcuno da dentro
vorrebbe che il corteo arrivasse fino a lì, per avere lo slancio di riprendere
la lotta. Gli amici di Eddy, invece, ci tengono a portare la propria rabbia fino
alla questura. Nelle vicinanze la celere blocca la strada e vorrebbe impedire al
corteo di proseguire. Gli immigrati sono furiosi, soprattutto le donne, in molti
vorrebbero saltare addosso ai poliziotti a mani nude. I celerini si ritirano di
qualche metro e lasciano libera la via della stazione, sigillando quella della
questura. L’atmosfera è tesa e i militanti della solita associazione
antirazzista inneggiano preoccupati alla non-violenza. Nessuno li ascolta: alla
fine se ne andranno, in compagnia del proprio striscione e dei propri cartelli,
dissociandosi pubblicamente dal tenore della manifestazione.
Dopo
un lungo attimo di incertezza, si prosegue verso la stazione di Porta Susa, dove
vengono occupati i binari. Neri e bianchi insieme, spiegano ai viaggiatori il
motivo del blocco: «In una città che uccide non deve viaggiare nessuno!».
C’è qualche danneggiamento all’interno della stazione, in particolare di un
Bancomat della San Paolo. Dopo una mezz’ora, il corteo defluisce verso Porta
Palazzo, dove si scioglie senza incidenti.
1
giugno. I detenuti di
C.so Brunelleschi annunciano di aver ripreso lo sciopero della fame. Il centro,
durante questa settimana, è sostanzialmente spopolato: i clandestini sono una
ventina. Se continuano i rimpatri, infatti, le retate in città sono in sostanza
sospese.
2
giugno. Un gruppetto di
italiani solidali va a portare la propria solidarietà ai reclusi, con ur-la,
battiture e saluti.
5
giugno. Riprendono gli
internamenti dei clandestini nel Cpt. Le retate ricominciano a pieno ritmo nei
giorni successivi. Anche sugli autobus, dove la polizia irrompe urlando e si
avventa insieme ai controllori sugli stranieri.
8
giugno. Un gruppo di
compagni fa irruzione nella sala dove il sindaco ed
un paio di assessori stanno cercando di convincere gli abitanti di un
quartiere ad ovest della città della bontà dei progetti di riqualificazione
urbanistica che li riguardano. Striscione e volantino ricordano gli immigrati
uccisi dalle forze dell’ordine, mentre si urlano le responsabilità degli
amministratori presenti. I compagni se ne vanno velocemente, gridando: «Schiavisti
assassini!». Poco prima, era stato un gruppo di operai licenziati ad inveire
contro il sindaco; subito dopo, sarà il turno di molti abitanti, indignati per
le geniali innovazioni urbanistiche proposte dall’assessore Viano.
Una
«serata difficile per gli amministratori della città», commenteranno i
giornali.
9
giugno. Un gruppo di
compagni contesta “Torino Cronaca”, presente con una propria bancarella nel
mercato del quartiere Vanchiglia. Con striscione, volantini e megafono si
spiegano ai presenti le responsabilità del quotidiano del razzismo torinese
nella caccia agli immigrati degli ultimi mesi.
Nel
pomeriggio, alcuni compagni partecipano a un presidio di fronte al Cpt. Con i
megafoni si salutano i prigionieri, che vengono subito rinchiusi nei gabbioni
per impedir loro di rispondere. Polizia e carabinieri sono schierati in assetto
antisommossa di fronte al Centro e già prima dell’inizio del presidio le
strade attigue vengono sgomberate dalle auto in sosta. In serata, vari defender
blindati dei Carabinieri pattugliano minacciosi San Salvario.
16
giugno. I soliti ignoti
sigillano un centinaio di parchimetri gestiti dalla Gtt e affiggono un falso in
cui l’azienda annuncia un giorno intero di parcheggio gratuito per tutti.