MI RIVOLTO, DUNQUE EVADIAMO
Secondo i confortanti dati forniti dal governo inglese, sono più di 1200 gli evasi dalle carceri britanniche nel 2003. Anche il fatto che non si voglia rivelare quanti siano stati ripresi è piuttosto rassicurante.
28 novembre 2004, Gerusalemme. Nella prigione di Hasharon, nel centro di Israele, scoppia una rivolta di detenute palestinesi, 114 delle quali sono in carcere per reati “contro la sicurezza di Israele”: fra loro, 60 minorenni sono sottoposte a condizioni detentive molto dure. Nel corso della rivolta, alla quale le secondine rispondono con la consueta brutalità, sono ferite anche due guardiane.
18 dicembre, Kabul. Una violenta rivolta di detenuti scoppia nel principale carcere afghano di Pol-i-Charki, vicino a Kabul. Il bilancio degli scontri – secondo una fonte di Emergency – è di 8 morti, sei guardie e due carcerati. Secondo le dichiarazioni ufficiali gli ammutinati appartengono tutti, manco a dirlo, ad Al Qaeda. Il carcere è circondato dall’esercito, da truppe speciali e da soldati stranieri del contingente Isaf. Anche così si esporta la democrazia.
15 gennaio 2005, Iraq. Dal carcere di Abu Ghraib, noto per le torture inflitte ai prigionieri dai soldati americani, evadono in 28. Durante il trasferimento dei carcerati – tutti sotto il controllo delle forze irachene – presso un altro carcere, i detenuti riescono a slegarsi dalle corde e ad avere il sopravvento sulle guardie che li scortano.
Nello stesso periodo, quattro detenuti sono assassinati dai soldati americani durante una rivolta nel carcere di massima sicurezza di Campo Bucca, vicino a Um Qasar.
28 gennaio, San Paolo. Da un carcere minorile evadono 202 ragazzi, 116 dei quali vengono catturati subito. Nello stesso carcere, la settimana precedente la magistratura aveva ordinato l’arresto di 27 secondini accusati di violenza sui minorenni.
9 febbraio, Lima. Dopo un ammutinamento nel carcere San Pedro contro le pessime condizioni detentive, la polizia interviene sparando: 4 detenuti morti e 17 feriti.
10 febbraio, Buenos Aires. Dopo una lite fra un detenuto e un secondino, scoppia una rivolta nel carcere del quartiere San Martin di Cordoba. La sommossa coinvolge 1700 reclusi, alcuni dei quali cercano di evadere a bordo di un camion. Ci sono una ventina di feriti tra cui 2 agenti di polizia in gravi condizioni. I rivoltosi tengono prima in ostaggio una trentina di persone tra cui il direttore del penitenziario Emilio Corso. I famigliari dei detenuti accorsi cercano di impedire l’intervento delle forze dell’ordine nell’edificio con un lancio di pietre e bastoni. La tensione attorno alla prigione è altissima e le autorità ordinano la sospensione dell’erogazione dell’energia elettrica, mentre tre magistrati cercano di intavolare una trattativa promettendo la revisione dei processi. La maggior parte dei detenuti entra nell’officina dove si riparano le armi delle guardie, concentrandosi sul tetto dell’edificio, da dove minacciano di gettare nel vuoto gli ostaggi. All’interno altri reclusi si scontravno a colpi d’arma da fuoco con le forze dell’ordine, mentre in un’ala del carcere i detenuti danno fuoco al mobilio e ai materassi. Un tentativo di un gruppo di teste di cuoio di riprendere il controllo della situazione fallisce, anche perché i prigionieri, per lo più ergastolani, sono ben armati e dispongono perfino di mitragliatrici.
Il presidente della Repubblica segue da Buenos Aires gli sviluppi della rivolta, mentre il ministro dell’interno Anibal Fernandez dispone l’invio a Cordoba di 200 agenti speciali. Dopo più di 23 ore, quasi tutti i detenuti accettano la trattativa e le garanzie offerte dalle autorità, ma un gruppo resta sul tetto ancora per diverso tempo. Il bilancio ufficiale è di 8 morti, 5 detenuti e tre guardie, e diverse decine di feriti. La sommossa troverà nel quartiere diversi abitanti solidali. La protesta è cominciata per reclamare migliori condizioni di vita. Secondo i famigliari dei detenuti, la polizia carceraria tratta i reclusi «come animali». Si è invece trovata di fronte uomini non addomesticati.
21 febbraio, Haiti. Oltre 350 detenuti evadono nel tardo pomeriggio dal penitenziario di Port au Prince, dopo che un commando si è introdotto nella struttura uccidendo una guardia. Secondo quanto riferito da fonti ospedaliere alla CNN, nell’attacco sarebbero rimaste uccise 15 persone. Al momento dell’irruzione nel penitenziario, che può ospitare circa 600 detenuti, si trovano circa 1000 prigionieri. Questa evasione di massa conferma una costante storica: durante le sommosse sociali (da mesi Haiti è teatro di forti scontri sociali), le carceri vengono attaccate e la libertà trova nuovi e agguerriti partigiani. Per un singolare gioco della fortuna, gli unici due prigionieri catturati sono l’ex Primo ministro e l’ex ministro dell’Interno. Se fossero stati due onesti delinquenti, ci sarebbe dispiaciuto di più.
Tra gli ammutinati della prigione sociale…
17 luglio, Barcellona. Un ordigno esplode contro la sede del CIRE, il “Centro iniziative per il reinserimento dei detenuti”. Un secondo ordigno viene ritrovato inesploso. In quei locali il CIRE, organismo dipendente dal dipartimento di Giustizia destinato ad organizzare programmi per lo sfruttamento lavorativo dei detenuti anche se scarcerati, sta organizzando la vendita di prodotti fatti da questi ultimi.
4 ottobre, Spagna. Due esplosioni distruggono due camion di un’impresa impegnata nella costruzione di un nuovo carcere a Can Margarit, in località Sant Esteve Sesrovires.
12 novembre, Catalogna. Un falso allarme bomba interrompe una riunione di funzionari penitenziari presso il Centro de Estudios Cristianos. Un gruppo di “amiche e simpatizzanti di Barry Horne” (un animalista morto tre anni fa) rivendica il gesto in solidarietà con gli anarchici prigionieri, esigendo in particolare: «Libertà per i detenuti dell’Hospitalet (molotov contro gli sbirri), libertà per i 4 di Barcellona (banda armata inventata da Garzón)».
Nella città di Burgos (Spagna), dal mese di settembre 2004 al mese di gennaio 2005, numerose azioni sono state realizzate in solidarietà con i prigionieri anarchici: contro consolati italiani, cantieri di opere distruttrici del territorio, banche, tribunali, strutture e istituzioni «dello Stato-Capitale, della civilizzazione e dello sfruttamento animale, umano e della terra».