DA LECCE...
Domenica 12 ottobre 2003, nel pomeriggio, dieci perone sono arrivate davanti al Cpt Regina Pacis a manifestare la loro rabbia e a portare la loro solidarietà ai reclusi. Dall’interno c’è stata una risposta forte, con reclusi che hanno lanciato saponette, bottiglie d’acqua e sacchi di spazzatura verso gli sbirri, una finestra aperta dopo vari tentativi (sono tutte bloccate), un tentativo di saltare già dal primo piano e qualche recluso che incoraggiava gli altri a dare fuoco all’interno.
Il presidio è andato avanti per circa un’ora e mezzo, ed un fitto lancio di uova ripiene di vernice rossa è stato il segno lasciato dai dieci manifestanti, che sono poi riusciti ad andare via senza essere bloccati, approfittando anche del fatto che le forze dell’ordine erano tutte concentrate a Lecce per via di un vertice euro-asiatico di Ministri dell’Ambiente, ed il Cpt era presidiato da un numero limitato di carabinieri.
Intanto veniamo a conoscenza di altri atti di autolesionismo: a metà ottobre una ventenne tenta di lanciarsi da una finestra ed un algerino rischia lo shock anafilattico dopo essersi ferito con un coltello. Il 30 ottobre un marocchino ingoia una pila alla vista di una poliziotta intenta ad eseguire alcuni decreti di espulsioni nel Cpt. Estrattagli la pila all’ospedale, viene riportato al centro di San Foca e tenuto sotto stretta sorveglianza.
ACCOGLIENZA?
Centro di detenzione "Regina Pacis "di San Foca: luogo di accoglienza e solidarietà cristiana nella bocca dei suoi responsabili e gestori, monsignor Cosmo Francesco Ruppi e don Cesare Lodeserto. Nella realtà di tutti i giorni luogo di negazione della libertà e dignità per ogni individuo qui rinchiuso, luogo di tortura tanto intollerabile da non lasciare, in qualcuno, altra via d'uscita che il suicidio.
Di tanto in tanto, alcuni fatti (…quelli più eclatanti) squarciano il velo di silenzio sui media locali. Così veniamo a sapere che nel solo arco di tre giorni, tra venerdì 3 e domenica 5 ottobre, due immigrati lì rinchiusi tentano di porre fine alla propria vita, casi estremi di una diffusa tendenza all ’autolesionismo; riemerge la continua pratica dei pestaggi dispensati dagli sbirri e degli psicofarmaci dati a piene mani dai medici per addormentare gli animi. Dei due, "salvati dal personale", ad uno si nega il ricovero dall’ospedale perché da lì potrebbe "tentare la fuga " (gravissimo crimine anelare la libertà), l’altro viene rinchiuso nel reparto psichiatrico (emblematico questo passaggio di consegna tra i carcerieri in abito talare del Regina Pacis e i carcerieri in camice bianco quali sono gli psichiatri).
Appena quindici giorni dopo, il 19 ottobre, un altro marocchino tenta di ferirsi ai polsi con una lametta dopo un forte diverbio con il personale medico, poi con la stessa minaccia i carabinieri che tentano di fermarlo e viene arrestato.
I gestori del centro continuano a dire che "questi episodi non sono che il tentativo di farsi ricoverare in ospedale per ritardare il rimpatrio o avere una facile occasione per scappare". Non pare nemmeno sfiorarli il minimo dubbio che laddove la libertà viene incatenata, i sensi vengono mortificati e i desideri sono negati, si possono poi verificare simili forzate conseguenze.
Ma tortura, depersonalizzazione, sottomissione, umiliazione non sono l ’eccezione: sono dati centrali, fondamentali, sempre ci saranno in ogni luogo di prigionia, poco importa se galera, C.P.T. o reparti psichiatrici. Non crediamo che la soluzione si possa trovare nel commissariamento del Regina Pacis come miseramente richiesto da un parlamentare dopo averne denunciato quegli aspetti tanto bestiali, né tantomeno nell’aula di un tribunale per mano di un giudice illuminato (gli stessi mandanti delle segregazioni) che individui e separi gli sbirri responsabili dei pestaggi da quelli dal volto umano.
Non si tratta di denunciare una gestione del centro di San Foca troppo disumana, bensì di capire quello che vogliamo, cosa desideriamo, per quali rapporti fra individui siamo pronti a metterci in gioco.
Crediamo che la questione sia sociale e che vada portata fuori dai luoghi del potere, nelle strade, nelle piazze, fra la gente, a scuotere il silenzio e la rassegnazione del "vorrei ma non posso".
Vogliamo e siamo pronti a batterci per la libertà, quella intera, assoluta, quindi anche per la libertà di movimento per tutti, nessuno escluso?
È proprio questa libertà di movimento che in definitiva viene negata nei C.P.T. a quegli individui che, indesiderati allo Stato, sono definiti "immigrati clandestini". Ci basta questo per considerare intollerabile la sola esistenza dei lager di "accoglienza". È per questa ragione che siamo pronti ad opporci alla loro esistenza. È per questo che, semplicemente, andrebbero definitivamente spazzati via per la libertà di tutti.
Nemici di ogni frontiera
COSA C'È DIETRO LA MASCHERA
Si
chiama “Progetto Marta”, la nuova iniziativa condotta dalla Fondazione
Regina Pacis a Lecce. Da alcuni mesi un furgone con su riportata tale
denominazione, distribuisce in giro per la città, del cibo destinato a poveri,
immigrati, senza casa.
Chi
conosce che cosa il Regina Pacis rappresenti, comprende bene che ciò
Il
Regina Pacis, infatti, come molti sanno è un centro di carcerazione in cui
I
gestori del centro, nelle persone di Lodeserto e Ruppi, per conto della curia
leccese, si affannano a chiamare accoglienza, la loro opera di reclusione; ma
quando gli si fa notare che imprigionare individui per non avere un “pezzo
A
fronte di ciò è facile sottolineare l ’ipocrisia di chi per lavarsi la
faccia
Naturalmente,
chi entra in contatto con questi servi del potere, che ne sostengono la
repressione omicida - migliaia di persone sono morte in mare per raggiungere le
nostre coste - ne conosce presto la natura. E questo è accaduto
Smascherare
questi loschi figuri è doveroso. Ma la commozione e lo sdegno per il loro
operato non bastano. È importante adoperarsi perché questa macchina di
sopraffazione e violenza si spezzi.
Il Regina Pacis deve chiudere!
Nemici
di ogni frontiera
c/o
Spazio Anarchico
Il furgone del progetto Marta percorre le vie di Lecce dalle 19 all’una. Il “servizio” ha un recapito telefonico: 338/888383
ASSASSINI
!!!
L’ennesima
strage si è compiuta nel Mediterraneo, l’ultima di una lunghissima serie che
da anni insanguinano i mari che circondano l’Italia. Ancora una volta si sono
levate alte le voci di pietà di tutta la società civile; ancora una volta si
sono alzati cori di sdegno da parte delle varie forze politiche; ancora una
volta giornali e tv si sono scagliati ferocemente contro il racket che organizza
i cosiddetti “viaggi della speranza” e contro gli scafisti senza scrupoli.
Ancora
una volta, degli esseri umani in cerca di una esistenza da vivere dignitosamente
ci hanno rimesso la vita: tutti si indignano, ma allo stesso tempo distolgono l’attenzione
e si guardano bene dall’indicare i reali responsabili di queste tragedie che
si susseguono intorno alle nostre coste.
Eppure, anche quando non ci sono esecutori materiali – come invece successo con l’affondamento della nave albanese Kater I Rades nel ’97 –, i mandanti di questi omicidi sono fin troppo facili da individuare. Si tratta degli Stati, dei governi e degli organismi preposti a loro difesa e a loro tutela. Ogni volta che un essere umano muore in questo modo, colpevoli sono gli Stati che hanno eretto barriere per respingere i diseredati che tentano di varcarne le frontiere; colpevoli sono i governanti che hanno stretto accordi bilaterali per condannare i poveri a morire della loro povertà, ed a morire nel loro Paese d’origine; colpevoli sono gli eserciti che portano la guerra e la morte in Paesi lontani per impadronirsi, controllarne e sfruttarne le risorse; colpevoli sono le forze di polizia che si adoperano per respingere, braccare e catturare quanti da quei Paesi martoriati fuggono; colpevoli sono, infine, coloro che qui da noi si occupano di rinchiudere questi uomini e queste donne in attesa di riempire un aereo o una nave e ricacciarli nell’inferno da cui erano fuggiti.
La
verità è trasformata nel suo rovescio. Tentano di far passare la Marina
Italiana come un corpo eroico che ha salvato undici naufraghi, quando in realtà
sono gli assassini che hanno perpetrato la morte di almeno 25 uomini e
donne solo nell’ultimo naufragio; ma d’altra parte provano anche a far
sembrare i morti di Nassirya come dei martiri caduti per portare la pace, quando
in realtà erano solo dei terroristi morti nell’adempimento del loro
sporco lavoro: quando si accetta di giocare alla guerra, bisogna anche accettare
di morire! E invece le lacrime per questo manipolo di criminali si sono sprecate…
Ci dispiace non aver partecipato al loro lutto nazionale, ma i nostri occhi
piangono lacrime per ben altre persone, i nostri occhi piangono per questi
sconosciuti, nostri fratelli, morti in mare…
Non
sappiamo per quanto tempo ancora ci toccherà piangere, sappiamo che siamo
stanchi di farlo.
Ma sappiamo anche che limitarsi alle lacrime ed alla commiserazione non basterà certo ad evitare che molte altre morti seguano quelle degli ultimi giorni. Bisogna attivarsi concretamente per porre fine a tutto ciò, smascherare l’imbroglio dietro cui nascondono la verità, urlare con quanto fiato abbiamo in corpo ciò che per noi, Stati e governi, sono realmente:
A
S S A S S I N I !!!
16 gennaio 2004