LA GUERRA DELL'ACQUA

Gli israeliani prendono la maggior parte dell’acqua che utilizzano da due principali fonti: le montagne acquifere ed il bacino del fiume Giordano. Le montagne acquifere sono un sistema di bacini sotterranei poste tra Israele e la “West Bank”, l’unica fonte di acqua per i palestinesi che vivono in quest’area. Ben l’ottanta per cento dell’acqua ricavata da questo bacino viene sottratto dagli israeliani per produrre un quarto del proprio fabbisogno.

L’altro bacino include l’alto Giordano e i suoi affluenti, il mare di Galilea, il fiume Yarmuk ed il basso Giordano, sulle cui sponde è situata laWest Bank (i suoi confini sono costituiti ad est dal fiume Giordano e ad ovest dalle montagne acquifere) ed il cui accesso è stato vietato ai palestinesi fin dall’inizio dell’occupazione israeliana. Sul resto dei territori Israele fin dal 1967 (dalla guerra dei 6 Giorni) ha promulgato alcune leggi che prevedono il divieto per i palestinesi di scavare nuovi pozzi senza la sua autorizzazione; l’installazione di contatori sui pozzi già esistenti; l’espropriazione delle terre e dei pozzi “abbandonati” dai palestinesi dopo l’occupazione; il divieto di colture a sfruttamento intensivo di acqua.

Oggi l’intero bacino è utilizzato per produrre un terzo del fabbisogno di acqua degli israeliani, i quali la estraggono dal mare di Galilea e dal fiume Yarmuk, prima cioè che questa arrivi al basso Giordano: in parole povere, anche se l’area non fosse interdetta ai palestinesi questi ne potrebbero ricavare solo poche gocce.

I disagi prodotti dalla mancanza d’acqua diventano particolarmente gravi in quei villaggi palestinesi che non hanno un acquedotto funzionante, che sono poi la maggior parte. La loro situazione è ulteriormente peggiorata dall’inizio della seconda Intifada, scoppiata il 28 settembre del 2000, dopo la visita alla Spianata delle moschee da parte del leader del Likud, l’attuale Primo Ministro Ariel Sharon.

Gli abitanti dei villaggi hanno solitamente tre risorse d’acqua, sempre più problematiche: raccolta dell’acqua piovana, raccolta dalle sorgenti, acquisto dalle autocisterne. Questo vale anche per i villaggi provvisti di acquedotto, considerate le numerose ragioni della mancanza d’acqua, dai bombardamenti israeliani all’ipersfruttamento di acqua da parte dei coloni.

Per gli abitanti dei villaggi senza acquedotto, in estate, le autocisterne sono l’unica fonte d’acqua. Per gli altri non è l’unica ma è fondamentale.

I proprietari delle autocisterne acquistano l’acqua dall’Acquedotto municipale palestinese e dai latifondisti palestinesi (l’acqua di riciclo agricolo, quella maggiormente piena di pesticidi e più sporca). Altri acquistano l’acqua dai coloni, che ne ottengono dal governo israeliano enormi quantità per uso agricolo.

L’ufficio della Commissione per l’acqua ha stabilito un approvvigionamento a prezzo agevolato per uso agricolo a ricche comunità israeliane dove le fattorie e le aziende agricole quasi non esistono. Ad esempio, nel 2000, è stata destinata a quattro comunità (Kfar Shamariyahu, Savyon, Omer e Ramat Hasharon) una quantità d'acqua che è paragonabile alla metà dell’utilizzo domestico e urbano dell’intera West Bank.

Il prezzo dell’acqua dai tank non è soggetta a nessun controllo ed è notevolmente superiore al prezzo di quella dell’acquedotto.

Israele continua cosÏ a mantenere il controllo quasi totale sul settore dell’acqua nei territori occupati.

Ogni nuovo progetto di connessione all’acqua, dalle perforazioni di un pozzo alla posa di una tubatura fino alla produzione di una cisterna, richiede il consenso d’Israele nell’ambito del Joint Water Committee.

Con gli accordi di Oslo, la Palestina è stata frantumata in qualche dozzina di “isole” delle aree A e B che non hanno continuità di territorio tra di loro (e sono circa il 40% della West Bank). Per il trasporto dell’acqua è quasi sempre necessario il passaggio nell’area C, sotto il totale controllo degli israeliani. Dall’inizio della seconda Intifada i blocchi stradali (mucchi di sabbia, blocchi di cemento, transenne) che la Forza di difesa israeliana (IDF) piazza in tutta la West Bank sono aumentati cosÏ come le aggressioni ai trasportatori da parte sia della IDF che dei coloni. I blocchi vengono piazzati all’insaputa della popolazione, in modo da rendere impossibile capire in che direzione andare per arrivare a questo o a quel villaggio; quando il blocco è costituito da un check point , il transito degli approvvigio-namenti è a totale discrezione della IDF; a volte succede che l’acqua non arrivi del tutto perché le cisterne vengono danneggiate con colpi d’arma da fuoco dai soldati israeliani.

Nel secondo accordo di Oslo firmato nel 1995, ai palestinesi è stato concesso di incrementare la quantità di acqua estratta dalle montagne acquifere per uso domestico e urbano del 30 per cento; un incremento che avrebbe dovuto provenire da nuove perforazioni, per l’81 per cento in appalto ai palestinesi e per il 19 per cento agli israeliani, non da una più equa risuddivisione delle fonti già esistenti.

Anche se l’unica soluzione equa sarebbe la restituzione delle terre, quindi delle fonti espropriate, non è prevista minimamente una riduzione del consumo israeliano, né lo spostamento delle colonie dalla West Bank, dove il massiccio sfruttamento ha prosciugato le falde acquifere al punto da far ammettere al governo israeliano che ormai solo la falda acquifera orientale potrebbe essere ancora sfruttata. C’è da notare che lo sfruttamento addizionale della falda orientale porterà all’acuirsi del già grave disastro dell’acqua salmastra dei pozzi vicini al mar Morto e alla conseguente contaminazione dei bacini superiore ed inferiore: Israele ha già quasi completato la sua parte in questo folle progetto, i cui lavori sarebbero dovuti terminare entro il settembre del 2000.

Nel 1998 l’Autorità palestinese per l’acqua (PWA) si è accordata con un gruppo di finanziatori internazionali, fra cui la Banca Mondiale — particolarmente interessata ad investire in questo settore —, la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), l’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ed altri investitori minori, per "un grande progetto d’investimento di quasi 300 milioni di dollari per lo sviluppo idrico della West Bank". La BEI si è proposta di finanziare il progetto al 50 per cento, mentre l’altra metà è finanziata dalla Banca Mondiale tramite i gruppi IBRD (International Bank for Reconstraction and Development), dalla Francia e dalla Gran Bretagna. E giacché la PWA non potrà mai ripagare i debiti contratti, l’USAID ha già previsto che per avere acqua la Palestina dovrà affidarsi a costosi progetti di desalinizzazione e ad ulteriori finanziamenti.

B.B.