DI QUESTO PASSO…

I borghesi hanno perduto la loro ingenuità e ciò li ha resi del tutto incaponiti, impenitenti e malvagi. La mano diligente e premurosa che continua a curare e a coltivare il suo giardinetto come se non fosse diventato, da tempo, un “lot” anonimo e impersonale, ma che tiene ansiosamente lontano dai cancelli l’intruso sconosciuto, è già pronta a negare l’asilo al profugo politico. Sotto la minaccia oggettiva che pesa su di loro, i detentori del potere e i loro seguaci finiscono per diventare, soggettivamente, del tutto inumani. CosÏ la classe perviene a se stessa e fa propria la volontà distruttiva del corso del mondo.

I borghesi sopravvivono a se stessi come spettri annunciatori di sventura.

Adorno, Minima Moralia

'Se si vuole evitare un bagno di sangue, l’Italia deve ritirare i suoi soldati dall’Iraq'. E' questo l’audace anatema, scagliato dal temibile “Imam di Carmagnola”, che il 20 ottobre scorso — a ridosso della strage di carabinieri a Nassiriya — gli ha fruttato l’espulsione dall’Italia.

A parte il fatto che costui non era affatto un Imam (a Carmagnola non c’è neanche la moschea) e che le sue dichiarazioni erano tutt’altro che minacciosi avvertimenti di un complice di Al Quaeda, quanto banalissime constatazioni (in guerra, di solito, oltre ad uccidere si muore anche), la vicenda è significativa per il senso che assume, in tempi di guerra, l’“originalità” di tale azione legale. Abdel Qader Fadlallah Mamour non aveva commesso reati, non era indagato per alcunché, non era nemmeno clandestino, per mandarlo via bisognava inventarsi qualcosa. Presto fatto: un decreto di espulsione immediata per 'turbativa dell’ordine pubblico e pericolo per la sicurezza dello Stato'; poche ore dopo, alla faccia di ogni diritto alla difesa, il malcapitato si trovava già in Senegal, accompagnato dai carabinieri.

In guerra, si sa, non c’è soltanto il nemico esterno ma anche quello interno. Il fronte interno deve essere compatto, non ci sono smagliature possibili. In guerra il dissenso non esiste più, si chiama disfattismo, diserzione, sabotaggio, tradimento, con tutte le ovvie conseguenze. E anche se il “terribile Imam di Carmagnola” aveva tutta l’aria di essere poco più che un buffone, piuttosto che un pericolo pubblico, questo è il senso che assume la sua espulsione. Chi “esagera” paga, in un modo o nell’altro, e non saranno certo delle scartoffie legali ad impedirlo. Questo è vero da sempre, per ogni governo democratico o meno, in tempi di guerra è soltanto la soglia dell’esagerazione che si abbassa considerevolmente.

I garantisti insorti su questo come su altri “abusi”, i pacifisti e i democratici sempre pronti a invocare diritti e trattati internazionali, invece di lamentarsi farebbero forse meglio a ficcarsi in testa che siamo in guerra, e quando tutto crolla non si può andare tanto per il sottile.

Gli Stati Uniti, ben più pragmatici della “vecchia Europa”, e ben più preoccupati dalla “coesione” del proprio fronte interno, la cosa l’hanno ben capita da tempo. Campi di concentramento e di annientamento (Guantanamo), torture sistematiche sui prigionieri, imprigionamenti di massa, sparizioni (desaparecidos), giornalisti “intruppati” legittimati a mentire all’opinione pubblica ecc.; non si contano le pratiche e le “novità” della “guerra al terrorismo” che negli USA fanno impallidire anche tiepidissimi liberal e che mostrano finalmente a tutti che il diritto è soltanto una questione di forza. Peraltro, prima dell’11 settembre e del “terrore islamico” era, ad esempio, la “guerra alla droga” a diffondere da un lato la paura e dall’altro a dotare lo Stato dei mezzi per una guerra a bassa intensità contro i propri cittadini, con la possibilità (normalmente vietata dalla Costituzione) di utilizzare l’esercito in operazioni dirette contro civili in patria.

E se gli USA fanno strada, l’Europa segue a ruota. L’espulsione del finto Imam non è che uno degli innumerevoli esempi in Italia, dove non si contano più le espulsioni di presunti “terroristi”, magari direttamente nelle carceri marocchine, o addirittura in paesi in cui i rimpatriati hanno una condanna a morte; del resto non mancano anche i “rientri” di persone che da decenni vivono in paesi con i quali l’Italia non ha trattati di estradizione (scartoffie, per l’appunto), vedi l’estradizione dell’ex BR Aligrandi e compagno da Algeri passando per il Cairo.

Insomma, si potrebbero riempire pagine, per ricordarci che siamo in guerra.

Comunque, l’“Imam carmagnolese”, seppure un po’ megalomane, ci aveva ricordato una cosa ineccepibile: che l’Italia, forse, si sta esponendo un po’ troppo. E se è vero che nelle guerre ultimamente muoiono più che altro i civili, se è vero che siamo in guerra — asimmetrica o meno che sia —, ci possiamo toccare i coglioni finché vogliamo ma le stragi di civili anche italiani, magari in un mercato, in una chiesa, o in qualche altro luogo affollato ci saranno eccome, di questo passo. Già, di questo passo. E allora forse siamo in un momento in cui il rifiuto ostinato della spirale di morte cui ci sta condannando l’agonia di questa organizzazione sociale non è soltanto plausibile per chissà quale minoranza rivoluzionaria, ma semplicemente per chi non ha molta voglia di essere trucidato in una guerra planetaria. E di questo passo, forse…

Porfido


DISTRUGGIAMO I LAGER  

Il fiore all’occhiello del Ministero degli interni, il “Serraino Vulpitta” non va chiuso per le condizioni disumane in cui versa chi vi è rinchiuso, né per le carenze strutturali che lo rendono una trappola mortale; ma perché è un lager. E in un lager, come in ogni altra galera, la disumanità è la regola.

I Centri di Permanenza Temporanea sono essenziali per garantire il funzionamento della macchina delle espulsioni, che non serve soltanto a controllare i flussi migratori verso l'Europa, ma per permettere uno sfruttamento più feroce degli immigrati, per rendere il "clandestino" il nemico interno - il possibile terrorista, per creare una divisione di classe.

La Sicilia è la regione che ospita un numero elevatissimo di CPT. Da Lampedusa a Catania, da Trapani a Pachino queste strutture hanno la funzione di controllare direttamente gli sbarchi degli indesiderati, più che quella di reprimere gli immigrati sul territorio, essendo l'isola terra di approdo delle carrette cariche di stranieri.

Per opporsi a quei lager che lo Stato ha predisposto per gli esseri umani senza documenti, non bastano le sfilate, più o meno colorate, né gli accorati appelli ai diritti democratici, né tantomeno gli esposti alla magistratura, essa stessa strumento di incarcerazioni ed espulsioni. Per opporsi ai lager bisogna distruggerli, sabotarne il funzionamento e la costruzione, impedire le deportazioni e i rimpatri forzati.

Il Vulpitta, come tutti gli altri CPT, può esistere grazie alle ditte di edilizia che operano le ristrutturazioni (o la costruzione); alle aziende che si occupano delle forniture alimentari, delle serrature, delle inferriate, degli arredi; ai medici che vi prestano servizio; al direttore di tale orrore, come il cav. Giacomo Mancuso (ammanicato con la CARITAS di Trapani); alle associazioni di volontariato, come la cooperativa "Insieme", cui viene affidata la gestione. Insomma, grazie ad una fittissima rete di relazioni che non sempre è visibile ad occhio nudo.

E' necessario iniziare un percorso conflittuale contro i Centri di detenzione e la società che li produce, per non limitarsi a criticare le vergognose iniziative e le inefficaci, oltre che schifose, pratiche dei social forum e delle varie parrocchie antirazziste.

E' necessario che chiunque voglia incidere sulla realtà, stanco di interventi sporadici o soltanto simbolici che portano l'effige dell'autorappresentazione, si possa incontrare per discutere su come agire concretamente contro questi ed altri orrori. Perché non è solo in virtù della coscienza che si combatte una cosa.

Invitiamo tutti quelli che hanno l'intenzione di opporsi con i fatti ai CPT ed al meccanismo delle espulsioni a mettersi in contatto con noi per stabilire i modi ed i tempi di un possibile incontro.

alcuni anarchici siciliani

Per contatti: Malacarne - C.P. 469 - 95100 Catania - e-mail: siren.malacarne@tiscali.it