DA GENOVA...
Dal 7 giugno siamo sottoposti a “misure cautelari” (tre giorni trascorsi in carcere, un mese di arresti domiciliari, due mesi di firma giornaliera in caserma) per aver manifestato pubblicamente lo sdegno verso un’operazione di sgombero di una piazza di Genova in cui solitamente si ritrovano, tra gli altri, ambulanti e stranieri.
Quel giorno ci stavamo recando in piazza Raibetta per un’iniziativa contro la prossima commercializzazione del Ritalin, uno psicofarmaco per bambini “troppo vivaci”. In quel momento, polizia, vigili urbani e dipendenti Amiu provvedevano a una pulizia della stessa piazza distruggendo le mercanzie e accerchiando gli ambulanti extracomunitari per il controllo dei documenti. Istintivamente, insieme ad altri, abbiamo manifestato la nostra indignazione. Uno sdegno verbale che, tuttavia, ha creato particolarmente fastidio, o ha comunque avuto troppa risonanza nel silenzio circostante, in quella “zona grigia” che caratterizza l’involontario pubblico delle frequenti retate poliziesche. Dev’essere per questo che, mentre decine di persone si stavano fermando per capire quello che purtroppo era evidente, uno di noi è stato aggredito da cinque poliziotti in borghese che lo hanno caricato su una volante. Al tentativo di sottrarlo all’arresto da parte di alcuni – tutti colpiti con calci, pugni e manganellate – è seguita una caccia all’uomo che ha portato al secondo arresto.
La brillante operazione di repressione dei venditori abusivi si è quindi conclusa con qualche “lacuna” (pare che nella confusione alcuni stranieri siano riusciti a sottrarsi al controllo) ma anche con il nostro fermo. Denunciati per i reati di "resistenza a pubblico ufficiale, lesioni (entrambe aggravate) e danneggiamento", siamo stati trasportati in carcere.
In serata gli ispettori di polizia inscenavano una conferenza stampa con i giornalisti per costruire le circostanze e assicurarsi che le tonalità da usare fossero quelle più adeguate. La vicenda è quindi apparsa su giornali e media dei giorni successivi, riassunta nei titoli che tuonavano di auto distrutte e poliziotti feriti (!). Uno spettacolo inverosimile, anche solo per l’impari rapporto di forze, allestito per giustificare, coprire e infine legittimare quello che era successo in piazza e la criminalizzazione che ne era seguita.
Nel carcere di Marassi abbiamo fatto conoscenza con le nuove sbarre modello “gabbie per polli” che un’impresa stava finendo di installare, griglie cosiddette “anti-evasione” ma, piuttosto, anti-protesta, montate per evitare che i detenuti possano comunicare all’esterno. Abbiamo avuto comunque il piacere di trovare la solidarietà degli altri che, come noi, si trovavano in isolamento. Il giorno dopo siamo stati interrogati (rifiutandoci di rispondere) dal G.I.P. Elena Daloiso, nota negli ultimi tempi per i provvedimenti ai danni dei manifestanti accusati di "devastazione e saccheggio" per la rivolta contro il G8, nonchÈ per l’archiviazione dell’assassinio di Carlo Giuliani (attuata accogliendo le istanze del PM Silvio Franz, lo stesso anche nel processo a nostro carico).
Le motivazioni con cui questo giudice ha prima confermato l’ordine di custodia cautelare nei nostri confronti e poi ha respinto le nostre richieste di permesso per motivi di lavoro ("indole violenta avvalorata da ideologia politica") si inseriscono perfettamente in un clima forcaiolo. Di identico registro anche quelle contenute nell’ordinanza di scarcerazione e sostituzione con l’obbligo di firma giornaliero: "Si ritiene infatti che un forzato e frequente contatto con la P.G. [polizia e carabinieri], subito dopo la pur breve detenzione subita, sia un idoneo richiamo al rispetto delle forze dell’ordine". Il tutto in attesa di processo, la cui prima udienza è stata fissata il 12 ottobre presso il Tribunale di Genova.
Questi provvedimenti non costituiscono la degenerazione del sistema democratico, ma la routine delle procedure giuridiche e poliziesche attraverso le quali si afferma la continuità dello Stato. Una legalità democratica che comporta una lezione di galera e repressione nei confronti di chi non si adegua al conformismo politico, culturale e ideologico di una società “ordinata”, “sicura” e “pulita”. Insomma di chi con la libera espressione di idee e comportamenti crea “disordine”. Che siano lavoratori in lotta per condizioni migliori, cittadini esasperati dalle nocività industriali, l’equipaggio di una nave che soccorre profughi alla deriva o i “soliti anarchici”, l’avvertimento è per tutti. Ma in tutti sono anche le potenzialità per non rassegnarsi a essere complici.
Per la libertà di tutte e tutti. Per la fine di ogni gabbia.
La solidarietà è un’arma.
I due indesiderati
L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA OLIMPICA
Per garantire che nulla turbasse lo scintillio delle manifestazioni sportive in occasione dei giochi olimpici tenutisi lo scorso agosto in Grecia, le forze dell’ordine hanno portato avanti a partire dall’inizio dell’anno una vera e propria operazione di pulizia sociale. Oltre 13.700 immigrati sono stati arrestati, circa la metà dei quali è stata rispedita oltre frontiera. Inoltre galere e “Centri di salute mentale” si sono riempiti di un imprecisato numero di “emarginati” la cui libertà costituirebbe un pugno nell’occhio del turista, bramoso solo di record mondiali e di souvenir.
Barboni, tossici, ubriaconi, puttane, sono stati fatti sparire dalle strade ateniesi su ordine della magistratura. Le stesse associazioni che si occupano dei senza tetto hanno espresso preoccupazione per la scomparsa di molti dei loro assistiti, di cui ricordano il terrore per la caccia all’uomo scatenata nei loro confronti dalla polizia. Molto peggio è andata ai cani randagi che scorrazzavano per la capitale greca, gran parte dei quali sono stati catturati e abbattuti. Spirito olimpico?
S.I.