COSA
È SUCCESSO?
All’inizio
di gennaio, all’apertura dell’anno giudiziario, il procuratore generale di
Lecce Francesco Toriello e la Direzione Distrettuale Antimafia avevano lanciato
un grido di allarme contro il «pericolo islamico», ma soprattutto contro
quello «anarchico»: ben presto dalle parole sono passati ai fatti.
Così
il 12 maggio Giorgio Lino Bruno, un magistrato di Lecce affiliato alla DDA, per
festeggiare degnamente l’anniversario della Polizia, per accontentare il suo
capo nonché acerrimo nemico degli anarchici Pier Luigi Vigna, ha fatto scattare
l’operazione “Nottetempo” che ha portato all’arresto di cinque
anarchici, all’incriminazione di un’altra decina con l’abusata accusa di
“associazione sovversiva con finalità di terrorismo”, a numerose
perquisizioni anche nel resto d’Italia, nonché alla chiusura del Capolinea
occupato di Lecce. Tre degli arrestati (Cristian Paladini, Salvatore Signore,
Saverio Pellegrino) si trovano in carcere, mentre ad altre due (Annalisa Capone
e Marina Ferrari) sono stati “concessi” i domiciliari. Questi arresti sono
l’ennesimo, preoccupante, passo in avanti della magistratura verso la
“tolleranza zero” nei confronti di ogni attività di movimento. Il messaggio
è chiaro: chi porta avanti lotte sociali al di fuori dell’ambito
istituzionale è un terrorista e come tale sarà perseguito.
Gli
anarchici inquisiti sono noti alle forze dell’ordine per aver sviluppato con
continuità una lotta contro il Cpt di San Foca, il “Regina Pacis”, il cui
direttore Don Cesare Lodeserto è finito in carcere lo scorso marzo con gravi
imputazioni. Inoltre sono attivi anche in altri ambiti del movimento.
A
prima vista sembra quasi un esempio di “par condicio” della repressione. Non
si può mettere in galera un prelato e lasciare liberi gli anarchici che lo
contestavano!
Dunque,
da una parte abbiamo un prete che con grande carità cristiana gestisce un
lager, cioè un luogo in cui vengono reclusi individui le cui uniche colpe sono
quelle di essere nati nel paese sbagliato, di parlare la lingua sbagliata, di
avere il colore della pelle sbagliato. Sono gli immigrati, individui che
scappano dalla miseria e dalla guerra che devastano la loro terra natale, e che
qui vengono accolti con manganelli, manette e sbarre. Questo prete, non contento
di essere diventato carceriere di poveri in fuga dalla morte, si è distinto a
tal punto per la violenza dei mezzi adottati da venire più volte inquisito ed
oggi incarcerato.
Dall’altra
parte abbiamo gli anarchici, coloro che per tutto questo tempo hanno contestato
duramente l’operato del “Regina Pacis”. Non hanno delegato nessuno di
promuovere le proprie idee, lo hanno fatto in prima persona. Non le hanno
espresse sottovoce, dopo aver chiesto umilmente permesso; le hanno urlate a
squarciagola, con rabbia. Intollerabile, vero? Intollerabile che non si
rispettino i voleri dello Stato, intollerabile che si insultino i servi dello
Stato, intollerabile che si disdegnino i metodi
concessi dallo Stato. Per farlo, bisogna essere come minimo dei
“terroristi”. E oggi, per essere considerati “terroristi”, non è
indispensabile compiere certe azioni, basta essere animati da determinate
aspirazioni.
Questo
nuovo corso giudiziario non è un’anomalia: esso segue l’aberrante logica
delle nuove leggi antiterrorismo promulgate dopo l’11 settembre, secondo cui
non c’è differenza fra chi uccide un capo di Stato e chi lo insulta per
strada, fra chi fa saltare in aria una banca e chi ne imbratta le vetrine, purché
il movente sia considerato “politico”. Il resto è a discrezione degli
organi inquirenti. Ciò significa che quanto è accaduto oggi agli anarchici di
Lecce potrà domani accadere a chiunque, da chi fa uno sciopero selvaggio a chi
blocca una strada. Basterà un magistrato particolarmente compiacente e ansioso
di pubblicità e la polizia busserà alla porta. Un’esagerazione?
I
fatti attribuiti ai compagni inquisiti — veri o falsi che siano — sono
indicativi in tal senso. Già un portone incendiato e dei bancomat danneggiati
mal si accompagnano a un termine che storicamente indica il terrore
indiscriminato, figuriamoci le scritte sui muri, le telefonate di insulti, i
presidi non autorizzati e un’occupazione!
A
dispetto di tutto, numerose sono state le dichiarazioni di solidarietà agli
arrestati e le iniziative che sono state organizzate un po’ dovunque, fra cui
la manifestazione a Lecce del 21 maggio e il presidio di fronte al carcere
avvenuto il giorno dopo. Inutile dire che, attorno a questa vicenda, hanno
cominciato a volteggiare anche parecchi avvoltoi che fino a quel momento avevano
mostrato il disinteresse più assoluto nei confronti delle lotte condotte dagli
anarchici inquisiti. Ma poi, dopo il clamore degli arresti, eccoli precipitarsi
tutti sotto i riflettori dei media a sventolare la bandierina della propria
organizzazione politica.
Per
il momento il Tribunale del Riesame ha confermato l’arresto per i cinque
anarchici. Ciò che è stato ordito dalle alte sfere con tanta fatica non può
essere disfatto da qualche subalterno.
Ma come possono, la
galera e le intimidazioni, fermare la lotta dei nemici di ogni frontiera?
LE
FRONTIERE DELLA DEMOCRAZIA:
Giovedì
12 maggio, cinque anarchici leccesi sono stati arrestati nel quadro
dell’ennesima inchiesta per “associazione sovversiva con finalità di
terrorismo” (270 bis), in base alla quale sono stati perquisiti case e spazi
anarchici in mezza Italia. Il Capolinea occupato di Lecce è stato chiuso e
sottoposto a sequestro giudiziario. Conosciuti per la loro opposizione costante
e senza compromessi a quei lager che la lingua di Stato chiama “centri di
permanenza temporanea”, questi compagni stavano dando troppo fastidio. Ora che
le brutalità del CPT di Lecce sono emerse in modo talmente evidente che il suo
direttore, don Cesare Lodeserto, è stato arrestato con l’accusa di violenza
privata e sequestro di persona; ora che diversi immigrati rinchiusi hanno
cominciato a ribellarsi con coraggio e continuità, la voce di chi da tempo
smaschera le responsabilità di un intero sistema concentrazionario andava
zittita. Questi compagni vengono accusati di una serie di attacchi contro le
proprietà dei gestori e finanziatori del CPT di Lecce, di alcuni sabotaggi
contro la Esso e di qualche azione diretta contro la Benetton. Non sappiamo se
siano innocenti o colpevoli, e nemmeno ci interessa. Ciò che consideriamo
giusto non lo cerchiamo tra le righe dei codici dello Stato. Se sono innocenti,
hanno la nostra solidarietà. Se sono colpevoli, ce l’hanno ancora di più.
Rispondere con determinazione a chi rinchiude donne e uomini la cui unica colpa
è quella di essere poveri e di non avere i documenti in regola; presentare un
piccolo conto a chi si arricchisce con il genocidio della popolazione irachena
(come la Esso) o con la deportazione dei Mapuche (come la Benetton), sono
pratiche assolutamente condivisibili. Dai bombardamenti ai CPT, dalle banche
alle multinazionali, i nemici degli sfruttati non sono forse ovunque gli stessi?
Mentre
questi nostri compagni vengono arrestati, in un solo giorno a Torino la polizia
sgombera un campo nomadi, uccide a freddo un senegalese a un posto di blocco,
provoca la morte di un altro immigrato che cerca di sottrarsi ad un
rastrellamento. Vi basta? Da settimane gli internati di via Corelli a Milano
sono in sciopero della fame, protestano sui tetti, urlano la loro voglia di
libertà. Intanto centinaia di profughi vengono internati in “centri di
accoglienza” da cui cercano ad ogni costo di evadere.
Sono
urla che ci giungono dalle macerie di questo mondo in rovina.
Possiamo
fare finta di non sentirle. Possiamo festeggiare ipocritamente la lotta armata
contro il nazifascismo senza accorgerci che i lager non sono il nostro passato,
ma il nostro presente. Possiamo rifugiarci dietro il rispetto della legge –
quella stessa legge in nome della quale si affama e si bombarda, quella stessa
legge che viene quotidianamente sospesa per milioni di dannati della Terra.
Oppure possiamo decidere di alzare la testa, trovando in noi stessi il senso di
ciò che è giusto, armando il nostro cuore e le nostre braccia. Possiamo
nasconderci, oppure batterci.
Il
modo migliore per essere solidali con gli anarchici di Lecce ci sembra quello di
continuare la lotta per la chiusura dei lager, per inceppare la macchina delle
espulsioni. Per un mondo senza frontiere.
SALVATORE,
SAVERIO, CRISTIAN, MARINA, ANNALISA LIBERI!
anarchici
a piede libero
CHIUDERE
I CPT, SCHIACCIARE I PARASSITI DELLA POLITICA!
Come
purtroppo spesso accade in questi casi, l’arresto di cinque anarchici attivi
nella lotta contro i Cpt ha destato l’attenzione interessata di alcuni
sciacalli e avvoltoi della politica. Loro, i compagni arrestati a Lecce, amano
la libertà della strada e non il fetore dei corridoi istituzionali. Gli altri,
gli sciacalli e gli avvoltoi, preferiscono gli intrighi di corte e cortile, la
risonanza mediatica, il tornaconto politico. I primi disprezzano i secondi e li
tengono alla larga, i secondi disprezzano i primi ma quando possono li
sfruttano.
Così,
mentre gli anarchici del Capolinea di Lecce erano impegnati
nell’organizzazione della manifestazione di sabato scorso, questi politicanti
da strapazzo erano impegnati a speculare sugli arrestati, cercando di farli
passare per “propri compagni”. Hanno costituito un “Comitato salentino
contro la repressione” che attraverso comunicati e conferenze stampe si è
attribuito la responsabilità dell’iniziativa; hanno cercato e trovato il
sostegno di consiglieri comunali ed eurodeputati; hanno annunciato un luogo e un
orario diverso da quello già stabilito per l’inizio del corteo, con
l’intento di dividerlo in due (davanti i “cattivi’, sotto l’occhio della
polizia, dietro i “buoni”, sotto le bandiere dei vari racket politici). Nei
giorni precedenti la manifestazione, costoro si sono adoperati a diffondere voci
su scontri certi progettati dagli anarchici. E sono giunti ad architettare di
infiltrare un servizio d’ordine fra i manifestanti.
Ma
questa volta hanno fatto male i loro calcoli. Sabato, centinaia di manifestanti
si sono uniti agli anarchici del Capolinea. Non necessariamente perché ne
condividessero le idee, di sicuro perché ne condividevano la lotta contro i
campi di concentramento per stranieri senza documeni. In fondo, dietro a un
patetico striscione autopromozionale, senza alcuna insegna istituzionale,
staccati dal resto del corteo, protetti dalla polizia, insultati e sbeffeggiati
dall’inizio alla fine, c’erano al massimo una quindicina fra sciacalli ed
avvoltoi. Per togliere il disturbo liberandoci dalla loro sgradita presenza, non
hanno nemmeno atteso la conclusione della manifestazione. Ad un certo punto,
dopo che numerosi interventi avevano definitivamente chiarito il carattere
antistituzionale dell’iniziativa, se ne sono andati — chi con le ali
ripiegate, chi con la coda fra le zampe.
La
solidarietà con chi lotta contro il mondo delle espulsioni, del denaro, del
potere, non è merce di baratto politico. Chi è legato a doppio filo con quella
stessa sinistra che ha creato i Cpt, chi si è schierato con i “bombardamenti
umanitari” che hanno provocato migliaia di profughi (e di morti!), chi è
capace solo di reclamare un’ipocrita “deontologia” dell’orrore statale,
non è e non sarà mai un nostro compagno. Meglio un maggio ribelle di un aprile
servile…
Anarchici