CONTRO LE ESTRADIZIONI
Oggi
il concetto di "terrorismo" è un'arma formidabile utilizzata dai
diversi Ministeri della Paura per imporre condizioni sociali ogni giorno più
invivibili. Chiunque metta in discussione l'ordine del denaro e dei manganelli
è un "terrorista". Si tratta, infatti, di una rappresentazione
mediatica in cui il nemico esterno – lo straniero, il barbaro – si confonde
con il nemico interno – il non-sottomesso, il ribelle.
È
in questo contesto che bisogna collocare le richieste di estradizione contro i
rifugiati italiani in Francia e il linciaggio orchestrato dai mass media
italiani contro Cesare Battisti, ex militante dei PAC (Proletari Armati per il
Comunismo) – una delle decine di formazioni armate degli anni Settanta –,
anch'egli esiliato in Francia.
A
partire dagli inizi degli anni Ottanta, come è noto, qualche centinaio di
militanti di gruppi armati ha riparato in Francia per sottrarsi alla cattura. In
seguito ad una situazione esplosiva nelle carceri italiane, e giocando su alcune
differenze fra le rispettive leggi, lo Stato francese decise di assumere il
ruolo di quella che viene definita, nel gergo burocratico dei governi,
"camera di decompressione": una soluzione per assorbire altrove i
conflitti sociali di un paese. Che non si trattasse e non si tratti della
"Francia terra d'esilio e di libertà" lo sanno fin troppo bene le
migliaia di immigrati clandestini espulsi dal suolo francese, imbavagliati e
legati sui charter dell'abiezione, oppure gli indipendentisti baschi estradati o
riconsegnati direttamente alla polizia spagnola (quando non assassinati al di
qua dei Pirenei). A questo va aggiunto che molti ex-rivoluzionari italiani hanno
sottoscritto, a suo tempo, un patto con il quale si impegnavano a non svolgere
alcuna attività sovversiva in Francia in cambio dell'ospitalità. Qualcuno,
come Toni Negri, si spinse qualche anno dopo fino a dichiarare accettabile
l'estradizione di chi si fosse macchiato in Italia di reati di sangue. Ma non è
questa la sede per ricostruire la storia degli esiliati italiani, alcuni dei
quali non si sono mai dissociati (né sul piano penale né su quello politico).
Sarà sufficiente dire che, con Mitterand prima e Jospin dopo, le richieste di
estradizione sono state sia respinte sia disattese in tutti questi anni, cosicché
molti rifugiati si sono stabiliti in Francia e vi hanno costruito la loro vita.
A parte il caso precedente di un anarchico per cui era stata concessa
l'estradizione, nel 2002 veniva "rimpatriato" Paolo Persichetti, da
tempo "clandestino ufficiale" (nel senso che, pur avendo ricevuto un
parere favorevole all'estradizione, la sua presenza veniva
"tollerata"). Il pretesto della sua situazione particolare (i fatti
per cui era stato condannato in Italia sono relativamente recenti e quindi non
rientrerebbero nei criteri della cosidetta "dottrina Mitterand") e i
nuovi accordi di Shengen avevano deciso altrimenti.
Ora
lo Stato italiano, forte del clima generale da caccia alle streghe e della
creazione del mandato di cattura europeo, torna alla carica. Come al solito, le
posizioni più infami e forcaiole sono quelle della stampa legata alla sinistra
istituzionale, che non ha mai perdonato alla generazione scritta sull'acqua la rivolta armata contro il racket
dei suoi partiti e sindacati. Sono pronte ottanta richieste di estradizione, di
cui tre già inoltrate con mandato di cattura (è su questa base che Battisti è
stato arrestato per qualche settimana e poi rilasciato in attesa che la corte
francese si esprima). A rischiare è soprattutto chi è stato condannato
all'ergastolo in Italia (nell'immediato proprio i tre per cui era stato chiesto
l'arresto). Tanto più che qualcuno già all'epoca aveva ricevuto un parere
favorevole all'estradizione. È comunque evidente che, quale che sia la
situazione giuridica dei singoli rifugiati, i conti sono politici – e l'aria
è pesante. Vista la classica solidarietà fra Stati nella caccia ai ribelli, e
alla luce dei nuovi dispositivi europei, la "guerra al terrorismo" è
gravida d'avvenire e di galere...
Purtroppo,
finora ad opporsi all'estradizione è soprattutto l'ambito degli intellettuali
francesi di sinistra, anche per le prese di posizione tristemente democratiche
di alcuni fra i diretti interessati. Eppure la posta in gioco, per il dominio
come per i sovversivi, è considerevole. Si tratta, da un lato, del delirio
securitario che vorrebbe eternizzare il presente, e dall'altra di una polizia
della memoria che vorrebbe rinchiudere dietro le sbarre un passato ancora
esplosivo.
È
il fondamento etico della rivolta con
tutte le sue armi ad essere in
discussione. Ed è qui che bisogna far diga contro questo nuovo assalto dei
tribunali ("la giustizia, questa forma domenicale della vendetta!").
Anche la continua insistenza sul fatto che alcuni rifugiati non si sono mai
dissociati né pentiti non è casuale: l'abiura della violenza rivoluzionaria è
sempre più merce di scambio per ottenere da una parte la clemenza dello Stato e
per giustificare dall'altra una maggiore repressione di quelli che non abiurano
un bel nulla. La logica premiale, basata sul collaborazionismo, parte dai
tribunali e si allarga a tutto il sociale. Anche in tal senso, mistificare ed
imprigionare la storia dell'assalto al
cielo è per il dominio fondamentale.
Della
rivolta generalizzata in Italia degli anni Settanta, come di altre tempeste
sociali, difendiamo una possibilità
non realizzata ma feconda: la possibilità di sabotare un ordine sociale e
tecnologico disumano e di armarsi contro il potere, fuori da ogni
specializzazione gerarchica e militarizzata. Se quella storia continua a
parlarci, è perché le ragioni per insorgere non hanno fatto che aumentare.
Opporsi
a queste estradizioni, nel quadro di una lotta più ampia contro tutte le
espulsioni, significa opporsi a quell'Internazionale delle merci e delle polizie
i cui effetti peseranno su tutti. Significa, allo stesso tempo, rimettere in
gioco quel passato per riprendere le ostilità e liberare tutti i prigionieri.
Sui mezzi per farlo, l'azione diretta ha l'imbarazzo della scelta.
S.L.