IL BUSINESSE DELLE DEPORTAZIONI
Circa 50.000 clandestini sono stati allontanati dall’Italia nel 2004, fino al 31 ottobre. Lo ha annunciato il prefetto Pansa, sottolineando che i costi delle operazioni di rimpatrio sono stati di 12,4 milioni di euro. "Per quanto riguarda le spese di “accompagnamento” (noleggio charter, pullman, pasti, ecc) – ha proseguito il prefetto – nel 2003 sono stati utilizzati 16,5 milioni di euro per 49 voli charter. Nel 2004, fino al 30 settembre, abbiamo speso oltre 9,6 milioni per 92 voli charter".
Di questa parte del business delle espulsioni approfittano, oltre alla Alitalia, diverse compagnie aeree private (come la Air Malta, la Azzurra e soprattutto la croata Air Adriatic) che noleggiano allo Stato italiano i voli con cui vengono allontanati gli indesiderati, uomini e donne la cui unica colpa non è neppure aver tentato di raggiungere il nostro paese illegalmente, ma semplicemente essere troppi rispetto alle necessità dei moderni schiavisti. Finora solo la compagnia Blue Panorama, preoccupata per la pessima pubblicità che le facevano le associazioni umanitarie ed antirazziste, ha deciso all’inizio di aprile di ritirarsi dall’affare.
Quest’inverno però, a fronte dell’ondata di sbarchi di ottobre-novembre, sono stati utilizzati anche velivoli militari, trasformati con notevoli risparmi in vere prigioni volanti. Infatti a bordo di un C-130 possono trovare posto fino a cento persone sorvegliati da appena 3-5 sbirri, contro i 60 normalmente utilizzati sui charter. Il sistema è semplice: gli Hercules sono dotati di tre cinture di sicurezza. La prima, alla vita, è simile a quella utilizzata sui normali voli di linea. Le altre due scendono dall’alto del seggiolino e cingono il passeggero come un paio di bretelle. Un sistema solitamente adottato durante un normale trasporto di truppe, ma che si trasforma in una trappola se si considera che gli immigrati hanno le mani legate da fascette di plastica dentellate, simili a quelle utilizzate dall’esercito e dalla polizia americani per immobilizzare i prigionieri. Assicurati in questo modo, per gli immigrati è impossibile non solo tentare una qualsiasi protesta, ma anche il minimo movimento. Inoltre gli immigrati sono tenuti all’oscuro sulla loro destinazione e solo una volta giunti a Tripoli scopriranno di essere stati consegnati ai poliziotti libici. Eh sì, perché oramai è la Libia a svolgere, per conto del governo italiano, la parte del carnefice. In base agli accordi del 25 agosto scorso tra Gheddafi e Pisanu, infatti, tutti i clandestini che sbarcano in Italia e si presume siano passati dal territorio libico sono rispediti a Tripoli. Rinchiusi in campi di raccolta in mezzo al deserto, in condizioni terribili di sovraffollamento e di violenza, attendono di essere stipati sui camion che dovrebbero riaccompagnarli a casa. Il viaggio – millecinquecento chilometri in pieno Sahara – dura dodici giorni e dodici notti: secondo le stime ufficiali sono già 106 i morti, ma in realtà nessuno sa calcolare quanti di loro siano rimasti sepolti sotto la sabbia, uccisi dalla fatica, dalla sete o semplicemente rapinati e assassinati dai soldati di scorta. Così, quelli che vengono spacciati come “rimpatri” sono in realtà vere e proprie deportazioni di massa, su cui i governi speculano e mercanteggiano e le aziende guadagnano.
AIR MALTA COMPANY LIMITED
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AZZURRA AIR spa
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AIR ADRIATIC
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IMMIGRAZIONE E TORTURE
Il governo svizzero ha presentato un progetto di legge per regolamentare le modalità del rinvio coatto di immigrati ai quali venga respinta la richiesta di asilo. Per gli espulsi che rifiutano il rimpatrio la legge prevede l’uso di manganelli e di pistole ad elettrochoc, che si aggiungono ai brutali trattamenti già utilizzati durante i voli dai poliziotti che scortano gli indesiderati; prevede inoltre che i trattamenti crudeli siano "proporzionati alle circostanze" e adottati in caso di “comportamenti aggressivi”. In realtà, durante il viaggio gli immigrati vengono tenuti immobilizzati con tute integrali simili a camicie di forza, come nel caso di Lukumbo Lombesi (nel 1999), a cui è stata anche applicata una calza di nylon stretta sul volto, un bocchettone fra le labbra legato con scotch e un casco e un pannolone per le necessità fisiologiche. Queste modalità, o anche peggiori, hanno provocato la morte per soffocamento di due espulsi e altri tre casi sono emersi per la crudeltà del trattamento subito. Ma la tortura sembra ormai non turbare più, essendo ritenuta lecita dai governi in nome della “lotta al terrorismo”. Molti dei voli sui quali è stato denunciato l’uso della tortura partono da aeroporti europei, compresi quelli italiani.
In Gran Bretagna si vuole fare della tortura oggetto di studio. Un gruppo di scienziati dell’università di Oxford, finanziati dalla fondazione americana John Templeton, potrà torturare a proprio piacimento nei laboratori dell’università alcuni “volontari” spinti da una profonda fede religiosa: mentre saranno provocate ustioni sulla pelle, verranno loro mostrate icone e oggetti religiosi, allo scopo di capire il grado di sopportazione e comprendere il "diffondersi degli attacchi suicidi" da parte dei fondamentalisti.
Questi esperimenti trovano il consenso di altri Paesi, ad esempio della Svizzera, che come gli USA e la Gran Bretagna intendono scacciare gli indesiderati anche con la tortura.
CLUSTER BOMB
Le “cluster bomb” sono diventate famose anche fuori dai campi di battaglia, dopo il polverone sollevato dal “caso Sgrena” e dalla richiesta avanzata dai suoi sequestratori di mostrare gli effetti di questi micidiali ordigni.
Si tratta infatti di potenti bombe a frammentazione che hanno causato numerosi morti e feriti fra la popolazione civile ovunque siano state usate. Quello che è meno noto è che anche l’Italia le possiede e le produce. Lo hanno scoperto gli attivisti inglesi di Landmine UK e di Human Rights Watch. Pressata da critiche e accuse, la Hunting Engineering ha ammesso di aver venduto a 8 paesi della NATO, fra cui l’Italia, le “cluster BL755”. Già nel febbraio del 2000 il ministro della Difesa inglese, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, aveva affermato che fra i vari progetti di tipo militare in corso con altri paesi ce n’erano quattro che riguardavano proprio le “cluster bomb” e che vedevano l’Italia come partner.
Storie vecchie? Mica tanto, se è vero che lo scorso giugno Human Rights Watch ha denunciato l’esistenza del Guided Multiple Launch Rocket System (Gmlrs) – progetto che vede la collaborazione di Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna – il cui scopo è quello di sviluppare il modello “migliore” in assoluto rispetto alle cluster tradizionali, che peccano un po’ di imprecisione. Questo tipo di bombe, già testate con successo, hanno un raggio di una settantina di chilometri. Si vocifera che l’esercito degli Stati Uniti abbia intenzione di fare un generoso acquisto – almeno 100.000 esemplari – per diffondere meglio la democrazia e la pace, soprattutto quella eterna.