MODIFICATA LA BOSSI-FINI
Il 15 luglio scorso la Corte costituzionale ha stabilito l’illegittimità della norma in base alla quale un cittadino straniero poteva essere espulso senza essere stato ascoltato dall’autorità giudiziaria ed avere avuto modo di difendersi. Il provvedimento di espulsione del questore era infatti immediatamente esecutivo, e quindi la convalida o meno del Tribunale, nelle 48 ore successive, era di fatto del tutto irrilevante.
La prima e più vistosa modifica introdotta consiste nell’attribuire la competenza in materia al Giudice di pace, che subentra al Tribunale. Ben poco è stato fatto invece per rendere effettivo il decantato diritto alla difesa, non essendo previsto alcun obbligo di far intervenire un interprete, e non essendo stato chiarito se lo straniero possa nominare un difensore col beneficio del gratuito patrocinio. Oltretutto, la legge prevede che i procedimenti in questione vengano celebrati in “locale idoneo” reso disponibile dalla questura. Si delinea una specie di procedimento sommario, in cui il giudice diventa una sorta di funzionario col compito di ratificare l’operato dell’autorità di polizia sulla base degli elementi da essa stessa forniti. In questo contesto ben si incastona la figura “non professionista” del Giudice di pace, che non sembra poter garantire un reale intervento di verifica, specie nei tempi ristretti e scadenzati che sono stati previsti e per di più incalzato dalla necessità di provvedere al proprio sostentamento con un compenso “a cottimo” (10 euro a provvedimento). Non a caso, gli organismi rappresentativi della categoria, appena letta la legge, si sono precipitati a Roma a trattare sul prezzo.
Ancor peggio è stato fatto in ordine alla sentenza con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che prevedeva l’arresto obbligatorio dell’espulso che non abbandona il territorio italiano entro 5 giorni. La nuova norma limita l’obbligo d’arresto nel caso in cui la violazione sia ripetuta e prevede il processo per direttissima.
Se lo stomaco regge, andremo a ficcare il naso nei “locali idonei” e se ne riparlerà prossimamente.
Il cassonetto dell'avvocato
L’EPOCA DEGLI SCIACALLI
Una struttura intitolata alla memoria delle vittime di Beslan. Inizia così, con un gesto di sciacallaggio, la “nuova avventura” della Fondazione Regina Pacis, che il 7 settembre ha avviato un altro progetto in Moldavia, inaugurando una casa per bambini di strada alla presenza di giocatori della nazionale e autorità della Federazione Italiana Gioco Calcio.
Con questo nuovo progetto in collaborazione con le Suore Salesiane del Sacro Cuore, continua l’espansione della Fondazione Regina Pacis ad est, zona ancora tutta da conquistare e su cui speculare, anche con la “carità” (come lo stesso don Cesare ha affermato, la Moldavia produce diecimila clandestini all’anno...).
Attualmente la Fondazione gestisce cinque strutture, le cui attività spaziano dalla produzione dei pasti per rifornire mense, al recupero dei bambini di strada al reinserimento delle vittime della tratta delle schiave.
Nel Salento, ovviamente, quello che è un vero e proprio business, viene utilizzato dal Regina Pacis per un suo recupero d’immagine caritatevole, che sempre più viene messa in crisi dalla realtà dei fatti.
CHIUDIAMO I LAGER
La propaganda razzista mediatica e statale, periodicamente ci terrorizza con l’immagine di una presunta invasione da parte di milioni di “disperati” pronti a sbarcare sulle nostre coste, immagine utile a creare il nemico pubblico verso cui indirizzare le nostre paure. Essa si guarda bene dal dire che sono i potenti a determinare le migrazioni attraverso la distruzione di interi paesi con lo sfruttamento economico e le guerre. Che sono i governi a creare le condizioni di clandestinità per poter sfruttare uomini e donne, costretti a lavorare legalmente e illegalmente a basso costo e senza nessuna garanzia, rinchiudendoli ed espellendoli nell’assoluta indifferenza generale quando non servono più. Che sono gli Stati, attraverso le riforme economiche finalizzate alla flessibilità in ambito lavorativo, ad avviarci, italiani e stranieri, verso un futuro sempre più incerto e precario.
Mettere gli sfruttati gli uni contro gli altri, è un preciso disegno per impedire che si prenda coscienza del fatto che, se comuni sono le condizioni di esclusione e sfruttamento, comune può essere lo spazio di una rivolta contro lo sradicamento capitalista che ci coinvolge tutti.
I creatori e i gestori dei CPT, dagli esponenti politici di vario colore fino a don Cesare Lodeserto, direttore del centro di San Foca, vanno affermando che i luoghi come il Regina Pacis non dovrebbero ospitare accanto agli immigrati in attesa di regolarizzazione, anche pregiudicati provenienti da detenzione carceraria e che sarebbero unicamente questi ultimi a scatenare tensioni e rivolte.
Questi figuri fanno finta di scordare che il Regina Pacis, ed ogni CPT, non è un centro di accoglienza, bensì un lager destinato a rinchiudere uomini e donne in attesa di espulsione (non di regolarizzazione), ed è questo fattore a spingere chi è privato della libertà e dignità ad insorgere contro i propri carcerieri. Scordano che molti dei reati per cui un immigrato può finire in carcere sono direttamente legati alla mancanza di quei documenti che lo rendono clandestino (come ad esempio possederne di falsi). Scordano che alla violenza della proprietà privata e della diseguale distribuzione dei mezzi di sussistenza, non tutti chinano il capo, ma qualcuno può decidere di riappropriarsi di quanto gli abbisogna senza chiedere permesso a nessun padrone — ed anche questo può condurre in carcere.
Infine, ora che tutto il Salento è scosso dalla frenesia dello sfruttamento turistico, il sindaco locale si accorge quanto il Regina Pacis sia incompatibile con la vocazione turistica che vorrebbe imporre all’intera zona. Beninteso, che non lo si confonda per un sovversivo; il CPT è incompatibile con gli interessi di mercato e con la possibilità di ricavare denaro, nuovo dio della società odierna, non certo con la dignità dei reclusi e la loro aspirazione alla libertà. Che li si sposti dove non possano offendere lo sguardo di chi deve godersi le vacanze.
Da parte nostra, salutiamo con gioia le numerose evasioni e rivolte che hanno coinvolto l’odiato lager, verificatesi in questi ultimi mesi, attraverso le quali alcuni immigrati hanno riconquistato la libertà, segno che alte cancellate, filo spinato e guardiani armati non possono fermare la voglia di riappropriarsi della propria vita.
SOLIDARIETA’ CON TUTTI I RECLUSI - LIBERI TUTTI FUOCO AI LAGER
Nemici di ogni frontiera