TECHNOSCHOOL, la storia della techno...

 

Nata nelle aree industriali in via di riconversione degli Stati uniti, la musica techno ha trovato la sua cassa di risonanza nel vecchio continente. E' l'espressione di sentimenti eterogenei e contraddittori: l'abbandono e la disoccupazione, il desiderio di comunità e di resistenza, l'individualismo ed il consumo. E' l'incontro muto e passeggero di monadi isolate nella rete globale.

La techno compie dieci anni. E' il 1989 quando, a Detroit, nelle zone industriali abbandonate dalle fabbriche di automobili americane, alcuni disk jockey (dj) diffondono, in feste spesso improvvisate, un nuovo tipo di musica basato su campioni sonori ("sample"), suoni elettronici, casse ritmiche, il tutto "mixato" su computer. La cadenza calcolata in battito per minuto (bpm), la natura dei suoni più o meno "acidi" e l'assenza di voci caratterizzano questa musica. Una musica senza strumenti né spartiti, che non si integra né nelle correnti della musica contemporanea, più colta, né nello schema ben orchestrato delle melodie con messaggio. Il rock denuncia la tirannia del computer contro la libertà della chitarra; il rap si caratterizza per la mancanza di discorsi inquisitori o poetici. La techno è relegata ai margini, sui quali fonda il suo corso e affonda le sue radici.

Le composizioni dei primi dj si basavano su una rete di influenze attinte ai vecchi fondi della memoria collettiva: soprattutto jazz, rock, rythm'n'blues e disco. Essendosi spento il movimento lancinante delle macchine, sembrò a tutti che un vuoto invadesse Detroit. Si impose allora il principio di una struttura in anelli ben cadenzati per celebrare anche la liberazione dell'uomo dalla catena di lavoro a costo della disoccupazione, certo, ma mettendo infine la macchina al servizio della festa, si perturbava lo schema razionale delle sequenze. Il "rumore", come allora si chiamava, perché fa eco ai battiti del cuore affrettati da una folle corsa, da una dichiarazione d'amore, dal groviglio di corpi. Il rumore, come il faro di Alessandria, attira le farfalle di notte e la gioventù oltrepassa le frontiere per recarsi ai suoi "raves", feste che, dal punto di vista del centro e delle autorità politiche, assumono le sembianze di sabbat malefici. Nessuno cerca di comprendere cosa spinge i giovani ad assalire le fabbriche in disuso, a prendere possesso delle zone industriali, con l'unico scopo di "delirare", in tutti i sensi del termine, tra gioia e trance, sentendo di appartenere a una comunità. Per la polizia e i media, la questione è chiara: la confluenza di migliaia di giovani in uno stesso punto si spiega con il consumo di droghe come l'ecstasy. I "technos" sembrano non seguire alcuna regola: costruiscono le loro reti di diffusione via Internet e attraverso i flyers, cartoncini che annunciano una festa senza indicarne il posto per ridurre i rischi di un divieto della polizia. Techno e rap sono come i due fratelli nemici della fondazione di Roma: nelle loro vene scorre lo stesso sangue, ma si differenziano radicalmente per forma, mezzi e fini. Mentre il rap privilegia la strategia dell'opposizione la periferia contro il centro, simbolo del potere e del denaro -, la techno rifiuta di dichiararsi in stato d'assedio. Coltiva, al contrario, l'arte della sovversione, del sottinteso, della deviazione. I ravers preferiscono il rincorrersi al conflitto. Nomadi, circolano in gruppi, si ritrovano di rave in rave, si perdono, si disperdono, si combinano, si separano.

Così almeno funzionava nei raves dei primi anni '90: il dj, per varie ore di seguito, trascina il pubblico sulla sua terra d'elezione. Il mix si svolge a onde. A volte ci si lascia trasportare, a volte ci si fa sorprendere da una lama sotterranea. Mettete gli stessi dischi nelle mani di un altro dj e sarà un altro viaggio. Il dj naviga sull'onda aleatoria di braccia tese, riportandone frammenti di sogni sparsi. Lo spazio techno è un cerchio infinito, in cui il centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo. Negli Stati uniti e in Europa, i primi rave si tengono nelle fabbriche abbandonate, nelle foreste o sulle frontiere non per facilitare il trasbordo di droghe, ma per favorire il passaggio, e infine abolirlo. Ogni rave finisce per diventare il centro di se stesso. Il tragitto spesso lungo verso il luogo della festa fa parte di un gioco di vie iniziatiche che conduce all'al di là, al sacro. La musica techno si svela allora come il totem del mondo, sul quale riposa l'ordine (virtuale), in opposizione al caos quotidiano. Nel 1989 Detroit è un deserto: fabbriche abbandonate, operai disoccupati. Ed è la che i dj Derrick May, Carl Graig, Jeff Mills, Juan Hawtin inventano la techno. E' ancora solo una corrente musicale, una variante della musica house che si era sviluppata nelle discoteche di Chicago. E' quando sbarca sul vecchio continente che diventa un movimento vero e proprio. La techno si sviluppa in tutti i luoghi di crisi, sociale, militare, politica. In Europa si radica a Sarajevo o con la guerra del Golfo. In Asia, con il crollo dei sistemi economici: Bangkok, Phnom Penh, Tokyo ballano oggi i ritmi techno. Attenzione: la techno non ha mai dato risposte alla congiuntura: non propone niente che non sia una sfera d'isolamento, una distanza. In compenso, il modo in cui si schiera, rinvia ai cambiamenti della società. Rimbomba nelle fabbriche abbandonate, le incanta per un'ultima volta: dall'esterno si potrebbe credere che si rimettano in funzione. La techno stigmatizza il passaggio dalla società industriale alla società tecnologica. Permette a delle regioni, a delle culture, di elaborare il lutto del mondo industriale: il nord della Francia e il Belgio sono i bastioni del movimento. Nelle capitali la techno diventa la musica degli omosessuali, colpiti dall'Aids: per loro rappresenta uno slancio di resistenza fisica (ballare per giorni interi) e morale (ritmo guerriero e festoso). Ma gli apostoli hanno preso il cammino del centro e dei media, denunciato il trattamento che gli viene riservato, bussato alle porte dei ministeri... Con la corrente della Love Parade più di un milione di persone che, a ritmo della musica techno, sfilano a Berlino , avviene lo scatto. Ed è stata anche la fine. I produttori indipendenti si sono fatti comprare dalle majors che, visto il suo successo, hanno cominciato a prendere in considerazione questa "originale corrente musicale". I ravers si sono stancati delle feste annullate e hanno ripreso la strada delle discoteche, per la gioia dei loro proprietari improvvisamente convinti dell'interesse di questa "nuova musica".
Anche il rock troverà delle affinità, una affiliazione con ciò che i media cominceranno a descrivere come il nuovo movimento culturale di questa fine secolo. Ma questo è il suo punto debole. Si può veramente parlare di movimento culturale?

Ciò che viene definito in modo generico "techno" ricopre una moltitudine di varianti e di sotto gruppi. Classificabile per ritmi, sonorità, colori: della techno fanno parte la trans, l'ambient, l'acid, l'hardcore, il gabber; classificabile anche secondo le regioni: vi è una techno francese, una italiana, una bosniaca, di Chicago, di Berlino, etc. Era uno dei punti di forza della techno delle origini: fondare una musica universale rispettando i paesaggi, associandoli nel mix. Non è un caso che la techno si sviluppi in una Europa mosaico. I dj non erano considerati creatori, ma "traghettatori di dischi", nel senso nobile del termine, ovvero traghettatori di emozioni, di frontiere.

Oggi il dj rivendica uno status legale, si afferma come un artista vero e proprio ed entra nello show-bussiness. La techno si è imposta come richiamo musicale privilegiato dei media: dinamica, spinge alla vendita, politicamente neutra, non crea discussioni. Nello stesso tempo i sotto gruppi della techno si sono radicalizzati, non tanto per purismo quanto per costituire migliori target di vendita. I raves che mescolavano tutti i generi, hanno ceduto il posto alle serate tematiche selezionate per fasce d'età. E le serate si frammentano in una moltitudine di palcoscenici sui quali sfilano i dj in fila indiana, a tempo cronometrato, tanto e così bene che tutti sono costretti a suonare lo stesso tono, senza la libertà che prima consentivano i viaggi di sei o dodici ore. Mentre prima la techno sorprendeva, nella sua ripetitività, per l'accostamento delle sequenze, ormai le impressioni sono stereotipate, le mode musicali standardizzate, i sistemi di costruzione banalizzati. Il carattere ipnotico che immergeva il raver in un mondo sconosciuto e in una memoria la cui assenza è svelata, ha lasciato il posto ad una produzione di immagini calibrate. Rendendosi più popolare la techno ha perso la sua bella democrazia e tende a diventare ciò che Rimbaud proclamava nelle Illuminazioni, "la più cinica prostituzione". In Francia, qualche irriducibile tenta ancora di perpetuare lo spirito originario: i free parties ed i raves selvaggi, gratuiti, sono inesorabilmente inseguiti. Bpm, il primo negozio di musica techno, ha appena chiuso; la Fnac apre nuovi reparti per rispondere alla domanda e all'offerta. Tutti gli indipendenti devono rientrare nei ranghi, sottomettersi o perire. Gli americani non hanno mai cercato di creare un movimento, ma di fare musica. La techno rimane laggiù una sottocultura marginale. E' negli anni 90, quando sbarca a Londra, che la techno cerca di imporsi come movimento culturale, fenomeno tipicamente inglese. Musica senza parole, la techno non aveva mai pensato di "essere messaggio", né di riversarsi nell'ideologia. Ha quindi proceduto in campo culturale, come pure in quello musicale, con i sample delle idee degli anni '70, gli avanzi del banchetto new age colorati con un pizzico di buddismo. Agendo così, i technos appoggiano le tecniche classiche di manipolazione degli spiriti. Non c'è una letteratura techno. Un romanzo tratta della techno, ma in uno stile convenzionale. Non esiste per niente una scrittura techno. L'autore più techno, da questo punto di vista, è ancora...

Marcel Proust e la sua Ricerca del tempo perduto, sia per la struttura circolare, a sequenze e rotture dello spazio della frase, sia per il suo essere spostato, distanziato, come se il narratore si trovasse nello stesso tempo al centro ed ai margini.

Per i techno le parole non sono che suoni, immagini, superfici delle idee: illustrazioni e pubblicità. Come il giornale televisivo, la techno naviga sull'onda del presente, non si proietta nell'avvenire: è un avamposto, non un'avanguardia. E qui risiede l'ambiguità tra techno e tecnologia: l'uso di tutti i nuovi supporti non crea né un pensiero, né uno stile.

La techno sviluppa la sua moda e prima di tutto la sua moda nell'abbigliamento, mediazione necessaria all'affermazione di una cultura tribale. Negli anni '90 gli streetwear techno si appropriano delle tute degli operai. E' un modo per spezzare l'unione tra significante e significato, di fare delle tute di lavoro un abito di festa, attraverso la provocazione e un tentativo sovversivo, ma anche con umorismo. Oggi nelle mostre si presentano vestiti come opere d'arte senza nessuna ironia, perché tutto in questo movimento va preso al primo stadio. Le poche mostre techno colpiscono per la loro estrema povertà.


NON LASCIAMOLA MORIRE

 

 

Techno will never die!!!!!!!!!!!!!