Poco
conosciuto in Italia, Max Aub fu uno dei più creativi e straordinari personaggi
del mondo letterario spagnolo del 900. In realtà non era spagnolo e la
sua attività si svolse soprattutto in esilio, nel Messico: ma deliberatamente
egli scelse di essere scrittore iberico, adottando il castigliano come lingua
di creazione. Nato a Parigi nel 1903 da padre tedesco e da madre francese,
nel 1914 si trasferisce con la famiglia a Valencia, dove, terminati gli studi,
partecipa alla vita letteraria ed artistica della città, dirigendo il Teatro
Universitario e il giornale socialista Verdad. Nel 1937 è nominato addetto
culturale presso l'Ambasciata spagnola a Parigi: qui, nel 1939, viene arrestato
con l'accusa di comunismo e rinchiuso in un campo di concentramento. Dopo
tre anni di prigionia, nel 1942 riesce fortunosamente ad evadere e si rifugia
in Messico, ove dà inizio ad una intensa attività teatrale, letteraria e cinematografica.
Dopo due viaggi nostalgici in Spagna e in Israele, muore a Città del Messico
il 23 luglio 1972. La produzione letteraria di Aub fu vastissima e importante:
poesia, giornalismo, critica, teatro, cinema, narrativa. Notissimi soprattutto
sono i suoi romanzi imperniati sulla guerra civile spagnola, riuniti sotto
il titolo Labirinto magico e quelli sulla vita di
costume madrileno Le buone intenzioni
e La strada di Valverde. Ma accanto
alla prosa seria e impegnata, Aub coltivò sempre il genere satirico, umoristico;
creò un suo piccolo ed eccentrico mondo di serissima mistificazione, di beffe
che poi non lo erano affatto. Non c'è, in questi scritti, nessun moralismo,
nessuna chiamata di responsabilità: solo un desiderio puro d'ironia, di divertimento,
e una personale, irresistibile forma d'anarchia verso qualsiasi tipo di società.
La verità è che Max Aub fu sempre un grande esiliato senza patria, senza nazionalità,
anche se spiritualmente volle sentirsi spagnolo. Ma la
Spagna ufficiale non poteva certo compiacersi di uno scrittore
che, in pieno regime franchista, scriveva un racconto intitolato La vera storia della morte del generale Franco.
In un altro libro, Jusep Torres Campalans,
egli inventò di sana pianta un geniale pittore cubista spagnolo mai realmente
esistito, scrivendone la biografia, l'epistolario con gente famosa, organizzando
addirittura una bellissima mostra, tutta falsa, di dipinti e disegni postumi
dell'artista. Per due anni la critica ufficiale fu mobilitata, finchè lo stesso
autore decise di interrompere, molto malvolentieri, il suo bel gioco e svelare
la verità. Nel 1963 simulò addirittura una Antologia di poeti e scrittori stranieri
da lui stesso commentati e tradotti in spagnolo. Per suo uso e divertimento
personale, Aub fondò, diresse e scrisse un giornale che inviava agli amici
per le feste: Il Corriere di Euclide
(Euclide era il nome della via dove viveva in Messico), nel quale pubblicava
articoli di grande qualità letteraria e finezza tipografica. Tra questi rimase
famoso il testo del suo apocrifo discorso d'ingresso alla Real Academia Espanola
de la Lengua,
con l'aggiunta di una altrettanto apocrifa risposta di Juan Chabàs. Questi
scritti sono veri e propri capolavori di ingegno letterario, di profonda e
stravagante maestria. Aub fu un autentico, raffinato scrittore d'avanguardia,
un serissimo mistificatore che confuse la critica, ma non ingannò mai, divertendoli,
i suoi lettori; in Torres Campalans egli stesso si confessa: A me non preme la critica, preme di più la
gente, il prossimo. Delitti esemplari
fanno parte di questo piccolo mondo straordinario di Max Aub. I suoi immaginari
assassini rei-confessi hanno in sé una verità visionaria, provocatoria. A
negarne l'esistenza o la possibilità ci sono, sempre pronti, il moralismo
e la logica; ma un grande scrittore e filosofo spagnolo, Miguel de Unamuno,
scrivendo del celebre personaggio di Cervantes, ci avverte: Don Chisciotte...
personaggio immaginario, aveva posseduto tutte le verità del mondo.... Un
libretto pregevole, che sembra uno scherzo un po' dissennato, ma proprio uno
scherzo non è; oggi più che mai ce ne rendiamo conto. Max Aub, a furia di
scherzare, qui ha impugnato la frusta, e giù colpi dove capitava; qualche
scudisciata ce la sentiamo sulla pelle. Ed è giusto: altrimenti divertirsi
e basta, sarebbe troppo comodo, no?
I "Delitti esemplari" sono quelli che quotidianamente,
in intenzione, si commettono e che Max Aub, trasportando la realtà nella surrealtà,
dà per consumati: con lampeggiante fantasia, con davvero esemplare rapidità
e leggerezza. Le antipatie, le insofferenze, gli insopportabili incontri della
giornata di ognuno sfogati e liberati in delitti senza castigo.
I Crímenes ejemplares
- questo il nome originale del testo - nascono nel 1957
in Messico, terra di adozione di Max Aub, autore esiliato
dalla Spagna a causa del regime franchista. La prima traduzione italiana apparve
sulla rivista letteraria il Caffè nel 1969, ad opera dell’illustre
ispanista Dario Puccini. Ma solo dal 1981 i Delitti esemplari si possono
trovare negli scaffali delle librerie italiane, in un’edizione pubblicata da
Sellerio, tradotta e curata da Lucrezia Panunzio Cipriani. In Messico
uscì una seconda edizione del libro nel 1968,
in una versione ampliata, mentre in Spagna - se escludiamo
un breve assaggio di appena una ventina di delitti pubblicati nel 1968 da una
piccola casa editrice - l’edizione integrale dei Crímenes ejemplares
uscirà soltanto nel 1972. Oltre che in Italia, i Crímenes ejemplares
vennero pubblicati anche in Francia nel 1981, dove lo stesso anno vinsero il
“Grand Prix de l’Humour Noir”, nel 1982 in Portogallo e dieci anni più
tardi anche in Germania.
Questi geniali delitti,
sono veri esemplari di umorismo nero. Ognuno di noi sa bene quanto
il delitto attiri la nostra curiosità: le notizie di cronaca nera, tanto più
sono crudeli e orribili, tanto più occupano spazio nell’informazione cartacea
e televisiva. Negli ultimi tempi in particolare proliferano programmi in tv
dedicati interamente a storie di omicidi e dei loro protagonisti. I Delitti
esemplari sono lontani dallo splatter della nostra epoca: non
c’è una goccia di sangue, né budella al sole... Aub evita scrupolosamente di
addentrarsi nella malattia, nella perversione, e ci presenta con grande maestria
un campionario di omicidi proposti come modelli “imitabili”. Chiunque può leggere,
già nel titolo, l’intenzione divertita dell’autore, che tra l’altro si dichiara
convinto che questo libro sia “un omaggio alla fratellanza e alla filantropia”.
I delitti descritti da Aub stimolano nel lettore il sorriso anziché provocare
un turbamento. Questo perché l’esercizio inoffensivo della violenza permette
all’autore ed al lettore di abbandonarsi a un gioco liberatorio, contravvenendo
così ad un codice morale stabilito. Max Aub, se pur attraverso il gioco, ci
mette però di fronte alla necessità di guardare da vicino un diffuso atteggiamento
che riguarda tutti gli uomini, un’ingiustificata idiosincrasia che ciascuno
di noi sperimenta nel quotidiano rapporto con gli altri. “Forse la maledizione
del nostro tempo – afferma Calvino nella sua recensione dei Delitti
esemplari - non è l’irresistibilità della violenza, ma tutto il contrario:
è la pretesa che la razionalità possa escludere completamente le spinte omicide
che sono in tutti noi, convinzione da cui deriva il corollario abominevole che
la razionalità possa anche accettarle e adoperarle.” («Piccoli assassini,
sapienti e giocolieri», La Repubblica, 15 agosto 1981). Dietro
l’eccessiva banalità di questi omicidi è infatti rintracciabile una verità che
ogni giorno inonda i quotidiani di tutto il mondo: dal gesto irrazionale di
chi spara sulla folla, alla furia omicida del fondamentalista che uccide in
nome di Dio.
Ma alla radice di una letteratura così eterogenea e indomabile, che spesso
fonde insieme verità storica e finzione attraverso l’ironia, c’è in realtà un
forte desiderio di essere libero: quelle catene che durante la vita costrinsero
Aub a subire gravi frustrazioni, vengono spezzate nelle sue creazioni letterarie,
dove mai rinunciò a esprimere le sue più profonde convinzioni. In fin dei conti,
come ci ricorda lo stesso Max Aub, “non ho perso la terra che più amavo
per tacere ciò che ritengo giusto.”