L’Accademia Culturale di Rapallo 1° UNIVERSITÀ DELLA “ETÀ D’ORO”
presenta
schegge da
lettura scenica con gli allievi del laboratorio teatrale dell'Accademia Culturale
regia Patrizia Ercole
Torre di Villafranca - ore 18.00 – 23 maggio 2004 - Moneglia
Pirandello nacque a Agrigento (che allora si chiamava Girgenti) nel 1867, nel podere di campagna chiamato Caos, un toponimo cui Pirandello dette in seguito un valore simbolico per sé e per la sua opera. La sua famiglia apparteneva alla borghesia commerciale, di tradizione risorgimentale e garibaldina. Ebbe interessi filologici e letterari, frequentò le università di Palermo Roma e Bonn: si laureò a Bonn con una tesi in tedesco di fonetica e morfologia sulla lingua della sua città ("La parlata di Girgenti"). Tornò in Italia nel 1892, si stabilì a Roma. Grazie a Luigi Capuana strinse contatti con la cultura militante, collaborò con scritti critici e poesie alla «Nuova Antologia»; fece sul «Marzocco» un'accesa polemica antidannunziana, insistette su vari periodici sul tema della crisi dei valori di fine secolo (si veda il saggio Arte e coscienza d'oggi , 1893).
Sposò Antonietta Portulano che gli darà tre figli (Lietta, Stefano che divenne scrittore con il nome di S. Landi, Fausto che divenne pittore). Una crisi delle aziende familiari di zolfo rovinò il suo patrimonio e quello della moglie: la moglie ne fu tanto sconvolta da averne per sempre la mente scombinata. Pirandello si dedicò all'insegnamento: nel 1897-1922 fu professore di stilistica prima e di letteratura italiana poi nell'Istituto superiore di magistero di Roma.
Nel 1929 divenne accademico d'Italia. Nel 1934 ebbe il nobel. Egli aderì pubblicamente al fascismo. Morì a Roma nel 1936 mentre stava lavorando al dramma I giganti della montagna.
Alla morte di Pirandello sono rispettate le clausole testamentarie: essere avvolto nudo in un lenzuolo, messo in una cassa sul carro dei poveri per un funerale senza fiori, senza discorsi, senza essere accompagnato da alcuno, nemmeno dai figli.
Le motivazioni del premio nobel: "for his bold and ingenious revival of dramatic and scenic art".
La storia del teatro di Pirandello è la storia di un processo di liberazione dalla verosimiglianza per raggiungere la verità del teatro: se, secondo una lunga tradizione, il teatro era il luogo dell’illusione, Pirandello vuole che questo diventi, o ridiventi come accadeva nel teatro greco, il luogo della verità. Lo stesso titolo con il quale Pirandello raccolse la propria produzione teatrale, Maschere nude, apparentemente contraddittorio nei termini, è significativo: l’autore voleva dire che proprio attraverso la finzione teatrale bisogna raggiungere la verità della condizione umana. Il problema della finzione viene affrontato in una serie di opere, tra le quali Così è (se vi pare). Rappresentata a Milano nel 1917, non riscuote grande successo ma colpisce molto il pubblico e la critica. Lo stesso autore, presente alla prima, parla di pubblico sgomento ed irritato dalla situazione poco chiara dei personaggi: la realtà del “così è” viene messa continuamente in discussione dal “se vi pare”. È infatti un testo sfuggente, giocato su un’unica situazione che va avanti per tutta l'opera. Pirandello però non vuole giocare sullo stato civile dei personaggi, dei quali non si riesce a conoscere l’esatta identità, poiché il problema non è la verità dei fatti, bensì la ricerca della verità delle motivazioni delle azioni dell’uomo. L’aspetto poi forse più interessante ed originale del teatro degli anni ’20 e '30 di Pirandello fu il “teatro nel teatro”, rivoluzione di tipo linguistico e drammaturgico che influenzò non solo la drammaturgia italiana degli anni ’30, ma anche la grande stagione della neo-avanguardia degli anni '60-'70.
Giovanni Antonucci - Storico del teatro
Schegge da Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello