Lettera agli amici Condeúba, ottobre 2005-
“L’utopia (il sogno) sta lá, all’orizzonte.
Mi avvicino di due passi e l’orizzonte si allontana di due passi.
Cammino dieci passi e l’orizzonte si allunga dieci passi.
Per quanto io cammini, mai riusciró a raggiungerlo.
A
che serve l’utopia? Serve a questo: CAMMINARE....”
Eduardo Galeano
Non avrei mai pensato di trovare il coraggio, la forza e la fede per decidermi di dedicare alcuni anni della mia vita al popolo brasiliano, lavorando nella missione diocesana in quel di Condeùba (Diocesi di Caetité, Bahia).
Non
mi rendo ancora conto di come, effettivamente, siano andate le cose.
Chi abbia diretto il gioco e sistemato per bene il mazzo di carte. É stata una partita intensa!
Fatto sta che adesso sono qui e mi sto giocando la vita e la mia quotidianità alla luce e con il sostegno della Parola di Dio, che dovrebbe essere, per noi cristiani, lampada ai nostri passi e fondamento della nostra speranza e alimento ai nostri sogni.
La sfida continua é guardare sempre avanti e costruire il proprio cammino e, il più delle volte, il cammino interiore (che é quello vero e più profondo) é difficile, perché siamo condizionati culturalmente e non siamo limpidi e trasparenti.
Siamo determinati e condizionati da tutto quello che é visibile in questa nostra società, famiglia, scuola, religione, ideologia dominante, cerchia di amici e familiari.
Ma, se osserviamo le cose più in profondità e ci lasciamo illuminare dalla psicologia del profondo, la stessa storia dell’umanità ha lasciato le sue tracce in noi, nella forma di esperienze buone o cattive che l’umanità ha sperimentato e vissuto nei riguardi del padre o della madre, della malattia, della morte, davanti al sole o alla luna, davanti alla nascita e nei riguardi dell’altro diverso da noi.
É come dire che siamo abitati da un mondo già costruito e per questo siamo scontati, invecchiati con il mondo e ce lo portiamo dentro.
La cultura dominante non ci aiuta ad essere creativi, ad essere noi stessi, a tenere alto il nostro profilo, la nostra originalità.
Fa di tutto per appiattirci sulle cose, sulla religione familiare, sulla società, sulle tradizioni e sulle rappresentazioni dominanti.
Io credo che ogni percorso educativo ed ogni esperienza di vita dovrebbero essere vissuti e sperimentati come pratica della libertà.
La vita dovrebbe essere intesa e realizzata come creazione di sé stessi, in una relazione libera con gli altri, dando e ricevendo.
Ma non é facile... Tutto é molto complicato... Tutto ci sfida e ci provoca....
É facile percorrere un cammino già fatto, scontato, già battuto.
Il pulmann che ti porta fino all’altra città, é lì a tua disposizione... Non devi fare altro che salire e accomodarti. Ma la grande sfida é inventare, battere un percorso nuovo, fare la propria strada... Costruirci e crearci il nostro cammino....
Per chi é cristiano, non é possibile ignorare il coraggio dello stesso Gesù nell’aprirsi il suo cammino e nell’inventarsi, giorno dopo giorno, la sua fedeltà a Dio e agli uomini.
Dovremmo tentare di fare ciò che Gesù fece, ma dentro ad un cammino che sia nostro, mio e tuo.
Un cammino che ci appartenga... Un cammino abitato da quello che siamo e da quello che vorremmo essere. Un cammino costruito dalle nostre speranze e dalle nostre paure...
Un cammino umano e divino, dentro il quale possiamo anche sperimentare il buio, la crisi, la stanchezza, la sconfitta, ma nella consapevolezza che la grande sfida e l’unica vera avventura della vita é conquistare il proprio nome e costruire il proprio cammino e la propria identitáà.
In questa faticosa e affascinante esperienza, nessuno può essere sostituito o rappresentato.
Ogni giocatore deve collocare sul tavolo da gioco della vita le sue carte e giocarsi la sua partita, affidandosi alla buona Sorte e alle sue capacita...
Nonché agli imprevisti e all’altalenarsi della fortuna.
Sono ormai passati otto mesi da quando mi trovo a lavorare nella parrocchia di Condeúba (BA - Brasil) e nelle 52 comunità sparse e disperse nel Municipio cittadino.
Si
tratta di un territorio la cui estensione é più o meno come tutta la provincia
di Rovigo.
Nel
mese di agosto ho iniziato a realizzare il mio sogno, che era quello di
incontrare e visitare tutte le famiglie di tutte le comunità, lasciando per
ultime le famiglie della città.
Sto
vivendo un’esperienza unica e irripetibile che sta diventando per me, giorno
dopo giorno, una fonte zampillante di acqua fresca e dissetante in mezzo
all’arsura e alla secca del Sertão.
Incontro e visito le famiglie tre giorni la settimana, lunedì, martedì e mercoledì. A volte anche il Sabato. Partenza alle 7.30 e rientro intorno alle 21.30... É una faticaccia, ma quando rientriamo, a notte fonda, alla base di partenza, sia io che l’autista che mi accompagna, teniamo il cuore gonfio di gioia e di gratitudine al Signore per tutte le persone che ci ha fatto incontrare e per i volti sorridenti e riconoscenti con i quali ci siamo regalati reciprocamente e gratuitamente attimi di felicita e briciole di speranza.
Questa avventura che sto vivendo é una sfida con me stesso e con la mia ostinazione. É um cammino di resistenza e di liberazione in cui non é possibile tirarsi indietro o collocarsi in una posizione di retroguardia e di attesa rassegnata.
Ogni giorno, daccapo, ci si deve rimettere in cammino, darsi nuove motivazioni esistenziali e pastorali, fidandosi di Dio e tentando di impiantare su di Lui la propria vita e i propri sogni, nella certezza che con Lui e sulla sua Parola é possibile costruire sulla roccia e dare solidità e spessore alla propria vita.
Bisogna
resistere e lottare... Per
liberarsi e liberare, con pazienza e tenacia.
Per
non essere tentati di urlare la propria rabbia quando si entra nelle case di
questa gente, che il più delle volte sono case poverissime e umilissime, dove
persino il pavimento di terra viene spazzato con cura perché sia più
accogliente e dignitoso e dove ti invitano a sederti su una panca e a bere un
cafezinho...
E
ti ringraziano del miracolo di poter ospitare, per la prima volta nelle loro
vita, un padre, che per loro é una grande e a lungo attesa benedizione.
Tutto, qui,
é una benedizione di Dio... La
visita del padre, l’acqua, i figli...
Alcune
persone, il giorno della visita del padre, non sono andate nel campo a lavorare.
Hanno
preferito attendere la visita del padre, per pregare insieme e accogliere, tutta
la famiglia, la benedizione di Dio.
Una
vecchina, abbracciandomi e piangendo di gioia, mi disse che mai avrebbe pensato
di poter ospitare nella sua casa un padre prima di morire.
Sto
imparando da questa gente, la cui forza é grande nella resistenza, ma limitata
nella lotta per cambiare le strutture, che tutto é GRAZIA, tutto é dono di
Dio, che ogni cosa ha il suo giorno, il suo tempo, che prima o poi anche il
padre sarebbe dovuto arrivare a visitarli e a benedire le loro case.
Basta resistere e pazientare!
La forza dei
poveri é grande per soffrire, ma piccola per agire... Sono maestri nell’insegnarti a resistere, a non perdere la speranza,
a sorridere alla vita, nonostante tutto. E nello stesso tempo non riescono a
trasformare questa resistenza e questa pazienza in una vera lotta di liberazione
e di salvezza.
Attendono e sperano sempre che qualcuno stia loro vicino e condivida la loro situazione e la loro lotta.
Tra questa gente e per questa gente, la vita é il grande miracolo, il luogo dove puó succedere di tutto, se Dio lo desidera.
“Se Deus
quiser” é il loro esprimersi più spontaneo e consueto. Se
Dio lo vuole, se Dio lo desidera.
Stava
scritto nel piano di Dio che ci dovessimo incontrare e loro hanno incontrato
nella mia persona un segno tangibile dell’esistenza e della presenza di Dio e
anch’io ho percepito, entrando in quelle case e incrociando quegli sguardi,
che forse Dio esiste per davvero e che é un Dio fragile, debole, paziente,
grande nel soffrire e nel resistere, ma ancora povero e piccolo nell’inventare
veri percorsi di liberazione e di salvezza.
Qui i figli sono tanti... piccoli e grandi.
I
più piccoli corrono per la casa o li incontri lungo la strada mentre
accompagnano le mucche al pascolo o dinnanzi ad un edificio scolastico, in
attesa della corriera sgangherata che li riporti a casa dopo le lezioni o mentre
rincorrono una pallina di vetro o giocano tra di loro con un giocattolo di legno
costruito dal padre...
I
più grandi, molti, fuggono verso la grande città,
São Paulo, 20 milioni di abitanti, in cerca di lavoro e di un
po' di denaro, per tentare di sottrarsi ad una condanna che pare
inesorabile e senza vie di uscita.
São Paulo é vista, come negli anni ‘50 e ‘60, erano viste da noi in Italia, Milano e Torino. Luoghi dove é possibile fare un po' di denaro per poi tornare nel campo e costruirsi una casetta e vivere più tranquilli.
I figli sono sentiti, visti e vissuti come speranza, come forza, come futuro, come coloro che possono dare un po' di colore, di bellezza, ad una vita spesso grigia e opaca, aiutando a sentirsi meno soli nell’affrontare la dura battaglia della vita.
Io non so per quanto tempo resterò qui in Brasile a lavorare nella missione diocesana... Tutto sta nelle mani di Dio e rimane avvolto nei suoi misteriosi e strani progetti!
Quel che conta é vivere il momento presente come opportunità unica di donazione e di condivisione, come arricchimento umano, spirituale e culturale con questo popolo del sertão, dove il terreno é duro e secco, ma dove la gente é tenera e accogliente....
Camminare per alcuni anni con questo popolo, apprendere che la vita é un miracolo continuo dove non ci si incontra mai per caso e che ogni volto é un tratto dello stesso volto di Dio.
Per quanto riguarda gli altri giorni della settimana, ogni giovedì ci incontriamo, come missionari diocesani, a Piripá per pregare, riflettere e confrontarci sulla nostra azione pastorale qui in Brasile.
Piripá é il campo base, da domenica sera a giovedì pomeriggio e soltanto condividendo e sostenendoci reciprocamente, é possibile affrontare uniti le sfide e le difficoltà di ogni giorno.
Al
venerdì mattina e pomeriggio, mi rendo disponibile per accogliere le persone
che desiderano parlare col sacerdote e incontrarsi col perdono e l’amore di
Dio Padre.
Il
sabato e la domenica sono dedicati ai matrimoni, ai battesimi, alla catechesi,
ai vari incontri con i giovani e con altre realtà parrocchiali.
Il
momento più importante, sia quando si visitano le famiglie della zona rurale,
sia quando si vive e si opera nella città, é l’incontro eucaristico.
Ascoltare
la Parola di Dio e mangiare il Pane Benedetto é la grande festa dove le
famiglie visitate durante la giornata, si raccolgono per essere Chiesa di Gesù
in quel territorio e dove le attività della parrocchia incontrano il loro senso
e significato più profondo.
Stiamo vivendo in un mondo, in una società continuamente tentati di fermarsi, di chiudersi in sé stessi. E persino le nostre anime corrono il rischio di rimanere imprigionate dentro ai perversi meccanismi di questa società e di questo mondo.
Società e mondo che ignorano i poveri e lasciano da parte la giustizia e i grandi sogni e dove anche la Chiesa, sebbene possa accumulare un grande potere e prestigio temporale, perde la sua ragion d’essere, il suo carattere e la sua missione, ogni qual volta é tentata di accantonare la questione dei poveri.
Questo problema non é soltanto una delle molte questioni, non é soltanto una parte del processo di evangelizzazione accanto a molte altre parti.
La questione dei poveri é l’unica sfida di fronte alla quale tutte le altre impallidiscono!
É il critério di fondo che permette di valutare tutto il resto della evangelizzazione, é la questione fondamentale da cui dipendono tutte le altre.
Dio giudica l’autenticità della Chiesa dalla sua maniera di trattare i poveri!
Se tutto il sistema di annuncio del Vangelo non ruota attorno ai poveri, diventa falso e spiritualmente inefficace, sebbene possa conferire grandi poteri umani.
La Chiesa, senza i poveri, si riduce a una impresa religiosa che può essere anche potente, ma che non ha nulla a che vedere con l’annuncio di Gesù Cristo.
La questione dei poveri non é un problema relativo soltanto ad una determinata epoca, come se l’opzione per i poveri potesse essere una moda temporanea e come se non fosse il nodo della questione, il criterio della fedeltà a tutta la storia della salvezza, a partire dalle origini del popolo di Israele.
Come uomini e donne, amanti del sogno e della vita e come discepoli di Colui che venne nel mondo per dare inizio alla realizzazione del grande sogno di Dio, siamo invitati a ricordare sempre che la storia rimane aperta al progetto divino e alla invenzione umana e che é possibile sognare un mondo diverso, dove tutti possono godere delle condizioni basiche di vita e dove il Vangelo di Gesù possiede sempre la capacita di contribuire a dare un significato profondo e unico alla vita.
Ma il Vangelo di Gesù ha bisogno di donne e di uomini liberi e fedeli, che sappiano coniugare memoria continua del passato, attenzione vigile al presente e sguardo lungimirante verso il futuro.
Ogni epoca dovrebbe generare, per potersi salvare e rinnovare, donne e uomini pronti e disponibili a redimere il tempo e la storia, donne e uomini che con la loro vita ci offrano una visione del mondo come potrebbe e dovrebbe essere...
A ciascuno di noi, in Polesine o nel Brasile o in qualsiasi altra parte d’ Italia o del mondo, la responsabilità, impastata di gioia e di fatica, di tenere gli occhi aperti e di guardare avanti e distante, perché la luce che ci sta venendo incontro é sempre più grande del buio che ci lasciamo alle nostre spalle...
Forse, il più bello della nostra vita e della nostra storia umana deve ancora accadere!
La grande sfida come donne, come uomini e come credenti, é farlo accadere presto, perché la maggior parte dell’umanità si sta stancando di aspettare.
Buon cammino e buona fortuna!