Il linguaggio tossico di Leonardo Montecchi



Una riflessione su questo titolo può portarci lontano,ad esempio si può pensare che esistano effetti di tossicità del linguaggio. Effetti di tossicità possono essere rappresentati da stati emotivi prodotti dal linguaggio ad esempio una minaccia di morte è solo una proposizione che viene interpretata come una azione futura possibile e per questo motivo genera uno stato emotivo di "paura".
Questo semplice esempio ci mostra come il linguaggio possa produrre emozioni e dunque anche emozioni che possono "intossicare"; questa può essere definita la condizione di un essere umano sottoposto continuamente ad ordini che si contraddicono e cioè a paradossi linguistici. Sono numerose le analisi degli effetti dei paradossi anche nel campo della pragmatica della comunicazione e per estensione nella "patologia" della comunicazione, anche se questo termine connota il fenomeno nel senso di un giudizio di valore.
Del resto sono ben noti gli studi di Bateson sul doppio legame; così la scuola di Palo Alto, che riporta la problematica del disturbo mentale ad un disturbo della comunicazione ed in particolare al paradosso che trasferisce sul piano del linguaggio il concetto di doppio legame. Ad esempio: "Tu devi spontaneamente fare quello che voglio io". Oppure è indicativo l'esempio riportato da Waslawich sul giuramento che fu fatto fare ai conversi alla religione cristiana in Giappone quando vennero ricondotti alla religione maggioritaria.La formula del giuramento prevedeva "Che in nome del padre del figli e dello spirito santo si abiurasse il padre il figli e lo spirito santo".

I paradossi hanno anche una "tossicità" logica, ad esempio il paradosso del mentitore ha provocato e provoca enormi difficoltà a generazioni di logici dal V secolo avanti cristo. Come è noto questo paradosso recita: Epemenide cretese dicendo che tutti i cretesi sono bugiardi dice la verità o mente. Detto in un altro modo se io vi dico "Sono bugiardo" dico la verità o una bugia? Non è facile rispondere a questa domanda e così generazioni di logici si sono interrogate sulle bugie di Epemenide, su chi fa la barba al barbiere nel paese dove una legge impone che nessuno si debba radere da solo e così via con altre situazioni interessanti.

Ma il paradosso non è il mio tema, serviva solamente a sottolineare che il linguaggio può essere tossico cioè può produrre effetti non solo nella mente ma anche sul comportamento e perfino sul corpo. Parliamo un pò degli effetti sul corpo.

Consideriamo un racconto o una rappresentazione teatrale con dialoghi particolarmente emozionanti. Quelle parole, quel linguaggio che noi ascoltiamo giunge attraverso le vie acustiche alla corteccia cerebrale e di lì viene associato a precedenti tracce di memoria, poi vi può essere tramite le vie effettrici una attivazione del sistema nervoso autonomo e tramite l'innervazione parasimpatica può venire lo stimolo alla secrezione di un liquido organico: una lacrima. Pichon Riviere, uno psichiatra e psicoanalista Argentino, fa questo esempio per mostrare un modello psicosomatico. Dunque se il linguaggio ha un effetto sul corpo,questo effetto può essere positivo o negativo ci possono anche essere parole che curano? Io credo di si.

Ma torniamo al nostro tema ed affrontiamolo da un'altro vertice, il linguaggio tossico come il linguaggio dei tossici intesi come tossicodipendenti. Gia qui possiamo osservare un primo elemento di tossicità del linguaggio. Quale elemento? Si tratta del "tossico", un termine gergale che connota un'idea del fenomeno di cui ci stiamo occupando, più che un'idea uno stereotipo. Infatti che cosa significa tossico? Dobbiamo effettuare una analisi del senso comune, così lo definiva Gramsci, ma anche sociologhi come Shulz del resto, e tutta la corrente della etnometodologia e della analisi della conversazione, pongono l'accento sullo stok delle conoscenze socialmente condivise; la semiotica nella versione di Umberto Eco chiama questo stok Enciclopedia.

Non si tratta di conoscenze scientifiche o sociologiche o filosofiche "professionali", ma di concetti che si sono calati nel senso comune e che però provengono da discipline "alte". In questo senso siamo tutti scienziati quando nella nostra quotidiana conversazione facciamo riferimento alla teoria eliocentrica e non a quella geocentrica, che sarebbe di più immediata osservazione.La teoria copernicana contraddice il senso comune di un osservatore empirico e per diventare patrimonio condiviso di conoscenza ha attraversato le difficoltà che ci sono note.

Ma spesso il senso comune non utilizza concetti per pensare, ma applica stereotipi per ridurre la quantità di ansia che qualsiasi situazione nuova produce. Così avviene per il concetto di "tossico" che viene utilizzato per definire situazioni che altrimenti necessiterebbero di un lavoro di comprensione più vasto.

"Tossico ucciso dal padre dopo l'ennesima lite".
"Tossico uccide anziana signora investendola con l'auto".

Queste sono due situazioni che vengono definite dalla parola "tossico". Infatti ciascuno di noi con queste descrizioni pensa subito: certo povero padre non ne poteva più di quella situazione, ha cercato una soluzione. Oppure, per il secondo caso: è terribile con questi tossici in giro aumenta il rischio per tutta la gente perbene.

Ora,per mostrare che aveva ragione il vecchio Tino Scotti, che in un Carosello sui lassativi diceva "basta la parola", proviamo a sostituire lo stereotipo "tossico" con un'altra parola che potrebbe definire la stessa situazione e vedremo il cambiamento di senso:

"Milanista ucciso dal padre dopo l'ennesima lite".

In questo caso siamo portati a pensare che la situazione si definisca nel contesto di una lite sportiva e forse pensiamo che il padre, magari tifoso della Juventus, sia impazzito e non si sia controllato più. Se leggiamo l'articolo del giornale magari apprendiamo che il figlio faceva uso anche di qualche pasticca quando andava allo stadio e che il padre era un alcolizzato. Ma la situazione stereotipata è definita dalla parola "milanista" che fa pensare all'ambiente dei tifosi ecc.

"Sacerdote uccide anziana signora investendola con l'auto".

In questo caso la situazione si definisce come: "la disgrazia" e noi siamo portati a pensare che il sacerdote è stato veramente sfortunato e che per tutta la vita penserà a quella povera signora, che tutto sommato è stata anche fortunata perchè è morta subito senza sofferenze e poi ha trovato chi pregherà per lei.

Questo per mostrare come la parola "tossico" produce già da sé una definizione in negativo della situazione che attribuisce la "colpa" al tossico. Potremmo leggere ad esempio nel nostro immaginario articolo di giornale che il sacerdote, da tempo in crisi, aveva cominciato ad assumere psicofarmaci in dosi eccessive al di fuori delle prescrizioni mediche e che nell'ultimo periodo prima dell'incidente aveva preso l'abitudine di confezionarsi da solo cocktails di farmaci ansiolitici e che era finito in ospedale anche per questo.

Queste descrizioni del sacerdote ci fanno pensare, la parola "tossico" no; questa parola definisce moralisticamente la situazione e funziona da capro espiatorio attirando su di sé tutte le ansie connesse al fenomeno della tossicodipendenza. In questo senso funziona come una comoda etichetta che ci impedisce di approfondire e serve per evitare il pensiero.

Con il tossico non c'è soluzione solo una soluzione finale e se malauguratamente questa etichetta coincide con un individuo questo individuo con tutta la sua storia con le sue relazioni sociali e famigliari scompare viene cristallizzato, ridotto ad una cosa che ha un comportamento prevedibile e che va trattata nello stesso modo. Tutto questo come possiamo vedere è assurdo, eppure questo stereotipo è largamente utilizzato ed è entrato nel senso comune.

Vediamo ancora gli elementi che costituiscono lo stereotipo. Il tossico è giovane, tutti i tossici muoiono giovani, fa soffrire i poveri genitori, era tanto bravo da piccolo, è stato traviato dalle cattive compagnie, è bugiardo, è trasandato, porta l'orecchino, forse ha l'aids, non lavora e invece gli farebbe bene un po di lavoro manuale, è viziato, ha avuto troppo dalla vita ecc.
In base a questo stereotipo un signore di 45 anni con moglie e figli che non vive più con i genitori da quando si è sposato, che ha cominciato a fare uso di eroina a 34 anni, che ha avuto momenti di grave intossicazione in cui si è speso tutti i soldi dello stipendio ed anche qualche risparmio, che tuttavia non ha mai nascosto questa sua situazione alla moglie, mettendola sempre al corrente di ciò che faceva: costui non dovrebbe essere un tossico. Eppure anche se non ha l'orecchino e si veste come un commesso di un negozio di abbigliamento ha una fortissima problematica di dipendenza da sostanze tossiche.

Questo per pensare assieme al fatto che il linguaggio tossico è un linguaggio che comunica emozioni. Le emozioni possono scaricarsi su stereotipi che a volte si trasformano in capri espiatori provocando una catarsi, cioè una purificazione, come diceva Aristotele parlando dell'effetto della tragedia greca; questa catarsi fa sentire meglio, ma non risolve il problema, anzi spesso lo aggrava per cui si rende necessario un nuovo capro espiatorio una nuova catarsi ecc.

L'altra via, che ovviamente noi preferiamo, è la trasformazione delle emozioni in pensieri, in concetti operativi che siano in grado di farci comprendere il fenomeno che osserviamo e su cui vogliamo intervenire.

Per concludere si tratta di aumentare l'area della coscienza apportando nuove conoscenze che divengano senso comune, strumenti di un pensiero operativo diffuso, stock di conoscenze e che entrino nella enciclopedia che utilizziamo nella nostra conversazione quotidiana, anche quella cosiddetta "futile", quella del bar, della parrucchiera ecc.

Questo cambiamento del linguaggio quotidiano è ciò che permetterebbe al linguaggio stesso di non essere "tossico" e cioè di socializzare la conoscenza e non di rinchiuderla in un cerchio esoterico che divide i colti dagli ignoranti.

Questa è una distinzione che, io credo, dobbiamo superare perché l'essere umano ha fortunatamente la capacità di pensare e di agire di conseguenza, qualche volta agisce senza pensare, ma poi cambia.