ROUGH TRADE BODY 13
words and music by Tania G Rizzo
© 1996-1997 Tania G - ConCept Italia



Essere a metà del libro, almeno a giudicare del numero di pagine del block-notes, non significa di necessità anche fare il punto della situazione, ma dato che so benissimo di essere stata un poco una-che-ti-fa-un-gran-casino-in-testa, vorrei proprio usufruire di qualche riga per riassumere i fatti.

Naturalmente è chiaro che qui non sto parlando proprio di fatti, però è attraverso una sequela di vicende che ho capito alcune cose.

Sono stata per molti anni in un ambiente, quello della mia città natale e naturalmente quello scolastico, dove, per motivi, credo, abbastanza normali, ho indugiato parecchio a fare quel tipo di passi che ti portano gradualmente all'età adulta.

Dunque il modo neutro di connotarmi nel vestire, il rifuggire le relazioni sentimentali, e il lavoro come passione, la passione come lavoro.

Ad un certo punto mi sono resa conto, e la cosa mi è piombata addosso piuttosto che rappresentare una mia scelta, che avevo uno strumento di potere non indifferente. Questa scoperta per me è stata significativa perché non è cominciata mentre ero in relazione con qualcuno su cui esercitassi questo potere.

Mi sono resa conto molto semplicemente che mi piacevo, e anche parecchio. In sostanza tutto il periodo successivo ha rappresentato una tensione notevole per me, perché stavo facendo un bel minestrone della mia vita. L'arte, vista a posteriori, non solo per me non era una passione adolescenziale, ma direi proprio una disciplina, una scelta.

In questa continuità ho trovato maggior equilibrio, proprio perché se avessi usato ogni mezzo per ottenere i miei obiettivi, prima di tutto avrei perso le certezze, poi probabilmente anche me stessa.

Questo è assai importante, eppure lo sto ancora imparando.

Io penso a tante cose sulla mia figura di artista, ma non facevo le "marachelle" per spirito di ribellione, che cavolo. Io pensavo, anche se non in termini così mistici, che l'oggetto estetico non è altro che un segno con carattere di necessità, perché ispirato.

C'è il bene, il vero, il bello. Cose che a volte possono essere difficili da comprendere, e anche scomode. Non è mica che ciò che è bello è bello, troppo facile. Tu ti poni come strumento per creare, ma il soggetto è l'opera, mica tu.

Ecco che arriviamo all'ambiente sociale. Io vorrei proprio sparire, ciò che faccio potrebbe essere arte popolare, e se ne dimentica l'autore, al limite.

Mi va bene, intendiamoci, di firmare le cose che faccio, ma se l'ambiente che mi mette a disposizione i canali di comunicazione è composto di persone per cui io sono un qualche oggetto di desiderio (fisicamente parlando), il problema è almeno mio.