La
macchina che gioca a scacchi (e vince) e' la meta ideale dell'uomo
da quasi tre secoli. Infatti il desiderio di realizzare una tale
macchina non e' una moderna conseguenza della realizzazione dei
computer, ma e' un desiderio che ha radici profonde, la cui scintilla
scocco' nel Settecento, quando ci fu quella grande esplosione
scientifica e tecnica che pose le basi della Rivoluzione Industriale.
Di molte invenzioni di allora sfuggi' l'importanza pratica con
le relative conseguenze di sviluppo e applicazione, anche perche' la
mentalita' settecentesca era piu' portata ad apprezzare le
realizzazioni in grado di stupire che non quelle in grado di servire a
qualcosa.
Cosi' ebbero un grande successo congegni complessi e giocattoli
meccanici, animati da meccanismi di orologeria, che eseguivano
movimenti preordinati e di grandissima precisione, congegni tuttavia
privi di possibili applicazioni pratiche, che vennero chiamati
"automi". La loro carica poteva durare anche un'ora e piu' e spesso
diventavano polo di attrazione per spettacoli pubblici o a pagamento.
In pratica si trattava di veri e propri giocattoli, alti 30-40
centimetri, che diedero all'uomo del Settecento l'illusione
entusiasmante di avere tra le mani il segreto della creazione. Enorme
successo ebbe per esempio "Il Flautista", presentato da Jaques
Vaucanson nel 1738, costruito in legno e ferro; per vederlo funzionare
i parigini fecero la coda per vari mesi, pagando ben 3 lire di
ingresso, ovvero la paga settimanale di un operaio di allora.
E poi '
i tre automi' di
Jacquet-Droz, presentati
alla corte di Luigi XVI e oggi conservati al Museo di Storia di
Neuchatel. Si tratta dello "
Scrivano",
che scrive qualunque frase gli venga dettata purche' non abbia piu' di
40 lettere; del "
Disegnatore"
che fa il ritratto a chi lo guarda, ma e' ancorato a mode di una volta,
visto che disegna ancora parrucche e boccoli; e della "
Musicista" una dama altera e seria,
che mentre suona gonfia il petto e muove gli occhi.
Ma il momento culminante di tutte queste invenzioni sembrò
raggiunto quando venne messa a punto la macchina capace di giocare a
scacchi, considerati anche allora il più complesso ed
intellettuale dei giochi. "
La piu'
meravigliosa invenzione dell'Uomo" la defini'
Edgard Allan Poe e il giocatore
meccanico di scacchi venne battezzato subito "
l'Automa" con la A maiuscola. La
sua creazione fu anch'essa dovuta alla necessità di
stupire. Nella Vienna fastosa e frivola del 1770, alla corte
dell'imperatrice Maria Teresa, si cercava di vincere la noia con giochi
di prestigio, di magnetismo e di magia. Dopo aver assistito ad uno di
questi spettacoli d'illusionismo, l’imperatrice aveva invitato un suo
esperto consigliere, esperto in meccanica, idraulica e fisica, per
cercare di smascherarne i trucchi. Questi, il barone
von Kempelen, non riuscì
affatto nel suo intento e l'imperatrice, delusa dal suo fallimento, lo
esortò a creare un gioco specialissimo in grado di far divertire
la sua annoiata corte. Ma chi era questo sfortunato consigliere?
Il barone Wolfgang Von Kempelen, era nato a Pressburg,
nell’Ungheria austriaca nel 1734 ed era insignito del titolo di “
aulico consigliere per la meccanica della
casa reale d’Austria”. Non era insomma un personaggio qualunque,
e certamente rispondeva al modello di uomo che, per quei tempi, si
può ragionevolmente definire un inventore, un geniale inventore.
Il suo campo di interesse scientifico abbracciava la ricerca
dell’automatismo, ovvero tendeva a costruire strumenti, aggeggi,
pupazzi (insomma battezziamoli come vogliamo) che, basati comunque su
strumentazioni e macchinari artificiali, replicassero in maniera
autonoma, per l’appunto, delle attività proprie dell’essere
umano e del suo normale discernimento ed esercizio di intelligenza
nelle sue normali attività. Infatti il nostro creativo barone si
dedicò per molto tempo, con successo tra le altre cose, alla
creazione di una bambola parlante che riusciva a pronunciare più
di trenta frasi diverse. D’altronde, come abbiamo visto, in questo
periodo storico sempre più proto-ingegneri si misuravano nel
creare questi strumenti meccanici; le ballerine danzanti al suono delle
melodie, i carillon, i pan-armonici (sorta di strumenti che
riproducevano contemporaneamente il suono di diversi strumenti in
melodia tra di loro), i clavicembali automatici che suonavano da soli,
e via discorrendo si sprecavano.
Un
anno dopo, nel 1770,
il nostro von Kempelen era pronto a presentare alla corte il proprio
lavoro. In prima istanza il mistero prese veramente tutti gli astanti
della corte; si trattava di un fantoccio vestito alla maniera orientale
seduto su una grande cassa di legno e che fumava proprio come...Un
turco! Ma si diceva che la particolarità di questo pupazzo era
che poteva giocare e vincere al più nobile dei giochi: gli
scacchi. Davanti a se infatti il pupazzo orientale aveva una
scacchiera, ed essendo un oggetto inanimato la curiosità degli
ospiti accrebbe ancora di più. Incredibile la meraviglia ed il
successo quando quel oggetto cominciò a giocare a scacchi con
vari avversari scelti in persona dalla sovrana e trionfò tutte
le partite dimostrando di sapere decisamente vincere. Ma che cosa era
realmente questo oggetto? “
Magia”,
“
Prodigio della tecnica”, “
Miracolo divino” ed altre
affermazioni simili furono termini che si sprecarono per definire le
performance di Kempelen e del suo pupazzo scacchistico.
Il pupazzo d’oriente,
come lo si chiamava agli inizi, ma che poi fu semplicemente ed
imperituramente battezzato “
il Turco”,
per il fascino ed il mistero quasi inquietante che emanava, aveva
già stregato molte persone.
Dopo l'ammirazione e lo stupore destato alla corte di Maria
Teresa, il Turco e il suo geniale inventore fecero una trionfale
tournèe in tutte le capitali d'Europa ed in Russia, battendo
regolarmente tutti gli avversari (compresi i migliori scacchisti
dell'epoca). La misteriosa creatura del barone von Kempelen
incontrò l'interesse di scacchisti, matematici e personaggi
illustri e battè fra gli altri
Giorgio
III,
Benjamin Franklin,
Napoleone (che fu
sconfitto in 24 mosse!) e
Federico II
di Prussia. Alcune posizioni di partite disputate dall'automa
furono raccolte ed esaminate nelle opere di famosi giocatori di quel
periodo, come
Giovanbattista Lolli
ed
Ercole Del Rio.
Studiosi, meccanici e
persino alcuni maghi esaminarono l'automa alla ricerca di un trucco o
di un inganno, ma senza esito.
Le particolari fattezze del pupazzo e l'alone di mistero che
circondavano la strana macchina di von Kempelen, fecero nascere
leggende e dicerie: c'era chi affermava che la macchina fosse posseduta
da uno spirito maligno, mentre altri mormoravano che il barone avesse
venduto l'anima al diavolo... Inutile dire che tutto questo non faceva
che accrescere in modo smisurato l'alone di mistero che gravava sulla
macchina e la fama di von Kempel divenne grandissima.
In seguito alla morte di von Kempelen, avvenuta nel 1784, i figli
vendettero l'automa a
Johann Maelzel,
celebre inventore del metronomo, per l'astronomica cifra di 30 mila
franchi. Questi proseguì le esibizioni in tutta Europa fino al
1811, quando lo vendette al principe
Eugenio
de Beauharnais per una cifra mai dichiarata ma, si dice,
scandalosamente alta.
Deluso dalla reale natura dell'oggetto, il principe
denunciò Maelzel per truffa e rivolle indietro i suoi denari.
L'automa infatti, non era affatto un
miracolo di tecnologia, bensì una truffa molto ben congegnata:
era semplicemente azionato nell'interno da un uomo di piccola statura,
che si occultava abilmente dietro gli ingranaggi, spostandosi a destra
o a sinistra a seconda dello sportello che veniva aperto. I movimenti
dei pezzi sul tavolo, durante la partita, gli venivano segnalati da
piccoli magneti posti al di sotto, in modo che il giocatore potesse
riprodurre le mosse su una scacchiera tascabile, e rispondere, poi,
manovrando il braccio mobile del turco. A lungo si nascose all'interno
dell'automa un polacco di nome
Worowski,
che aveva perso le sue gambe in guerra, e in seguito il francese
Mouret, che prese parte alla truffa
nel 1820 a Parigi.
Il povero Maelzel, per non dover saldare il conto, fuggì
in America, continente che egli giudicò più ingenuo della
smaliziata Europa. Insieme al Turco partì anche una mingherlina
ragazza francese, che era l'operatrice del marchingegno e si nascondeva
nel manichino o, all'ultimo momento, nella cassetta.
Una
precisa descrizione del meccanismo ce la dà Donald
Fiene in un bellissimo articolo apparso nel 1977 nel British Chess
Magazine.
[....]
La struttura di Kempelen aveva due compartimenti, uno piccolo sulla
sinistra, apparentemente pieno di macchinario, ed uno più grande
sulla destra, per la gran parte vuoto eccetto che per la sua fodera di
tessuto nero ed una copia di apparecchi metallici a forma di tubo. Le
porte si aprivano in entrambi i compartimenti sul davanti e dietro.
Sotto il compartimento di destra c’era un cassetto di tipo telescopico
di circa 5 pollici (10 cm circa) d’altezza e che aperto presentava una
larghezza di circa 2 piedi (60 cm circa) e chiuso lasciava uno spazio
di intervallo di circa 1 piede (30 cm circa) dietro di lui.
All’inizio
dell’esibizione tutte le parti apribili erano chiuse e l’operatore
stava seduto incurvato nella parte posteriore del compartimento di
destra con le gambe stese in lungo nello spazio dietro il cassetto
telescopico. Kempelen apriva prima la parte anteriore del compartimento
di sinistra mostrando il macchinario; quindi apriva la parte posteriore
e passava una candela accesa da dietro l’apertura. La luce risplendeva
attraverso gli interstizi nelle strumentazioni e marchingegni,
rivelando all’uditorio che nessuna persona poteva essere nascosta li
dentro. Quindi Kempelen chiudeva con calma la porta posteriore,
ritornava davanti alla struttura e tirava fuori il cassetto sotto il
compartimento di destra alla sua massima estensione mostrandone il
contenuto: pezzi degli scacchi e vari altri oggetti. Nel frattempo
l’operatore nascosto aveva spinto via il falso pannello dietro di lui e
si era mosso interamente di schiena sulla parte sinistra del
compartimento di sinistra dietro il finto macchinario, con le gambe
distese davanti a lui e ben nascoste alla vista quando la parte
anteriore del compartimento di destra veniva aperta in quel momento da
Kempelen. Veniva poi aperta l’apertura posteriore del compartimento di
destra e la luce veniva passata dietro di lui per provare che non vi
era nessun falso spazio posteriore per nascondere qualcuno lì. A
quel punto tutto l’uditorio (e l’avversario del Turco)erano certi che
tutte le parti erano state aperte e che la cassa non poteva contenere
anima viva alcuna e tanto meno un uomo intero. Il punto chiave di tutta
l’illusione era che la parte posteriore del compartimento di sinistra
rimaneva chiusa. Quando Kempelen ruotava la cassa intorno per aprire
ulteriormente parte del busto del fantoccio, stava bene attento a
celare la parte cruciale con un lembo del drappo del Turco. Prima
dell’inizio del gioco tutte le aperture venivano nuovamente chiuse.
Quindi,
mentre Kempelen caricava il rumoroso falso meccanismo con una grande
chiave, l’operatore spingeva via il falso pannello davanti alla cassa,
spingeva indietro la fodera di tessuto del compartimento di destra
scivolava dentro flettendo le ginocchia. Mentre faceva questo parte del
pavimento segmentato che ricopriva le sue gambe si sollevava per
rivelare una piccola scacchiera infissa. Egli accendeva quindi una
candela e cominciava a giocare inserendo la parte finale di una leva di
tipo pantografico dentro un buco nella casella selezionata. La leva
muoveva il braccio meccanico del Turco esattamente nella casella
corrispondente sopra. Un giro di leva e le dita del Turco prendevano il
pezzo. Quanto la leva di sotto veniva mossa verso un’altra casella il
braccio e la mano del Turco seguivano. Quando l’avversario muoveva un
pezzo un piccolo magnete dentro il pezzo stesso segnalava il fatto
rilasciando ed attraendo alternativamente dei piccoli indicatori
metallici montati su delle molle nelle caselle numerate di una
scacchiera posta nella parte superiore della struttura direttamente
sotto la scacchiera superiore. Il compito del giocatore nascosto non
era facile, strabuzzando gli occhi in su verso gli indicatori solo
alcuni centimetri sopra il suo naso e quindi trasferendo l’azione nella
sua scacchiera in modo da seguire il gioco. Il tutto era un faticoso,
limitativo, rompicollo, dolente, lacrimevole, infernale e gonfia
vescica duro lavoro dall’inizio alla fine. Ma dozzine di patiti per gli
scacchi entrarono dentro la piccola e calda scatola e fecero il loro
lavoro per almeno 150 anni……”.
Preceduto dalla fama
acquisita in Europa e dall'alone di mistero che lo circandava, il Turco
ottenne un enorme successo anche nel nuovo continente fino a quando
iniziarono una serie di sventure che diedero inizio a quella che i
giornali dell'epoca chiamarono pittorescamente "
la maledizione del Turco".
Gli impicci capitarono quando due bambini videro la donna che
usciva dalla cassa dopo lo show, mentre il deduttivo Edgar Allan Poe
scrisse un articolo dove raccontava che c'era una tizia che appariva in
sala prima e dopo lo spettacolo, ma mai durante... Così il
povero Maelzel dovette allontanarsi in tutta fretta dagli Stati Uniti,
finendo nell'isola di Cuba dove morì di febbre gialla durante
un'esibizione. Stessa sorte subì la sua aiutante francese sulla
nave che la stava riportando in patria.
Dopo molte peripezie il Turco tornò negli Stati Uniti e fu
esposto con grande successo nel museo cinese di Philadelfia, ma non
doveva rimanervi per molto perchè finì distrutto dal
grande incendio che devastò la città nel 1854. Si
pensa che negli 84 anni della sua "vita" abbia ospitato non meno di 15
fortissimi giocatori di scacchi.
Undici anni più tardi, nel 1865, un americano
costruì una copia del Turco chiamandola
Ajeeb, che giocava col pubblico, a
dama per 10 cents ed a scacchi per 25 cents. Si misurarono col nuovo
automa anche il presidente
Rooswelt,
il mago
Houdini e l'attrice
Sara Bernhardt.
Un'altra imitazione fu chiamata
Mephisto:
batteva a scacchi tutti gli uomini, mentre con le donne, dopo aver
raggiunto una posizione vincente, si faceva battere e finiva
l'esibizione stringendo loro la mano. All'interno di Mephisto si
nascondeva il giovane
Harry Nelson
Pillsbury che di li a poco sarebbe diventato uno dei più
forti giocatori del Mondo mentre negli ultimi anni di esibizione del
Turco l'operatore era
Isidore Gunsberg,
anch'egli fortissimo giocatore
che pattò un match con Cigorin ed arrivò a sfidare
Steinitz in un match valevole per il Titolo Mondiale (perdendo di un
soffio).
Ajeeb finì nel parco giochi di Coney Island e una volta un
giocatore perdente sparò al pupazzo sei colpi di pistola,
ferendo gravemente l'operatore che vi era nascosto. Anche Ajeeb fu
distrutto dal fuoco nel 1929.
Solo vent'anni più tardi un ingegnere inglese,
John Mac Carty, mise a punto il
primo computer capace di giocare davvero agli scacchi, beninteso senza
il mistero e l'eleganza del nostro Turco.