Come si può descrivere l’emozione intensa e profonda che una discesa con gli sci lungo una pista immacolata è in grado di trasmettere?

Forse il modo migliore è quello di paragonare questa splendida disciplina a un sogno, uno di quelli meravigliosi, quasi una favola in cui ci si perde dimenticando la fatica e il trascorrere del tempo.

Di tutto questo, quando avevo solo cinque anni e mi proposero di calzare un paio di sci, non mi rendevo conto, sapevo solo quanto adoravo la neve e il suo magico candore.

Mi piaceva scendere con il bob, fare pupazzi di neve, rotolarmi nella polvere fresca e bianchissima ma non riuscivo a concepire due scarponi rigidi ai piedi, corredati da una coppia di lunghi “pezzi” di legno.

Ora che sono un bravo sciatore alla continua ricerca della perfezione stilistica e dell’arco di curva perfetto che incide con precisione chirurgica la neve, rimpiango quella mia iniziale ostinazione che mi ha portato a rimandare la “favola” fino ai tredici anni.

Comunicare le sensazioni che provo quando lotto con la forza centrifuga e mi sento accelerare e comprimere dalle curve, venendo catapultato come una molla da una parte all’altra di una serpentina, è difficilissimo ed i miei stessi amici e compagni di scorribande non riescono a comprenderle.

Per loro, come per molti, è inconcepibile sciare intere giornate da soli alla ricerca dell’appagamento personale, essere pronti a partire per l’apertura delle piste con l’unico scopo di poter scendere per primi su una pista inviolata, fermarsi meno di due ore per mangiare oppure sciare quando nevica e fa freddo.

Per me è diverso, io vedo questo fantastico sport come un’immersione totale nell’ambiente montano, un contatto diretto tra me e una sostanza magica: la neve.

Naturalmente apprezzo moltissimo sciare in compagnia, soprattutto in gruppi numerosi di pari livello, dove si scende alla ricerca di salti, neve fresca e tutto quanto rende acrobatico e un po’ pazzo lo sci.

D’altronde gli aspetti appassionanti di questa disciplina non finiscono certamente qui, basti ricordare il lato agonistico, lo scialpinismo e soprattutto un “elemento” fondamentale e indispensabile: i maestri di sci.

Come per molti, il mio sogno nel cassetto è proprio quello di avere un giorno il più bel lavoro del mondo, un mestiere all’aria aperta, che permette di divertirsi, di fare molte amicizie e di aiutare a migliorare gli altri.

Certo, perché lo sci aiuta a rendere migliori le persone, insegnando a rilassarsi e a rispettare ciò che ci circonda nonché a basare le relazioni con gli altri sull’amicizia e la cooperazione piuttosto che sulla diffidenza.

Se questa visione del ruolo del maestro può apparire esagerata a moltissimi per la mia esperienza personale è invece perfetta: in dieci anni di lezioni in classi collettive o da solo ho sempre verificato tutto ciò.

Specialmente in una settimana di lezioni con sette-otto persone si viene a creare una complicità e un’amicizia tra gli allievi e il maestro che dopo il secondo giorno sembra di conoscersi da una vita mentre sono passate solo poche decine di ore.

Difficilmente sono riuscito a sperimentare un tale comportamento in altre occasioni e questo conferma la magia che avvolge lo sci poiché solo così si può spiegare lo stupore che si prova a essere salutati dopo diversi anni da un occasionale compagno di lezione.

Naturalmente anche sulla neve avvengono fatti spiacevoli e s’incontrano persone poco raccomandabili, a volte poi il sogni si trasforma in incubo ma, per fortuna, la mia favola non ha mai subito interruzioni e la parola fine non è ancora stata scritta.

Così, mentre il mondo cerca di autodistruggersi, quando mi sento mancare le forze e sopraffare dai ritmi della vita d’oggi, fermo il tempo per qualche giorno e mi ritiro sulle montagne innevate, dove per magia, indossata una tuta, degli scarponi e un paio di sci, si può dimenticare tutto scivolando su immacolati pendii in compagnia della natura.

Un bambino di ventitrè anni

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