Il tourist in questione mi corrisponde, ma non sarei mai riuscita a
descrivermi così bene e quindi ho preso in prestito le parole di
uno dei più grandi scrittori di letteratura di viaggio del ‘900
per introdurre i miei “pellegrinaggi” in terra d’Oriente alla ricerca di
quanto ci lega, come occidentali, all’altra metà del mondo.
Secondo me, “l’altro necessario” .
Strano a dirsi, è la Via della Seta che mi ha portato in Iran, le tracce sparse qua e là lungo la via cinese superiore e il nord dell’India di quella che mi aveva colpito più volte nei miei itinerari asiatici precedenti come una delle espressioni più originali e raffinate di arte e architettura orientali.
In effetti non ne sapevo quasi nulla prima che cominciasse a parlarmene, facendomi notare particolari nascosti e ormai fusi con l’architettura locale, lo studioso di islamistica che mi aveva guidato da Kashgar a Pechino attraverso i deserti di Gobi e Taklimakan … sembra che i Parti, uno dei primi popoli ad insediarsi sull’altipiano iranico, fossero i più voraci consumatori stranieri di seta cinese verso la fine del secondo secolo prima di Cristo.
Per cui Parti e Cinesi avevano scambiato ambasciate e inaugurato un commercio ufficiale bilaterale lungo le vie carovaniere che si estendevano fra i loro territori. Ciò diede origine di fatto, se non ancora di nome, alla Via della Seta, che oltre a rappresentare una via di commercio senza precedenti (verso oriente oro, argento, pietre preziose, avorio, lana, spezie, uva e vino, vetri colorati mediterranei, ostriche e acrobati, verso occidente seta, porcellana, gemme, profumi e altre spezie, mentre l’Asia Centrale e l’Iran, depositi immensi per queste merci “in cammino”, fornivano tra l’altro i propri animali nativi, i cavalli e i cammelli bactriani a due gobbe, fondamentali per il trasporto lungo percorsi a dir poco precari) deve la propria unicità nella storia e il proprio fascino ancora attuale a quello scambio di idee, tecnologie e religioni avvenuto fra le varie culture che l’hanno percorsa. |
La convivenza pacifica e la tolleranza regnanti per secoli fra esponenti manicheisti, zoroastriani, cristiani nestoriani, giudei, buddisti, taoisti, confuciani e seguaci nomadi dello sciamanesimo delle steppe avrebbe potuto fare invidia al più moderno stato democratico, finché non arrivò l’Islam … |
In effetti sono anche e soprattutto queste contraddizioni di paese antichissimo per tradizione e moderno per aspirazione che mi incuriosivano programmando la mia partenza, sulla scorta di quel che mi aveva lasciato intuire la contemporanea cinematografia iraniana ormai approdata con successo nei nostri festival e nelle nostre sale da diversi anni.
Come mi raccontava un ragazzo di Tehran, mio vicino d’aereo e quindi primo contatto privilegiato con “la gente del posto”, nel suo incessante chiacchiericcio in un perfetto mix di American English e Hochdeutsch: non esistono due iraniani che la pensino alla stessa maniera sullo stesso argomento, o per lo meno che vogliano subito ammetterlo senza averne prima discusso per ore, giorni, mesi, anni … e in effetti questo giovane ingegnere meccanico “costretto” dalla disoccupazione intellettuale ad occuparsi degli affari del padre, produttore di tappeti, ne era il miglior esempio. In quattro ore e mezzo di full immersion nella società persiana moderna (tanto è durato il mio viaggio aereo da Francoforte a Tehran) mi ha dato modo di capire più cose sul suo paese di quante potessi leggerne in mille libri e sempre emettendo sentenze assolute sui più disparati argomenti, salvo arrivare a confutarle con grande capacità dialettica, e grande divertimento di entrambi, dopo qualche minuto.
Per me un viaggio molto importante, perché un viaggio-cerniera tra Occidente e Oriente che mi ha consentito di mettere a fuoco (o perlomeno provarci) una delle regioni meno note del nostro mondo e delle epoche storiche che nei nostri libri di scuola restano incomprensibilmente emarginate. Si: sappiamo più o meno tutti di Alessandro Magno, delle guerre di Roma contro i Parti, delle guerre tra Bisanzio e i Sasanidi … ma in definitiva è come se tutto questo riguardasse un mondo lontano, poco significativo per noi e per la nostra cultura. E’ invece è proprio da questo altopiano, con i paesaggi più poetici e maestosi di tutta l’Asia centrale, che provengono influenze costanti nel tempo, che penetrarono la nostra cultura divenendo nostro linguaggio e nostro sentire.