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Look along the mountains to the void: the desert, that stony, empty sea.
Drink the high air. Stroke the stone with your own soft hands.
Say goodbye to the West if you own it.
And then turn, tourist, to the East.
Robert Byron “The Road to Oxiana”

Il tourist in questione mi corrisponde, ma non sarei mai riuscita a descrivermi così bene e quindi ho preso in prestito le parole di uno dei più grandi scrittori di letteratura di viaggio del ‘900 per introdurre i miei “pellegrinaggi” in terra d’Oriente alla ricerca di quanto ci lega, come occidentali, all’altra metà del mondo.
Secondo me, “l’altro necessario” .

Strano a dirsi, è la Via della Seta che mi ha portato in Iran, le tracce sparse qua e là lungo la via cinese superiore e il nord dell’India di quella che mi aveva colpito più volte nei miei itinerari asiatici precedenti come una delle espressioni più originali e raffinate di arte e architettura orientali.

In effetti non ne sapevo quasi nulla prima che cominciasse a parlarmene, facendomi notare particolari nascosti e ormai fusi con l’architettura locale, lo studioso di islamistica che mi aveva guidato da Kashgar a Pechino attraverso i deserti di Gobi e  Taklimakan … sembra che i Parti, uno dei primi popoli ad insediarsi sull’altipiano iranico, fossero i più voraci consumatori stranieri di seta cinese verso la fine del secondo secolo prima di Cristo.
Per cui Parti e Cinesi avevano scambiato ambasciate e inaugurato un commercio ufficiale bilaterale lungo le vie carovaniere che si estendevano fra i loro territori. Ciò diede origine di fatto, se non ancora di nome, alla Via della Seta, che oltre a rappresentare una via di commercio senza precedenti (verso oriente oro, argento, pietre preziose, avorio, lana, spezie, uva e vino, vetri colorati mediterranei, ostriche e acrobati, verso occidente seta, porcellana, gemme, profumi e altre spezie, mentre l’Asia Centrale e l’Iran, depositi immensi per queste merci “in cammino”, fornivano tra l’altro i propri animali nativi, i cavalli e i cammelli bactriani a due gobbe, fondamentali per il trasporto lungo percorsi a dir poco precari) deve la propria unicità nella storia e il proprio fascino ancora attuale a quello scambio di idee, tecnologie e religioni avvenuto fra le varie culture che l’hanno percorsa.
La convivenza pacifica e la tolleranza regnanti per secoli fra esponenti manicheisti, zoroastriani, cristiani nestoriani, giudei, buddisti, taoisti, confuciani e seguaci nomadi dello sciamanesimo delle steppe avrebbe potuto fare invidia al più moderno stato democratico, finché non arrivò l’Islam …
Ma l’accenno non vuole essere polemico, anzi, mi premeva sottolineare che, chiamato dagli eventi dell’11 settembre a prendere posizione sembra – un sembra molto cauto se non altro scaramanticamente – che il governo iraniano abbia colto l’occasione che da decenni il popolo iraniano attende per lanciare impensabili affermazioni di solidarietà con l’America, condannare il terrorismo e tracciare strade di  (fino a ieri) impossibile apertura e disponibilità. Un paese che amiamo e che ama l’Occidente come nessun giornalista occidentale pare essersi mai accorto, sembrerebbe voler cogliere la palla al balzo per liberarsi di un passato ingombrante e lontano.

In effetti sono anche e soprattutto queste contraddizioni di paese antichissimo per tradizione e moderno per aspirazione che mi incuriosivano programmando la mia partenza, sulla scorta di quel che mi aveva lasciato intuire la contemporanea cinematografia iraniana ormai approdata con successo nei nostri festival e nelle nostre sale da diversi anni.

Come mi raccontava un ragazzo di Tehran, mio vicino d’aereo e quindi primo contatto privilegiato con “la gente del posto”, nel suo incessante chiacchiericcio in un perfetto mix di American English e Hochdeutsch: non esistono due iraniani che la pensino alla stessa maniera sullo stesso argomento, o per lo meno che vogliano subito ammetterlo senza averne prima discusso per ore, giorni, mesi, anni … e in effetti questo giovane ingegnere meccanico “costretto” dalla disoccupazione intellettuale ad occuparsi degli affari del padre, produttore di tappeti, ne era il miglior esempio. In quattro ore e mezzo di full immersion nella società persiana moderna (tanto è durato il mio viaggio aereo da Francoforte a Tehran) mi ha dato modo di capire più cose sul suo paese di quante potessi leggerne in mille libri e sempre emettendo sentenze assolute sui più disparati argomenti, salvo arrivare a confutarle con  grande capacità dialettica, e grande divertimento di entrambi, dopo qualche minuto.

Per me un viaggio molto importante, perché un viaggio-cerniera tra Occidente e Oriente che mi ha consentito di mettere a fuoco (o perlomeno provarci) una delle regioni meno note del nostro mondo e delle epoche storiche che nei nostri libri di scuola restano incomprensibilmente emarginate. Si: sappiamo più o meno tutti di Alessandro Magno, delle guerre di Roma contro i Parti, delle guerre tra Bisanzio e i Sasanidi … ma in definitiva è come se tutto questo riguardasse un mondo lontano, poco significativo per noi e per la nostra cultura. E’ invece è proprio da questo altopiano, con i paesaggi più poetici e maestosi di tutta l’Asia centrale, che provengono influenze costanti nel tempo, che penetrarono la nostra cultura divenendo nostro linguaggio e nostro sentire.

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