Re Mida e il pensiero: il problema dell'impensabile
Si prenda questo discorso di partenza: in ultima analisi, anche se non ci ostiniamo come uomini ad indagare il pensiero alla ricerca di una verità, non possiamo escludere che esista qualcosa d'altro fuori dal pensiero stesso e che non risponde alle regole del pensato. Questa possibilità aperta a ciò che sta al di fuori delle nostre capacità cognitive e che può condurre l'uomo nel baratro del nulla (benché alcuni luoghi della filosofia contemporanea sostengano il contrario) è la presa di coscienza di un orrore inevitabile: l'inevitabile possibilità del nostro annullamento. Il discorso severiniano dell'essere che si oppone stabilmente al nulla e che quindi niente può nullificarsi, non può costituire per tutti un discorso definitivo, poiché si può senz'altro dubitare che il nostro pensato non abbracci la totalità del reale, ovvero che esistano eventi al di fuori della nostra coscienza che permettano all'essere di cadere nel nulla, proprio perché essere e nulla, in una eventuale altra dimensione inaccessibile al pensiero, non significano ciò che significano per il pensato dell'uomo. Tuttavia, un pensiero condotto rigorosamente deve necessariamente sobbarcarsi l'impossibilità di porsi anche il dubbio come possibilità aperta: proprio come non è possibile escludere altre possibilità oltre il pensato, non è possibile pretendere che esista al di là del pensato qualcosa di inconoscibile, perché per il solo fatto di postulare un inconoscibile, questo inconoscibile rientra nel conosciuto. In altre parole, un'altra dimensione che non soggiace alle regole della ragione umana non è, per sua stessa natura, pensabile. Ciò che noi abbiamo pensato come possibilità che esista una regione della realtà esente dalla logica del pensato, non è totalmente inconoscibile. Questa, in sostanza, è la stessa critica che rivolse l'idealismo al concetto di “cosa in sé” kantiana: se qualcosa è pensato, rientra nella logica del pensato, e ogniqualvolta concepiamo un pensiero nuovo, questi non può dirsi al di fuori della ragione pensata, perché oggetto considerato dal pensiero. Formulare un dubbio significa essere a conoscenza della possibilità di altre possibilità. Ma se si è a conoscenza di altre possibilità, allora non vi è più dubbio sull'esistenza delle possibilità stesse. Tutto ciò che viene considerato dal pensiero non può porsi come puro dubbio, ma come “certezza di porre un dubbio”. Il pensiero segue per analogia il mito di Re Mida: egli non può mai entrare a contatto con nient'altro che non sia oro, perché nel momento in cui tocca un'altra materia, questa è solamente oro. Potrà mai il Re toccare e abbracciare qualcosa che non sia oro? Potrà mai il pensiero abbracciare l'impensabile, e dunque, l'inconoscibile? Re Mida vede che tutto non è oro, ma nel momento in cui tocca la semplice materia, tocca l'oro. Il pensato, seguendo sempre l'analogia, non ha a disposizione due categorie o due modalità, non ha a disposizione due “sensi” distinti: ciò che viene pensato, rientra sempre nell'insieme del pensato. Come
presupporre quindi un “totalmente altro”, se nel momento in cui viene
presupposto questo “totalmente altro” non è più “totalmente” ma solo “parzialmente”
altro, quindi non di certo “altro”, ma qualcosa che ha un certo rapporto
con il pensato e che quindi è a pieno titolo “un pensato”? (Synt) |