Concertazione del limite
Oggi vi è spesso la tendenza a negare la validità del limite, come concetto in sé. Il limite, visto come momento che definisce un certo spazio di immutabilità, rappresenta agli occhi dei più una ingiustizia. L'immutabilità è colpevole di contrapporsi in modo escludente al concetto di libertà, per noi contemporanei non “deve” esistere qualcosa che non possa essere realmente superato, poiché in noi contemporanei si assiste ad un appropriamento dei valori di onnipotenza che un tempo erano sola prerogativa di Dio (qualcuno potrebbe dire, come è già stato detto, che tale transvalutazione è apparente, poiché Dio è solo rappresentazione di volontà umane). Alla luce di ciò Dio non muore, perché i suoi valori vengono a persistere nell'uomo, e ancora non siamo in grado di definire dove finisce l'uomo e dove comincia Dio, poiché non siamo ancora in grado definire con certezza cosa sia Dio e cosa sia l'uomo. Tuttavia, esistono limiti. Che siano quelli imposti dalla materia, superati “bergsonianamente”, o che siano più squisitamente ontologici, logici e metodologici, i limiti persistono e insistono, cosicché si è giunti oggi a un compromesso: i limiti vengono accettati nella misura in cui sono superabili. Propongo allora di togliere la patina di negatività ai limiti ed accoglierli tra noi, facendo nostra una politica di distensione, di apertura, di concertazione: ascoltiamo i limiti e ciò che hanno da dirci, un rapporto franco, un reciproco rispetto. Nei limiti guardiamo allora la loro capacità di definire i problemi, nel senso di iscriverli entro logiche chiarificatrici che, se permettono da un lato un loro sostanziale superamento, dall'altro permettono l'iscrizione dell'intero cammino del superamento entro il limite supremo del pensiero problematico. (Synt) |