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Albert EINSTEIN:
Relatività ristretta e generale




Maxwell teorizza le onde elettromagnetiche


MaxwellNel 1864 lo scienziato inglese James Clerk Maxwell scopre che le leggi che governano l'elettricità e il magnetismo sono così connesse tra loro da implicare l'esistenza di onde elettromagnetiche: una carica elettrica (ad esempio un elettrone) che oscilla nello spazio genera un campo elettromagnetico che si propaga sotto forma di onda.

Il campo magnetico è la forza che genera un magnete in virtù di una particolare distribuzione dello spin delle particelle che lo compongono. La forza magnetica si propaga nello spazio circostante al magnete e fa si che il metallo prossimo al magnete sia influenzato da tale forza. La forza magnetica più nota in natura è generata dai poli della Terra, per cui è possibile notare come l'ago di una bussola, lasciato libero di ruotare, si orienti sempre verso nord.
Detto questo, il fisico danese Hans Oersted notò come l'ago di una bussola cambiava repentinamente direzione in presenza di fulmini. Tali studi furono approfonditi da Faraday per mezzo di una serie di esperimenti: ne risultò che esisteva una stretta connessione tra forze magnetiche e forze elettriche.

Maxwell tradusse in formule matematiche questi esperimenti. Il risultato fu quello di affermare l'esistenza di onde elettromagnetiche, ovvero l'esistenza di una legge unitaria che spiegava i fenomeni magnetici e quelli elettrici. Dai suoi calcoli Maxwell dedusse l'esatta velocità delle onde elettromagnetiche, una velocità molto prossima ai 300.000 km al secondo.
Giunto a questo punto, Maxwell si avvide che la velocità delle onde elettromagnetiche era identica a quella della luce, misurata anch'essa precisamente grazie ad una serie di esperimenti. Da questo fatto ne dedusse che la stessa luce era un onda elettromagnetica.

Oggi sappiamo infatti che le onde elettromagnetiche hanno una velocità pari a quella della luce, e che la luce stessa è un onda elettromagnetica (le onde di ampiezza superiore a un metro sono onde radio, quelle nell'ordine di qualche centimetro sono microonde, attorno al decimillesimo di millimetro sono infrarossi. La luce ha una frequenza tra 40 e 80 milionesimi di millimetro, a frequenze inferiori ultravioletto, raggi X e raggi gamma).

Il problema dell'etere

A questo punto la fisica dell'epoca imponeva di trovare un elemento attraverso il quale le onde elettromagnetiche potessero propagarsi. Tutti i movimenti ondulatori dovevano propagarsi in qualche elemento: le onde del mare si propagavano attraverso l'acqua, le onde sonore attraverso l'aria. Visto che le onde elettromagnetiche non potevano propagarsi nel vuoto, si vide bene di teorizzare l'esistenza di una sostanza che permettesse di trasportare le onde elettromagnetiche: questo elemento fu chiamato etere luminifico, o semplicemente, etere (il termine fu preso in prestito da Aristotele, memori probabilmente delle teorie attorno al substrato e alla sostanza).
L'esistenza dell'etere permetteva di definire in rapporto a quale cosa misurare la velocità della luce: se la velocità è un rapporto matematico che mette in relazione spazio percorso e tempo di percorrenza, la luce, in questo modo, rapportava la sua velocità rispetto al "non movimento" dell'etere: l'etere restava fermo, la luce si muoveva rispetto all'etere.

Ovviamente, ci si mise subito all'opera per trovare una conferma sperimentale dell'etere. Questo elemento doveva possedere caratteristiche particolari: doveva essere allo stesso tempo abbastanza denso da permettere l'increspatura delle onde (ovvero sostenere un certo campo) e talmente rarefatto da non rallentare la corsa della Terra con il suo attrito.

L'esperimento di Michelson e Morley


Michelson (a sinistra) e Morley (a destra)Nel 1887 Albert Michelson ed Edward Morley si proposero di verificare l'esistenza dell'etere misurando le diverse velocità di due raggi di luce provenienti da fonti diverse. Secondo la teoria, la luce avrebbe avuto una velocità relativa nelle diverse direzioni di propagazione.

In particolare la velocità di un raggio di luce che fosse partito dal sole in direzione perpendicolare all'osservatore e quella di un raggio obliquo rispetto alla sua posizione non sarebbero coincise. Il primo raggio avrebbe avuto una velocità più elevata. L'esperimento dimostrò l'opposto: i raggi di luce, qualsiasi direzione di propagazione avessero, avevano tutti la stessa velocità.

In sostanza, se la luce ha una certa velocità, allora l'osservatore che si avvicina alla fonte dovrebbe misurare una velocità della luce superiore rispetto a quella misurata da un osservatore che vi si allontana. E' come, per analogia, vedere chiaramente come un onda verso la quale nuotiamo si avvicini più velocemente a noi rispetto all'onda dalla quale ci allontaniamo. Come detto, l'esperimento rivelò invece che la luce (l'onda, nel nostro esempio), sia che ci avviciniamo a lei, sia che ci allontaniamo, viaggi sempre alla stessa velocità.

A questo punto la fisica si trovava di fronte un problema: a dispetto del senso comune, la luce possedeva una velocità assoluta rispetto sia al tempo che allo spazio.

Relatività speciale (o ristretta)


EinsteinNel 1905, Albert Einstein, allora impiegato all'Ufficio Brevetti svizzero, propose l'idea di abbandonare l'idea dell'etere e quella di un tempo assoluto.
Nella relatività speciale solo la velocità della luce ha un valore assoluto, al contrario del tempo e dello spazio, che diventano relativi. In particolare la luce, nel vuoto, viaggia sempre a velocità costante (circa 300.000 km al secondo), qualsiasi sia la posizione di uno o più osservatori in relazione ad essa.

In pratica Einstein, di fronte agli esperimenti che dimostravano l'assoluta indipendenza della luce rispetto all'esistenza dell'etere decise di eliminare quest'ultimo, tenendo salda la prima. Anche se questo contraddiceva il senso comune, Einstein notò come i calcoli attorno alla velocità della luce fossero già compiuti in sé, nessuna sostanza aggiuntiva doveva quindi essere cercata.

Il fatto che la velocità della luce fosse assoluta rispetto sia al tempo che allo spazio, aprì una serie di stupefacenti implicazioni, riassunte in questi tre concetti:

1. Il tempo diventa relativo: per oggetti in moto il tempo risulta rallentare;

2. Anche lo spazio diventa relativo: gli oggetti in movimento subiscono una contrazione della loro lunghezza;

3. L'eguaglianza tra massa ed energia: nessun corpo può eguagliare o superare la velocità della luce.


1. Tempo relativo


Il concetto di tempo relativo è il primo che si scontra con la normale esperienza quotidiana, in cui il tempo sembrerebbe assoluto e le velocità indubbiamente relativa. In realtà gli effetti del rallentamento del tempo per i corpi in movimento valgono comunque anche a velocità più basse, solamente che gli effetti, seppur misurati e dimostrati, sono molto meno evidenti rispetto agli effetti misurabili su corpi viaggianti a velocità relativistiche.

Un esempio: poniamo il fatto che un uomo in bicicletta (10 km/ora) e un altro che guidi una macchina (100 km/ora) vedano passare un treno che viaggi a 200 km/ora. All'uomo in bicicletta sembrerà che il treno vada più veloce rispetto a lui di quanto non lo sia per l'uomo in macchina. Questi vedrà il treno andare più lento di quanto non l'abbia visto il ciclista. Tutto questo perché il treno non ha una velocità assoluta.

Ma co
sa succede quando la sua velocità diventa assoluta anche rispetto al moto del ciclista e dell'autista? Essi vedono il treno muoversi alla stessa velocità, ne consegue che l'autista dovrà rallentare il suo tempo per "sincronizzarsi" col ciclista e concordare con lui sulla velocità dei vagoni. A sua volta il ciclista rallenta il suo tempo per "sincronizzarsi" con una persona ferma, ipoteticamente seduta ai lati della strada.

Questo l'esempio che permette di capire il significato della relatività temporale: se la velocità è data dal rapporto tra distanza percorsa e tempo di percorrimento, qualora sia la velocità la costante universale, necessariamente saranno le altre due grandezze a mutare in modo da concordare con la velocità assoluta della luce.

Ogni persona si trova così a vivere un tempo diverso in rapporto alla velocità che percorre: all'aumento della velocità, il tempo personale rallenta, e questo per mantenere salda la velocità assoluta della luce.
Per evidenziare questo effetto si usa illustrare il paradosso dei gemelli: se uno dei due gemelli viaggia su un'astronave a velocità relativistiche (prossime a quelle della luce) attraverso lo spazio, al suo ritorno sulla Terra risulterà più giovane di suo fratello. Questo perché il gemello "terrestre" ha viaggiato nello spazio alla velocità propria del pianeta Terra, enormemente più bassa rispetto alla velocità dell'astronave sulla quale viaggiava il fratello, che ora risulta più giovane. Il tempo dell'astronave era diverso da quello della Terra, i due gemelli hanno vissuto una dimensione temporale diversa.


2. Contrazione della lunghezza

Gli oggetti in movimento si accorciano nella direzione del moto. In pratica, un corpo che viaggi a velocità prossime a quella della luce tenderebbe a contrarsi fino a scomparire.

Questa stupefacente conseguenza ricalca la relatività del tempo rispetto alla costante della velocità della luce: spazio e tempo sono correlati tra loro, Einstein infatti parla di dimensione spaziotemporale. Se la costante è infatti la velocità della luce, le due grandezze rimanenti non sono più assolute, ed anche lo spazio risulta diverso per i diversi osservatori.
All'aumentare della velocità, quindi, non solo si modifica la struttura del tempo, ma si modifica necessariamente anche la struttura dello spazio.

Dunque all'aumentare della velocità di un corpo il tempo rallenta e lo spazio si contrae. Se si avesse a disposizione un anello sospeso nello spazio di un diametro che non permettesse ad un'astronave di passargli attraverso, qualora l'astronave aumentasse abbastanza la velocità in modo da contrarre le proprie dimensioni, riuscirebbe in velocità ad attraversarlo, evento che non accadrebbe se fosse quasi ferma. Tuttavia la contrazione delle lunghezze sarebbe avvertita soltanto dall'equipaggio dell'astronave, e non da un osservatore immobile sull'anello. Tali stupefacenti effetti, pur contraddicendo il senso comune, sono una necessaria conseguenza della stretta connessione tra massa ed energia.


Velocità limite: E=mc²

Un oggetto provvisto di massa non può superare o eguagliare la velocità della luce, questo per il risultato dell'equazione E=mc² (E=Energia, m=massa, c=costante, o velocità della luce), che definisce l'uguaglianza tra massa ed energia.

All'aumentare della velocità aumenta la massa dei corpi, all'approssimarsi della velocità della luce la massa di un corpo tende all'infinito, quindi, per spostarsi, avrebbe bisogno di una quantità infinita di energia, il che sarebbe impossibile.
Queste conseguenze derivano dal fatto che ogni oggetto ha una massa, e la massa equivale ad energia. Se all'aumentare della velocità dei corpi il tempo rallenta e lo spazio si contrae, i calcoli di Einstein dimostrano anche un aumento della massa proporzionale all'energia che serve a muovere il corpo stesso. Per approssimarsi alla velocità della luce i corpi hanno bisogno di sempre più energia, e questa si traduce in massa: ecco perché avvicinandosi di molto alla velocità della luce, l'energia che serve all'impresa tende a crescere all'infinito in prossimità del limite invalicabile, ovvero la velocità della luce, e con il crescere dell'energia aumenta anche la massa.

Per i tre principi fin qui esposti risulta che un corpo che viaggia alla velocità della luce si contrae talmente tanto da risultare invisibile e da non essere esteso nello spazio, che il suo tempo è talmente rallentato da essere immobile e che la sua massa è talmente grande da risultare infinita.

Relatività generale

La relatività ristretta aveva risolto parecchi problemi, uno fra tutti la mancata rilevazione dell'etere, ora mancava una teoria che potesse trovare un accordo tra le conseguenze della relatività speciale e le leggi della gravità newtoniana.

La teoria di Newton spiegava che tutti i corpi esercitano una certa attrazione in ragione della loro massa, più grande è la massa, più grande è l'attrazione. L'attrazione gravitazionale era tanto minore quanto più i corpi erano lontani tra loro. In particolare l'attrazione gravitazionale tra due corpi diminuiva in ragione del quadrato della loro distanza. Gli effetti gravitazionali dovevano per forza essere istantanei e questo contraddiceva la relatività speciale, in cui niente può superare la velocità della luce.

Dopo vari tentativi di far concordare le due teorie, Einstein propose nel 1915 una nuova teoria, conosciuta come relatività generale. Dopo il tempo venne ridefinito anche lo spazio. Einstein suggerì che lo spazio non fosse lineare e uniforme, bensì curvo, incurvato dalla gravità prodotta dalle masse dei corpi celesti.

La relatività generale implicava quindi altre tre importanti conseguenze:

1. Nello spazio tridimensionale le orbite dei corpi ci appaiono curve perché incurvate dalla massa dei corpi più grandi, mentre nello spazio quadridimensionale le orbite mantengono una traiettoria retta (lo spazio quadridimensionale è lo spazio tridimensionale con l'aggiunta del tempo). Le orbite ellittiche sono quindi la proiezione tridimensionale di orbite rettilinee quadridimensionali;

2. Anche i raggi di luce si incurvano assieme allo spazio, in prossimità di una massa la luce viene deviata dalla gravità (effetto che è la base della teoria dei buchi neri);

3. In prossimità di una massa anche il tempo subisce una distorsione e rallenta.
Grazie alla relatività generale si è potuto correggere la durata della rivoluzione di Mercurio, la massa del sole rallenta, seppur di poco, il tempo di rivoluzione previsto dai calcoli di Newton.

 

 

Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 18-12-2004

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