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Machiavelli

Niccolò
MACHIAVELLI

(1469-1527)

 

 

Machiavelli nacque a Firenze da antica famiglia borghese ma non ricca, nella quale ricevette però una buona educazione umanistica. Nel 1498 divenne segretario del Cancelliere della Repubblica di Firenze, incarico che ricoprirà per 14 anni e durante il quale apprese sul campo i precetti che poi saranno esposti nella sua più celebre opera, "Il Principe". Nel 1512 dovette dimettersi dall'incarico a causa della caduta della Repubblica e al conseguente ritorno dei Medici.

Costretto all'esilio in un luogo isolato, il rigore del decreto venne progressivamente scemando e ritornò a Firenze per diventare lo storico ufficiale della città, dedicandosi alla stesura delle Istorie fiorentine e riprendendo una modesta attività politica. Nel 1527, al ritorno della Repubblica, ormai anziano e prossimo alla morte, venne nuovamente escluso da ogni incarico politico.

Opere: Il Principe (1513) testo più celebre e importante, Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio (1513-1521), Dell'arte della guerra (1521), Istorie fiorentine (1521-1525).


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Sommario

1. Il Principe: ovvero, del realismo politico

2. L'uomo 'traditore'

3. Crudeltà e pietà

4. Giustificazione dei mezzi e ragion di stato


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1. Il Principe: ovvero, del realismo politico

La fama di Machiavelli è senz'altro legata alla sua più celebre opera, il Principe, nella quale viene esposta quella che si può certamente definire una "tecnica del governo", ovvero l'esposizione dei precetti ai quali un sovrano deve attenersi per conservare più a lungo il potere.

E' subito chiara in Machiavelli come la visione platonica dello stato (per cui lo stato è la realizzazione pratica del bene) venga sostanzialmente stravolta in nome di un deciso e più pratico realismo. Machiavelli espone chiaramente la teoria per cui un sovrano, nella conduzione dello stato, deve affidarsi esclusivamente a considerazioni di carattere pratico. "Molti si sono immaginati principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero", ecco perché il sovrano deve essere più che mai realista: la politica deve adeguarsi necessariamente alla contingenza dei fatti che accadono realmente e non inseguire utopie e chimere che finiscono necessariamente per allontanarsi dai fatti e "scadere" nell'eccesso di astrazione idealistica.

I principi politici che permettono allo stato e al sovrano di garantire l'ordine tra i sudditi ed evitare l'anarchia, non devono fondarsi su una morale totalmente esterna al sistema politico, piuttosto la politica deve essere autonormativa, ovvero in grado di produrre da sé le proprie norme, poiché è la realtà a guidare le azioni dei governanti, e la realtà, spesso, non può adeguarsi ai precetti della morale che predica il bene assoluto. A volte si renderà senz'altro necessario per il sovrano agire con violenza, nel caso, ad esempio, di una rivolta di corte.

Machiavelli sostiene che se un sovrano si attenesse solamente ai supremi principi del bene, evitando ogni guerra e ogni spargimento di sangue presto cadrebbe in rovina. Relativamente alle questioni umane e politiche, esistono "virtù dannose e vizi benefici", ovvero scarsa sarà la fortuna del sovrano "manicheo" che vorrà attenersi solamente ai supremi principi del bene, mentre più abile sarà quel sovrano che imparerà a considerare vizi e virtù come semplici mezzi per perseguire uno scopo, al di là di qualsiasi considerazione morale.

Lo scopo di chi governa è in ultima analisi quello di mantenere il potere più saldamente possibile: questa realtà non sempre potrà accordarsi con la necessità dell'azione ideale, perché la realtà effettiva impone anche scelte crudeli, ma necessarie.


2. L'uomo 'traditore'

Dietro a tale realismo vi è la convinzione di Machiavelli che l'uomo è in sostanza un "traditore", un individuo che agisce, posto davanti a una decisione, per suo esclusivo tornaconto. Dunque il sovrano dovrà guardarsi le spalle da ogni collaboratore e tener conto, nelle sue decisioni, del fatto che ogni uomo agirà sempre per proprio interesse.

"Perché degli uomini si può dire questo generalmente: che siano ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori dei pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti per te, ti offrono il sangue, la roba, la vita, i figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto; ma quando ti si apressa, si rivoltano." (N. Machiavelli, Il Principe).

E così naturale che se il bene comune è l'interesse principale del buon governo (e il bene è la stabilità del "regno"), il bene può essere perseguito anche utilizzando mezzi non troppo benevoli. Così il governante ideale deve saper approfittare, se necessario, delle circostanze anche fortunose che gli permetteranno di raggiungere il proprio fine. La sorte gioca un ruolo fondamentale in un mondo di puri fatti senza principi, e l'abilità del sovrano sarà nel coglierla al volo al momento più opportuno, in modo da prevenire le mosse dei suoi nemici.

Per Macchiavelli, in politica l'apparenza equivale alla sostanza. Cosa significa? Significa che ogni intenzione personale può legittimamente essere mascherata ed equivalere così alla sostanza dell'atto che vuole realizzare. L'uomo è naturalmente un traditore, i complotti di palazzo sono all'ordine del giorno, cosa, meglio di un complotto, può rappresentare questa teoria? Se la politica è autonoma da qualsiasi morale, intenzioni e sostanza si fondono nella realizzazione degli eventi che si succedono negli atti e non nelle intenzioni.


3. Crudeltà e pietà

Nel Principe, Machiavelli porta l'esempio di Cesare Borgia come sovrano ideale. Nonostante fosse considerato da molti come crudele, questa crudeltà permise di fatto alla Romagna di essere unita e "ridotta in pace e in fede". Questo prova come anche la crudeltà, opportunamente rivolta a un fine (il fine della pace e della concordia), sia un bene.

Detto questo, il sovrano ideale non dovrà certo fondare ogni sua azione sulla crudeltà, il sovrano dovrà "esser grave al credere e al muoversi, ne fare paura da se stesso; e procedere in modo temperato con prudenza e umanità, che la troppa confidenza non lo facci incauto e la troppa diffidenza non lo renda intollerabile." (N. Machiavelli, Il Principe). Ecco che torna allora l'appello a una politica realistica vincolata ai fatti che di volta in volta si presentano d'innanzi.

Crudeltà e pietà sono allora utili entrambe alla causa del sovrano, ma poiché gli uomini agiscono per proprio interesse (come già visto) sarà sempre più semplice utilizzare la crudeltà come mezzo per dirimere questioni troppo spinose. Si può constatare, infatti, che il timore delle pene rende gli uomini più inclini ad ubbidire che la semplice dimostrazione d'amore. I legami tra sudditi e sovrano si rinsaldano più facilmente con la forza piuttosto che con l'amore.

La crudeltà non dovrà essere utilizzata senza scopo preciso, soprattutto non per motivi economici, "perché gli uomini dimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio. Di poi le cagioni del torre la roba non mancano mai; e, sempre colui che comincia a vivere con rapina, trova cagione di occupare quel d'altri..." (N. Machiavelli, Il Principe).

In guerra, ovviamente, la crudeltà è necessaria, ma non tanto nei confronti del nemico (che nella logica della guerra rappresenta una ovvietà), ma piuttosto per rinsaldare il legame tra l'esercito e il suo condottiero: Annibale guidava un esercito immenso composto da popoli e generazioni diversissime tra loro, eppure non mancava la disciplina. Annibale poi non temeva di usare la crudeltà, anche come mezzo per far risaltare, per contrasto, gli atti di pietà.


4. Giustificazione dei mezzi e ragion di stato

Da tutto questo discorso si possono evincere due punti essenziali nella filosofia politica di Machiavelli: la teoria della giustificazione dei mezzi e la teoria della ragion di stato.

"Il fine giustifica i mezzi", questa la massima che può sintetizzare il contenuto de Il Principe. Se il fine è infatti la pace nel regno e l'unione e l'obbedienza dei sudditi, ogni mezzo, sia esso in accordo con la morale (anche se nella filosofia di Machiavelli questo costituirebbe un fatto puramente accidentale) che assolutamente indifferente ad essa, sarebbe comunque giusto se in grado di realizzare lo scopo al quale tende.

Si evince così l'altra importante teoria che viene espressa da Il Principe: vi è una ragion di stato che è superiore a qualsiasi altra considerazione morale, per cui il sovrano dovrà attenersi solamente ad essa se vorrà fare il bene del suo regno, ovvero realizzare praticamente, anche a costo di crudeltà e di guerre, la pace e la prosperità del suo popolo (espressa dall'unione obbediente dei sudditi).

 

 

Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 17-10-2004

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