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Antonio Labriola

(di Tommaso Di Brango)

 

L’iter intellettuale di Antonio Labriola, nato a Cassino nel 1843 e morto a Roma nel 1904 si struttura in diverse tappe: una che lo vede propugnatore dell’idealismo hegeliano (sotto l’influenza di Betrando Spaventa, del quale sarà allievo a Napoli prima di insegnare filosofia a Roma), un’altra contrassegnata dal rifiuto dell’idealismo in nome del realismo herbartiano e un’ultima, quella della maturità, in cui aderisce pienamente al marxismo. Tra le sue opere non possono non essere menzionate Contro il ritorno a Kant, risalente al 1862, facente parte dell’opera del Labriola idealista, Socrate, con cui nel 1871 il filosofo espone la sua vicinanza al pensiero di Herbart, e poi, di seguito, In memoria del manifesto dei comunisti (1895), Dilucidazioni preliminari sul materialismo storico (1896) e Discorrendo di socialismo e di filosofia (1897), tutte e tre inserite nella fase marxista del pensiero del Nostro.

Storicamente parlando, Labriola si colloca come prima figura di spicco all’interno del panorama della cultura marxista italiana del XIX secolo. L’ingresso del marxismo all’interno dei circoli intellettuali della penisola è principalmente frutto della sua opera di approfondimento teoretico e interpretazione dell’opera di Marx. Già questi primi, scarni dati ci consentono di attuare un confronto tra Labriola e Gramsci, facendoci comprendere quanto sarebbe errato tentare di accostare la figura del primo a quella del secondo, che più che uno studioso dell’opera marxiana ne sarà geniale ed originale interprete, ma anche come sarebbe assurdo subordinare una all’altra. Se, infatti, Gramsci è una pietra miliare entro le scuole neomarxiste europee per l’innovatività teoretica dei suoi rapporti con il marxismo, Labriola è la premessa storica necessaria a tale innovazione, il meccanismo che mette in moto l’intero ingranaggio. Su un piano strettamente filosofico l’approccio del Nostro (che, peraltro, avrà modo di conoscere personalmente Engels) al pensiero di Marx si configura come una polemica contro le interpretazioni positivistiche che di esso circolavano a suo tempo. Il positivismo può essere accettato nei suoi aspetti scientifico-metodologici, ma la sua ricaduta nella metafisica, in quella metafisica a cui i positivisti stessi avevano detto “niente più” (che, di fatto, è il suo leggere la materia come fondamento ultimo dell’universo) non può non essere estranea a ogni marxismo. Ciò, tuttavia, non deve indurre a credere che Labriola legga nel marxismo una qualche forma di naturalismo, anch’esso di derivazione positivista. Al contrario, l’opera di Marx è estranea a qualsiasi discorso avente basi “nel campo della fisica, della chimica, della biologia”, come egli stesso afferma. Quanto facente parte del mondo della cultura corrisponde a ciò che comincia a estraniarsi dal regno della natura. Quest’ultima, infatti, si configura come susseguirsi di elementi meccanici, concatenati l’un l’altro, a differenza della cultura, che costituisce lo svincolarsi dell’uomo dal regno della meccanicità e ne garantisce la libertà. L’uomo “non è più semplicemente animale”, cioè non è più elemento meramente naturale e assimilabile a schematizzazioni naturalistiche, perché è capace di cultura, cioè è capax libertatis. L’uomo, all’interno di una prospettiva filosofica marxista, non è ingranaggio di un meccanismo, ma homo faber, artefice della propria storia. Una lettura del genere non mancherà di generare dibattiti e divisioni notevoli all’interno delle stesse scuole filosofiche marxiste (si pensi solo a quanto sarà lontano da essa il francese Louis Althusser), ma indubbiamente rimane un passaggio fondamentale per la comprensione del pensiero di Marx e le sue conseguenze in sede speculativa. Tuttavia non è alla concezione dell’uomo che si limita l’analisi di Labriola. Da essa, infatti, è fisiologico passare a una trattazione specifica della dicotomia tra struttura e sovrastruttura. Se la cultura è l’elemento che conferisce libertà staccandosi dalla meccanicità della natura in che modo è possibile mantenere intato quanto sostenuto da Marx in merito alla natura consequenziale della prima rispetto alla seconda? La risposta di Labriola è che non è in discussione il fatto che le forme della coscienza siano determinate dal continuo premere della realtà economica sull’uomo. Questo è, marxianamente, un dato di fatto. Ciò che va sottolineato, invece, è che anche le stesse forme della coscienza costituiscono la storia, cioè che esse, una volta venute alla luce, si configurano come elemento strutturale per la nascita di nuove forme di sovrastruttura. I rapporti tra struttura e sovrastruttura non sono semplicisticamente identificabili con un substrato economico che determina istituzioni, filosofie, ideologie, religioni, teorie etiche ecc., piuttosto vanno letti come rapporto tra la concretezza storica nel suo complesso e il suo potenziale divenire. E come il positivismo così anche l’idealismo va evitato. Quest’ultimo, infatti, risulta essere una deduzione del reale dal pensiero. Se determinismi economicistici possono banalizzare la lettura dei rapporti tra struttura e sovrastruttura volontarismi di natura idealistica non tengono conto del reale svolgimento dei fatti.

Complessivamente la filosofia di Labriola può essere letta come una ferma volontà di porre attenzione sulla dinamicità del reale, e di come la stessa conoscenza umana, la sua maturazione, non possa non svilupparsi entro le esigenze di un “conoscere operando”, cioè in relazione al reale stesso.

 

Tommaso Di Brango è studente di lettere moderne a Cassino, si occupa di teologia e letteratura, oltre a svolgere l'attività di musicista.

 

 

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