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Thomas Hobbes è considerato come uno dei maggiori rappresentanti di due correnti di pensiero antitetiche tra loro quali il giusnaturalismo e il positivismo giuridico. In breve il giusnaturalismo è la dottrina del diritto naturale in cui la legge fondamentale è la lex naturalis, mentre il positivismo pone come fondamento la lex civilis. Ci si domanda come è possibile che due posizioni ove una nega l’altra, trovino in Hobbes un punto d’accordo e come si inserisca nel dibattito del XVII secolo. Bisogna in ogni modo tenere conto dell’ambiente intellettuale in cui Hobbes vive il suo tempo, un mondo di rivoluzioni scientifiche, di scoperte geografiche e di guerre civili che imperversano su Francia, Inghilterra, etc. In Hobbes, a differenza di quanto accade in Aristotele, la comunità non è ontologicamente prima, bensì è un punto di arrivo che si costituisce come una techne. A differenza di Cartesio, Hobbes basa la sua intera filosofia sulla corporeità, escludendo la scomoda scissione tra res cogitans e res extensa: il corpo umano è una macchina sia nel corpo che nella mente. Bene e male non sono altro che la trasfigurazione degli appetiti e delle avversioni di cui l’uomo si serve per discernere ciò che è utile o meno. Il bene non è più un bene metafisico come per Aristotele, un puro atto, causa motrice a cui tutto tende, ma tutto è legato alla soggettività e ogni cosa diviene oggetto del desiderio. L’uomo non è zoon politikon per natura, ma, come nel mito protagoreo, non possiede originariamente eidos e dike. In Hobbes la natura è techne, una concatenazione di causa ed effetto ove l’uomo imita la natura, e lo stato si fonda su quest’imitazione o copia; lo stato risulta quindi un essere artificiale. Aristotele invece indica con il termine arte l’attività produttiva per cui l’effetto è l’essere artificiale che possiede in sé il principio di movimento e il fine immanente. Per Hobbes anche la stessa ragione è soggetta alle regole delle leggi dell’esperienza matematica, ovvero una serie di addizioni e sottrazioni o calcoli. Lo stato di natura è la condizione in cui il singolo si trova nella situazione di guerra totale, una battaglia di tutti contro tutti. Per evitare la propria autodistruzione, l’uomo sfrutta la ragione e crea artificialmente lo stato tramite un patto o contratto. Perché il patto sussisti, entrambi i contraenti devono concordare sull’oggetto del patto, ossia la cessione paritaria del diritto naturale all’uso della forza. I contraenti delegano il proprio diritto naturale ad un ente esterno ai contraenti stessi, un’autorità che ha il potere e il dovere di far rispettare i vincoli del patto. Questa autorità è lo Stato, ed è per questo che è un Leviatano, in quanto possiede una potenza immane e ha il diritto di esercitarla. Questa visione è in contrasto con gran parte del clima culturale del tempo, da un lato la scolastica medievale di ispirazione aristotelico-platonica, dall’altro contro filosofi come Locke, che vogliono teorizzare uno stato fondato sui diritti naturali. Tuttavia se da una parte Hobbes sembra negare la sostanza delle argomentazioni dei filosofi antichi, dall’altra egli ne sfrutta a pieno il linguaggio. In Platone ad esempio, l’anima è divisa in tre parti: concupiscibile, irascibile e razionale. Ad ognuna di esse corrisponde nella teoria politica platonica una particolare “classe” all’interno della comunità. Come si può ben notare esiste uno strettissimo nesso tra parti dell’anima (uomo) e classi (stato). Questo rapporto si ripresenta in Hobbes, anche se con caratteri distinti lo stato è un uomo artificiale. Nello
stato assoluto hobbesiano, i contraenti sono costretti a rispettare
i termini dell’accordo per non commettere ingiustizia. E’ infatti assurdo,
nota Hobbes, commettere ingiustizia in quanto entrambi i contraenti
si sono impegnati nel rispettare il patto. In tal caso lo stato è costretto
ad intervenire con l’uso della forza. Dovere dello stato è quindi quello
di far rispettare la pace tra gli individui. La legge è l’espressione
della potenza del sovrano, una formulazione della giustizia detta legalista,
la base del positivismo giuridico Tuttavia la teoria statale di Hobbes,
prende il via dalla legge naturale, come ad esempio la conservazione
della vita. Il sistema di Hobbes deduce dalla prima legge naturale (la
pace) tutte le altre leggi; la pace è intesa come la conservazione della
vita attraverso la rinuncia della libertà (libertà = assenza totale
di impedimenti), in quanto noi deleghiamo il nostro potere ad un’autorità
esterna per evitare la guerra contro tutti. Sembra dunque che il fine
sia posto dalla realtà naturale, ma raggiunto dalla realtà civile. La
legge naturale non crea vincoli, ma diviene obbligante solo se e solo
se diventerà lex civilis. Ora, Hobbes è un positivista giuridico per
l’esito, ma un giusnaturalista per la base su cui il diritto positivo
si fonda.
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