Nella mitologia celtica non vi è netta distinzione tra divinità ed esseri umani: molti eroi hanno tratti e ascendenze divine, e allo stesso modo alcuni déi o semidei non sono che figure trasfigurate di mortali.

Ciò è dovuto essenzialmente a due cause: in primo luogo alla trasmissione orale, che per secoli se non per millenni caratterizzò ogni produzione scientifica, religiosa, storica e poetica dei Celti. Furono perciò i Bardi, di regola, a curare il tramandamento delle leggende e delle tradizioni del loro popolo, che vennero riversate su pergamena solo in alcune zone, principalmente in Irlanda ed in Galles, e solo in seguito alla cristianizzazione (cioè, nel caso dell'Irlanda, a partire dal VI secolo d.C.) con l'intenzione di preservare ciò che rischiava di scomparire con il declino della classe druidica. Nel corso della stesura di tali manoscritti, affidata a monaci cristiani, fu però applicato un inevitabile filtro, attraverso il quale le storie vennero talvolta (non sempre) ad acquisire un carattere agiografico ed edificante, funzionale alla politica di cristianizzazione allora in atto. Quando questo non avvenne, la differenza rispetto all'originale si mantenne comunque significativa: oltre all'inevitabile perdita del supporto ritmico e musicale, va notato che le storie furono elaborate ed interpretate da persone che per forza di cose non erano più in grado di coglierne i simboli, i riferimenti e i significati originali, retaggio esclusivo di una cultura di formazione bardica. Molti elementi vennero così travisati dai copisti, che oltretutto si preoccuparono di far sparire (almeno a loro giudizio, poiché le loro correzioni sono per la maggior parte superficiali e artificiose) ogni traccia del paganesimo che inevitabilmente pervade ogni corpus mitologico. Ecco dunque che divinità come Lugh, Dagda, la Morrigan o Manannan McLyr perdono il loro status divino diventando antichi re, stregoni, giganti, esseri magici e fatati, quando non addirittura demoni. In alcuni casi, al contrario, vengono assorbiti dalla cultura cristiana e venerati come santi: è il caso, pare, di Santa Brigida. Per quanto riguarda i druidi (e raramente ne compaiono), essi vengono presentati sotto una luce di discredito che sicuramente non ha avuto origine dalla tradizione celtica, e la loro magia è regolarmente ridicolizzata dai miracoli del Santo di turno, che li batte sul loro stesso campo sventandone i perversi piani... (!!). Un esempio geograficamente più vicino a noi di quanto detto sopra è costituito dalla "Formella di Malciaussia", una piccola formella di pietra tradizionalmente tenuta nascosta per tutto l'anno ed esposta periodicamente dai margari, sulla cui superficie è scolpita (pare) la figura di un druido nell'atto di compiere un sacrificio, e che per secoli è stata venerata come immagine di San Bernardo (patrono della frazione montana) che uccide il demonio.

Tutto questo, si badi bene, non deve essere inteso come una critica all'operato delle gerarchie ecclesiastiche del periodo e tantomeno a quello dei copisti, senza i quali tutto ciò che oggi possediamo (ed è incredibilmente poco!) sarebbe andato perso. Il loro lavoro, pur nei suoi inevitabili limiti, è inestimabile. (E comunque già solo il fatto di voler preservare elementi di una cultura più "debole" testimonia un'apertura mentale sconosciuta a molte grandi "ideologie" del nostro stesso secolo!).

Riprendendo il discorso originale, la seconda causa a cui si è fatto cenno è invece un fattore "intrinseco", che non dipende da influenze esterne: il processo di trasfigurazione e di divinizzazione degli eroi del passato è comune a molte culture, ed è stato studiato a fondo dagli antropologi. Nella cultura celtica è un elemento molto comune, basti pensare al mito irlandese dei Tuathà De Danànn, popolazione celtica che dominava l'isola prima dell'arrivo dei Milesians (o Gaeli). Con il sopravvento di questi ultimi i Tuathà De Danànn, secondo le leggende, "scomparirono", diventando un popolo fatato e semidivino dell'Annwyn (l'Aldilà celtico), i cui componenti, immortali e detentori di potentissime magie, partecipavano ad eterni banchetti in luoghi fuori dallo spazio e dal tempo, spesso collocati all'interno degli antichi tumuli neolitici o in prossimità di dolmen, laghi, sorgenti, uscendo per giocare qualche occasionale scherzo (più o meno fatale) a chi si avvicinava ai pochi luoghi ancora in loro potestà. Come è facilmente intuibile, i Tuathà De Danànn non "scomparirono", ed é assolutamente da escludere che siano stati sterminati dai nuovi venuti: la leggenda testimonia invece, attraverso il filtro della poesia, il loro progressivo ritiro davanti all'invasore, la migrazione che verosimilmente li portò dalle coste fino alle zone più interne dell'isola e la successiva, lenta integrazione etnica e culturale con il conquistatore.

Il caso dei Tuathà Dè Danànn non è unico, si badi bene: anche sul continente la definizione irlandese Aes Sidhe ("Popolo delle Colline") era applicata, con minime variazioni linguistiche, per definire le creature fatate, probabilmente i primi abitatori neolitici dell'Europa (costruttori di dolmen, tumuli e cromlech) sconfitti dai celti nella loro migrazione ancestrale. Oltre a questi casi, in cui si parla più che altro di interi popoli, si hanno chiare tracce, come si è accennato in apertura, di diversi eroi e condottieri leggendari assurti al rango divino (o per meglio dire ricordati come divinità): un esempio potrebbe essere costituito da Brenno, re dei Senoni, protagonista di una simpatica gitarella (in cui mise a ferro e fuoco Roma) nel 390 a.C., il cui nome può venir fatto risalire alla radice Bran-wen, "Bianco Corvo", secondo alcuni riconducibile, in ultima analisi, alla dea Morrigan. A parte questa etimologia, è storicamente provato che la figura di Brenno fu identificata, ai tempi di Cesare, con una divinità. Più in generale, è raro che un Eroe muoia davvero, nella mitologia celtica: molto spesso egli dorme all'interno di un tumulo, sotto la superficie di un lago, o su un'isola avvolta dalle nebbie, in una sorta di luogo fatato e fuori dal tempo da cui un giorno farà ritorno per combattere nuove, gloriose battaglie. L'ultima traccia di questo topos letterario celtico è facilmente riscontrabile in Re Artù, che dopo il tradimento di Mordred si rifugiò sull'isola di Avalon, ed ancora oggi è viva la "credenza" nel suo ritorno, predetto il giorno in cui l'Inghilterra sarà di nuovo in gravi difficoltà. Lo stesso Mago Merlino, tradito da Morgana, sarebbe tuttora vivo e prigioniero, secondo la leggenda, in una grotta nella foresta bretone di Broceliande. L'Eroe celtico, dunque, è per definizione immortale, ed in qualche modo connesso con il mondo fatato dei Sidhe (pron. Shee).

Ferme restando queste premesse generali, vediamo dunque come era articolato il pantheon celtico.

In Gallia la divinità principale era Teutates, il protettore delle Tuath, dio che presiedeva alla sovranità regia incarnandone le qualità di valore guerriero e di simbolo di fecondità. Questa figura, assente nell'Europa insulare, è però riconducibile al capo del pantheon irlandese, Lugh Lamfada ("Dal Lungo Braccio"), divinità guerriera dai tratti "odinici" venerata in ogni terra celtica (si pensi al nome originale della città di Lione, Lughdunum, "Fortezza di Lugh", alla galiziana città di Lugo, e persino a Laon e a Leyda): le molte similitudini tra le due figure hanno fatto pensare ad una sostanziale identità, ed il nome di Lugh sarebbe verosimilmente servito ad identificare Teutates nel suo aspetto guerriero. Tale tesi è rafforzata dal fatto che la festa celtica di Lughnasad ("Assemblea di Lugh"), presente ovunque nell'Europa celtica e tenuta la prima settimana di agosto, si connotava come festa della sovranità e della classe guerriera. E' significativo ancora notare che l'appellativo Belenos, il molto luminoso (in Irlanda Bel) era usato a identificare Lugh nel suo aspetto di divinità solare, della luce. Da qui discende fra l'altro il nome della festa druidica di Beltane, letteralmente dei "Fuochi di Belenos". Si noti che in Gallia è attestata persino un' identificazione femminile di Belenos, la dea Belisama; poiché l'aggettivo luminoso è da intendersi nell'accezione francese di lumière, che indica la luce spirituale oltre che quella fisica, non pare azzardato identificare Belisama con la dea irlandese della parola, Brigit, secondo alcuni controparte femminile del dio Ogmios, secondo altri, invece, di Govannon.

Altra importante divinità continentale è Taranis, una figura che presenta molte analogie con il Thor germanico, presiedendo a tutti gli aspetti più violenti e impetuosi della natura, in particolar modo al tuono, ai fulmini e alle tempeste. Ma Taranis non è solo un dio guerriero: il suo simbolo è la Ruota Cosmica, immagine della ciclicità delle stagioni e delle epoche, metafora del ciclo vitale che accompagna ogni creatura dalla nascita alla morte alla successiva rinascita. Sotto questo aspetto, Taranis è analogo al dio-druido Dagda, che nel pantheon irlandese è secondo per importanza solo a Lugh. In quanto divinità druidica, Dagda è depositario della scienza, del sapere sacerdotale, e presiede all'amicizia e ai contratti (rispecchiando la funzione giuridica della classe druidica). Oltre a questo, padroneggia la magia e il controllo sugli elementi, altro punto in contatto con Taranis. Suoi attributi sono, oltre alla Ruota, la Mazza (che con un'estremità uccide nove uomini in un colpo solo, e con l'altra li resuscita, rispecchiando la dottrina druidica della morte vista come continuazione, su diverse basi, della vita, nonché il concetto di dualità dell'essere); l'Arpa di quercia, che può suonare le Tre Melodie Magiche del Riso, del Sonno e della Malinconia, testimoniando così la connotazione bardica di Dagda, designata dal nome Ogmios, "Signore della Parola"; ed infine il Calderone, (dalla cui cristianizzazione in seguito sboccerà la leggenda medievale del Graal) che ha il potere di nutrire magicamente un intero esercito e di resuscitare i cadaveri che vengono gettati al suo interno, privati però della parola affinché non possano descrivere l'Aldilà.

Mentre Teutates rispecchia la classe guerriera (Flaith) e Taranis quella sacerdotale (Druid), la terza classe sociale, l'Aes Dana, "la gente detentrice del dono", ovvero gli artigiani o coloro che sono esperti in un lavoro manuale, è incarnata da Govannon, presente sia sul continente che nell'Europa insulare: Govannon è un artigiano dotato in ogni aspetto della sua arte, in grado di forgiare armi invincibili come il suo equivalente greco, Efesto, ed in più abile nella realizzazione di oggetti artistici di ogni tipo; nella mitologia irlandese gli déi conquistano l'immortalità mangiando il cibo di un banchetto preparato dallo stesso Gobniu.

Altro importante dio gallico è Cernunnos, il "dio cornuto" rappresentato come un uomo dalla testa di cervo, divinità druidica (probabilmente emanazione di Dagda) che presiedeva ai boschi e alla vita vegetale e animale racchiusa al loro interno, incarnando il mistero e il timore reverenziale della natura (il suo nome era considerato "troppo sacro" per venir pronunciato); era conosciuto con lo stesso nome e con le stesse caratteristiche anche in Bretagna insulare, ed è forse riconducibile al dio guaritore irlandese Dian Cecht. Il dio gallico Sucellos, il Camminatore, probabilmente è una sua diversa manifestazione.

Sempre legato alla forza degli elementi è Manannan McLyr, Signore delle Maree e delle distese sottomarine; questa divinità è propria del pantheon irlandese, ma la sua controparte gallica potrebbe essere Esus, signore dell'acqua, specchio del fluire e rifluire dell'esistenza.

Divinità femminili, come si è sopra accennato, non mancano. Si noti per inciso che nella società celtica la separazione tra i sessi non era molto accentuata (in questo senso, erano forse la più progredita delle civiltà antiche) e le donne, oltre a godere della stessa libertà personale degli uomini, potevano ricoprire funzioni di grande importanza anche politica, nessun ruolo essendo loro precluso, eccezion fatta quello regale (ma si ha traccia di valenti guerriere come Scathach, maestra d'armi dell'eroe Cu Chullain e di Regine quali Boadicea). Tornando alle divinità, molto venerata era Brigantia, dea rurale della fertilità, dei raccolti e dei corsi d'acqua; si ha traccia in Gallia anche di Epona, divinità dei cavalli e della fertilità, e di Rosmerta, figura legata in qualche modo a Teutates e connotata come divinità del benessere, della ricchezza, dell'abbondanza e del focolare. Moltissime delle divinità locali, proprie di una particolare Tuath o zona geografica, erano poi femminili: l'esempio più famoso è costituito dalla dea Sequana (la Senna), che diede il nome alla Tuath attestata presso le sue sorgenti. In Irlanda (ma non solo), infine, grande rilievo aveva la Morrigan, potente divinità guerresca che incarnava la violenza, il massacro, la sete di sangue e di vendetta, e che sopravvisse nella leggenda cortese di Fata Morgana e, secondo alcuni, nella credenza popolare concernente le masche, cioè (nel caso del Piemonte) le streghe.

Mentre alcune epigrafi di età gallo-romana ci hanno permesso di conoscere i nomi di alcune divinità galliche, così non è avvenuto per il corpus epico e leggendario: con la scomparsa della classe bardica continentale tutta questa produzione (che doveva essere vastissima) è andata irrimediabilmente perduta. Gli unici Eroi di cui si ha notizia provengono perciò dalla tradizione cimrica o irlandese: in alcune opere (come ad esempio il Tàin Bò Cuailngè) vengono narrate battaglie epiche tra eroi di diversi schieramenti (e sono decine e decine), ognuno dei quali viene univocamente determinato con particolari attributi ed appellativi, il che porta a credere che esistessero interi poemi dedicati ad ognuno di essi, mentre ora non se ne conosce nulla al di fuori dei nomi. Le gesta dei più famosi, tuttavia, si sono conservate. Il più grande eroe irlandese è senza dubbio Cù Chulàinn (pronuncia Cu Hullìn), figlio del dio Lugh, guerriero formidabile conoscitore di tutti i feats (particolari tecniche di combattimento e stoccate segrete della mitologia celtica, tramandate solo a guerrieri eccezionali) e detentore della leggendarie Gae Bolga, la infallibile lancia uncinata i cui barbigli penetravano in ogni cavità del corpo della vittima, straziandola a morte allorché l'arma veniva estratta. Caratteristica di Cù Chulàinn, ma comune a pochi altri eroi, è la Riastharthae, furia guerriera che lo attanagliava in battaglia, stravolgendone i lineamenti e facendone un gigante imbattibile ed inarrestabile. Curiosamente il notissimo abbigliamento guerriero dei celti (che spesso combattevano nudi e con i capelli resi irrigiditi e alti sulla nuca dal gesso, vedi statua del Galata morente...) deriva proprio dall'imitazione degli effetti della Riastharthae.

Altre figure epiche sono il Bardo Amergin, che giunse in Irlanda nell'ultima conquista, e di cui si sono conservate persino alcune poesie; i suoi fratelli Find e Eremon, primi Re gaelici d'Irlanda; Finn Mc Cuhal, guerriero leggendario dei Fianna, e il figlio Ossian (pronuncia Usheen), famosissimo bardo a cui si rifece McPherson; Fergus, che impugnava l'arcobaleno come una spada, e con un fendente durante una battaglia decapitò una montagna... Dal Mabinogion, poema gallese, spiccano invece le figure di Pwyll, il Principe dell'Annwyn, ed il figlio Prydery; il gigantesco Bran, la cui testa, dopo la morte, continua a parlare per non privare i camerati della propria compagnia; e molti altri, famosi come il Bardo Taliesin, o meno noti come il mago Gwydyon.

Negli ultimi tempi si è potuto assistere ad un lento ma graduale riaffermarsi della cultura celtica, una vera e propria rinascita avviatasi nel secolo scorso e culminata in questi ultimi anni.

Si è parlato di rinascita, ma il termine non è del tutto appropriato, in quanto non ci fu una "morte": piuttosto una brusca interruzione, coincidente con l'invasione romana. Gli abitanti della Gallia Cisalpina (e prima ancora i Lusitani e i Celtiberi) furono i primi a subire un processo, ancorché parziale, di romanizzazione, iniziato già nel II Secolo a.C.; ciò tuttavia non impedì a molte popolazioni, specie a quelle ubicate in Piemonte e Valle d'Aosta, di godere di una indipendenza quasi assoluta, tanto che al momento della decisiva battaglia di Alesia (nel 52 a.C.), teatro della definitiva sconfitta dell'Ard Ri (Sommo Re) Vercingetorix, giunsero a combattere Cesare perfino gli Eporediesi, provenienti dal Canavese! Altre zone, come ad esempio la Val di Susa (Segusio), caddero molto dopo: si sono trovate le tracce di un'alleanza "paritaria" tra il Re celtico Cozio I° e l'imperatore Augusto, alleanza che durò fino alla rivolta contro Roma (naturalmente soffocata nel sangue) capeggiata dallo stesso figlio del Re gallico. Ma si era al canto del cigno, perché proprio sotto Augusto caddero anche gli ultimi dunum (roccaforti) dei Salassi, fra cui Cordele, che verrà ribattezzata Aosta. Ciò tuttavia non impedì che in tutta l'Italia del Nord sopravvivessero frammenti di cultura ed usanze celtiche, riconoscibili in particolare dai nomi sopravvissuti ai secoli: Milano (Mediolanum, "Fortezza/Santuario di Mezzo") fu capitale degli Insubri; Torino (ovviamente) dei Taurini; Bologna fu capitale della potente popolazione dei Boi, ed il Veneto prende il nome dall'omonima popolazione ivi stanziata (i Veneti, originari della Francia del Nord); in Veneto vi sono addirittura prove archeologiche attestanti l'origine di cognomi caratteristici ancora attuali, fatti risalire, come in Scozia e in Irlanda, ad eroi, clan o personaggi vissuti addirittura nel V Secolo a.C., e comuni ed immutati ancora oggi!! A prescindere da questa curiosità, e volendo riassumere, la romanizzazione dell'area cisalpina  fu purtroppo presente, ma non particolarmente aspra e repentina. Inoltre la presenza celtica in tutta l'Italia Settentrionale e centrale era assai massiccia e antica, fin dal 600 a.C. allorché erano penetrate in queste zone le popolazioni dei Biturigi, Arverni, Senoni, Edui, Ambarri, Carnuti ed Aulerci, ma anche prima (le popolazioni "autoctone" come ad esempio i Liguri sarebbero verosimilmente di ceppo celtico, ma giunte in tempi antecedenti: lo dimostra tra l'altro la perfetta integrazione avvenuta in questo periodo.

Se in Gallia cisalpina, come si è detto, la romanizzazione non fu particolarmente brusca, nel resto d'Europa tale processo fu invece molto più rapido e drammatico: l'ostinata resistenza opposta a Cesare e l'abbozzo di confederazione delle varie Tuath (popolazioni capeggiate da un Re) convinsero quest'ultimo ad abbandonare la tanto decantata tolleranza romana in fatto di religioni e costumi dei popoli assoggettati, e ad attuare una ferrea persecuzione volta allo sterminio, né più né meno, della classe druidica, giustamente percepita come elemento unificante e fondamento della società celtica: si ha traccia di numerosi editti in questo senso, promulgati ad intervalli regolari fin sotto l'imperatore Claudio. A questo fatto si aggiunga inoltre l'effetto devastante della campagna di conquista (solo sotto Cesare si parla di un milione di morti e di un altro milione di uomini condotti in schiavitù): la civiltà celtica continentale semplicemente cessò di esistere, tranne che in sacche isolate e destinate ad una omologazione più o meno rapida.

Ciò che determinò questo brusco oblio fu proprio la scomparsa della classe sacerdotale, da sempre unica depositaria delle conoscenze scientifiche, giuridiche, mediche, religiose e mistiche, oltre che della storia e del corpus mitologico locale. Tutto ciò andò interamente ed irrimediabilmente perso in quanto era affidato unicamente alla memoria dei Druidi.

I Celti ritenevano infatti che la scrittura (che pure conoscevano) non fosse un mezzo adatto al tramandamento e alla conservazione della conoscenza, che doveva invece essere interamente affidata alla memoria e alla parola. Questo perché il sapere e le tradizioni erano percepite come un qualcosa di vivo, in continua evoluzione, che veniva recepito non passivamente ma rielaborato, riscoperto da colui che ne veniva messo a parte: solo la parola, altrettanto viva, era dunque il mezzo idoneo a comunicare la sapienza, mentre la scrittura era vista come uno strumento morto, fisso e statico.

In seguito a questo fatto, e nel caso specifico della cultura epica, la produzione continentale è andata irrimediabilmente perduta, o quasi, come si vedrà più avanti; diverso il caso dell'Europa insulare, in cui la penetrazione romana fu più blanda o addirittura inesistente (in Irlanda): proprio da queste zone provengono le uniche opere che tutt'oggi possediamo, trascritte più o meno fedelmente da monaci cristiani: è il caso del manoscritto gallese del Mabinogion, dei tomi irlandesi del Tàin Bò Cuailngé, del Libro delle Invasioni...

A parte queste opere frammentarie e lacunose, nonostante l'impegno romano molti elementi prettamente celtici sopravvissero come sostrato culturale: perfino la religione, sebbene minata alle basi dalla scomparsa del druidismo, ebbe una sua continuità testimoniata ad esempio da numerose epigrafi o da fenomeni locali come il "culto delle matrone" attestato nelle Alpi Occidentali e sopravvissuto in toponimi quali ad esempio Brigantium (da Brigantia, dea rurale e dei fiumi), l'antico nome di Briançon. In Inghilterra sopravvisse fin nel medioevo la credenza in Cernunnos, che assunse diversi nomi, divenendo di volta in volta Herne il Cornuto, Robin Goodfellow oppure il Master of the Wild Hunt (una sorta di angelo della morte che percorreva nottetempo le zone selvagge a bordo di un carro da guerra e con una muta di ferocissimi cani), entrambi chiaramente identificabili in quanto descritti come dalla forma umana e dalla testa di cervo. Pare che in seguito il dio cornuto venisse addirittura identificato con la figura di San Dunstano, patrono dei bracconieri, citato da Sir Walter Scott in Ivanhoe, ma l'ipotesi non sembra rafforzata da adeguate basi scientifiche.

Fu proprio il sostrato di cui si è detto sopra, comune per giunta a tutta l'Europa, a far sì che le braci della cultura celtica non si spegnessero. Va inoltre notato che la cristianizzazione delle terre celtiche fu relativamente rapida e indolore, persino in Irlanda dove, all'arrivo di San Patrizio, la classe druidica era ancora presente. Questo poté avvenire grazie alla sorprendente lungimiranza della Chiesa dell'epoca, che seppe coniugare una propaganda capillare ed un rispetto illuminato per le tradizioni locali. In quella fase della storia d'Irlanda non ci furono roghi né inquisitori. San Patrizio e i suoi successori ebbero il merito di saper tollerare gran parte del folklore locale, riproponendolo al popolo in chiave cristiana e riuscendo a strumentalizzarlo ai propri fini. La Chiesa seppe insomma portare avanti l'evangelizzazione del popolo irlandese senza cancellarne completamente l'identità storica e culturale. Le divinità locali continuarono ad esempio ad essere venerate come santi patronali, i luoghi considerati magici (sorgenti, pozzi, tumuli...) divennero luoghi miracolosi grazie all'intercessione di altri santi che vi erano in qualche modo legati (o che spesso, verosimilmente, vennero inventati di sana pianta); e le varie feste druidiche annuali, persa la loro connotazione pagana, continuarono ad essere onorate con la benedizione della Chiesa. Valga per tutte l'esempio di Samhain, che ricorreva in occasione della prima luna piena di Novembre e che metteva in comunicazione il mondo degli uomini con l'Annwyn, il mondo degli spiriti. Essa venne fissata al 1° Novembre, e divenne la festa di Ognissanti (in questi ultimi tempi se ne è addirittura recuperata (a sproposito) la connotazione pagana, con la festa (a mio parere piuttosto inutile ed estranea alla nostra cultura) di Halloween). Si noti per inciso che altre feste come Beltane, che sul continente non ricevettero un'investitura così ufficiale dalla Chiesa, sopravvissero comunque in qualche forma nei piccoli centri rurali e montani, fino al nostro secolo: si pensi ai fuochi di S.Giovanni, o alla festa nordeuropea di Calendimaggio. Anche alcune tradizioni peculiari, come il bacio sotto il vischio nella notte di Capodanno, risalgono direttamente ad usanze celtiche quando non druidiche (il vischio era un potente simbolo di rigenerazione, raccolto dai druidi con particolari rituali ed utilizzato come pianta medicinale).

La sopravvivenza di radici celtiche nella cultura europea è, dunque, ben attestata fin dai primi secoli della nostra era, ma non si può parlare, tranne in rari casi, di vere e proprie opere letterarie: la cultura "ufficiale" era pur sempre di stampo classico; bisogna dunque attendere l'Alto Medioevo per vederle legittimate ad un rango più elevato. Accadrà nella letteratura cavalleresca e cortese, in cui molte tematiche sono spiccatamente celtiche: in primis, l'elemento magico e fatato che spesso pervade leggende, ballate e canzoni di questo periodo, da Chretién de Troyes in avanti; in secondo luogo l'ideale cavalleresco, la guerra vista come forma d'arte e rigidamente codificata secondo precise regole di comportamento, è un elemento permeante dell'aristocrazia guerriera celtica, e da essa è stato mutuato, filtrandolo naturalmente con la mentalità del tempo ed integrandolo con ideali religiosi. Oltre a questi elementi di base,  si noti che Trovatori e Trovieri erano menestrelli di professione, veri e propri Bardi, che, persa l'aura sacrale, continuavano almeno in parte a svolgere le antiche funzioni, producendo e tramandando una cultura destinata all'intrattenimento dell'aristocrazia guerriera. E le loro storie avevano spesso radici molto più antiche di quanto essi stessi non immaginassero: il Ciclo Arturiano, in particolare, è quanto di più squisitamente celtico sia mai stato prodotto al di fuori dell'Irlanda, e personaggi e tematiche sono ritrovabili in opere più antiche e più "pure" dal punto di vista filologico, quali ad esempio il Mabinogion gallese.

A questa riscoperta del celtico (di cui ci si renderà conto solo molti secoli dopo, e che vedrà la partecipazione di autori del calibro di Maria di Francia, Beroul, Monmouth, Wace, Thomas, EIlhart Von Oberg, Gottfried von Strassburg, e in epoca più avanzata Thomas Malory) fece eco un nuovo periodo di silenzio: con la fine del medioevo la concezione mistica, astratta della realtà tanto in sintonia con la cultura celtica divenne fuori moda, e nel Rinascimento l'Umanesimo e la riscoperta dei Classici infersero un nuovo decisivo colpo. Tuttavia qualcosa di tanto in tanto continuò ad affiorare, specie in Europa settentrionale: si pensi ad alcune opere di Shakespeare, ad esempio il "Macbeth", l'"Amleto", "La Tempesta", per non parlare poi di "Sogno di una Notte di Mezza Estate", in cui oltre ai personaggi del mondo fatato (i cosiddetti Sidhe) compare perfino... il dio celtico Cernunnos, nei panni di Puck - Robin Goodfellow, folletto al servizio del Re delle Fate, Oberon.

Bisognerà tuttavia attendere la seconda metà del  XVIII secolo per assistere ai primi, decisivi colpi letterari inferti al Neoclassicismo: ad esempio da parte del Conte di Caylus, che "riscoprì" i suoi antenati Galli e per primo "osò" il paragone delle vestigia celtiche con le meraviglie egiziane. O Thomas Gray, autore fra l'altro di due famosi poemi runici. Ma il più importante riscopritore fu un poeta scozzese, James Macpherson, il primo a riproporre al pubblico europeo poemi di stampo e tematiche squisitamente gaeliche, che ebbero un influsso enorme, spianando fra l'altro la strada al Preromanticismo e al Romanticismo (perfino in Foscolo si può parlare, in alcuni passaggi, di "echi ossianici"). Macpherson fu insomma la scintilla che fece, dopo due millenni, divampare il pagliaio: dopo di lui poeti del calibro di Burns o di Yeats,riportarono alla luce, ammantandoli di nuova dignità letteraria, elementi del folklore celtico, e il loro potente impulso non si è ancora arrestato, né accenna a farlo. La cultura celtica trovò insomma nel Romanticismo un ambiente fertile, persino in campo musicale: celebre è la "Norma", opera lirica del Bellini (1830) che ha per protagonista proprio una druidessa.

Da queste premesse, ciò che era sopravvissuto ai secoli poté finalmente sbocciare a nuova vita. Va detto inoltre che negli ultimi anni la politica dell'Unione Europea, da sempre volta al riconoscimento e alla valorizzazione delle differenze e delle radici etniche e culturali, ha saputo dare una spinta particolarmente significativa a questo processo, il cui risultato è attualmente sotto gli occhi di tutti: lingue a rischio di estinzione solo fino a due generazioni fa sono oggi insegnate regolarmente nelle scuole pubbliche (naturalmente, NON in Italia...), ed in alcuni casi sono state risollevate all'antico rango di lingue nazionali (è il caso, nella Repubblica Irlandese, del Gaelico, equiparato  all'inglese anche per scopi nazionalistici, e di molte altre lingue o dialetti locali, come il cimrico o il bretone). Come si è accennato, nel nostro paese l'interesse per il sostrato linguistico celtico è pressoché nullo (forse un'eredità di Gentile?), ed è stato a malapena vagliato da qualche sporadico erudito, come Costantino Nigra (personaggio chiave del risorgimento italiano).

Già questo fatto sarebbe, da solo, degno di nota: la lingua è infatti l'espressione più alta della cultura e dell'identità di un popolo. Ma la rinascita celtica è andata ben oltre: oggi si può parlare infatti di una «nazione virtuale che si estende al di là dei mari» e «raggruppa un po' meno di diciotto milioni di abitanti» comprendendo Scozia, Irlanda, Galles, Bretagna... (cito traducendo da un articolo apparso sull'edizione internazionale di "Le Monde", 8-9 Agosto 1998). In effetti chi ha avuto occasione di visitare uno di questi paesi (la Bretagna in particolare) si sarà sicuramente accorto di come la gente si senta celta, al di là della nazionalità: sul piano politico sono sorti ovunque movimenti indipendentisti, ma questo non sarebbe di per sé degno di nota se non fosse accompagnato da un interesse sensazionale per ogni elemento tradizionale: il Trischele, simbolo druidico che incarna l'equilibrio degli elementi, l'armonia tra la Terra, l'Uomo e l'Annwyn, e più in generale la struttura tripartita dell'Universo, è diventato vessillo di questo imponente movimento culturale, e lo si trova dappertutto: bandierine, monili, decorazioni, gelati, adesivi sulle macchine, catenine, gioielli, persino nelle vetrate delle cattedrali gotiche (testimonianza fra l'altro della sopravvivenza medioevale degli elementi decorativi tradizionali).

La riscoperta di questa identità culturale si esprime oggi principalmente nella musica. Senza scendere nello specifico, ci si soffermi un attimo su qualcuno degli ultimi successi del 1998, ad esempio la celeberrima "My Heart Will Go On" di Céline Dion, ultratrasmessa colonna sonora del polpettone-Titanic: ebbene, l'incipit (oltre all'impronta vocale) è di stile inequivocabilmente celtico, così come "Live Forever", altro hit delle Spice Girls; e non sono che esempi (potrei citare persino una o due canzoni del canadese Brian Adams, o addirittura il soundtrack dell'"Ultimo dei Mohicani", film di una decina di anni fa...). Al di là di queste "citazioni", che testimoniano però l'inclinazione attuale del pubblico mondiale verso un determinato filone, decine e decine di gruppi musicali esclusivamente celtici sono sorti negli ultimi anni: a parte i Chieftains (famoso gruppo folk irlandese) ed Enya (musicista irlandese spesso in vetta alle classifiche ma a mio avviso un po' troppo commerciale) si possono citare artisti come Loreena McKennit, sofisticata cantante irlandese, l'arpista Alan Stivell, il gruppo belga Orion, i galiziani Celtas Cortos, i bretoni Dan Ar Braz oppure i  Bagad Kemper, gli irlandesi Déanta, e moltissimi altri, che hanno in comune il fatto di comporre canzoni in cimrico, gaelico o bretone, e l'utilizzo degli antichi strumenti (arpa, cornamuse, percussioni particolari, violino celtico, corni...) affiancati a quelli moderni. Ultima novità "continentale", infine, è costituita dai Manau, innovativo gruppo francese autore di un indefinibile rap celtico, arricchito da stacchi strumentali molto suggestivi: nell'estate del '98 il loro hit, "La Tribu de Dana", racconto di un'antica battaglia, è stato trasmesso molte volte anche da emittenti italiane, e ancora nei primi mesi del '99 il gruppo è nella top-ten delle classifiche europee dei singoli. Peccato che ai loro testi manchi una più adeguata documentazione storica, che forse verrà col tempo. Richiami celtici, specie negli stacchi strumentali, sono infine facilmente individuabili nelle canzoni dei Corrs, gruppo rock irlandese recente ma molto valido.

La vitalità di questo filone musicale, comunque, è ulteriormente testimoniata dal successo dell'annuale Festival Interceltico di Lorient, cittadina bretone in cui ogni anno affluiscono artisti da ogni parte d'Europa, radunando più di 400.000 spettatori: il Festival è ormai giunto alla sua 28^ edizione, ed è considerato in Francia un fenomeno culturale di primissimo piano.

Lasciando da parte la musica, un altro filone in cui la cultura celtica emerge con particolare forza è la letteratura (soprattutto fiction), fin già dalla prima metà del secolo: la nascita e l'affermazione del genere fantasy ha gradualmente portato alla riscoperta di un gusto per storie di ambientazione e taglio celtico, che in questi ultimi anni si sono configurate come una vera e propria branca del genere. Accanto, dunque, ai primi tentativi di un fantasy "preceltico" di Conrad e Vance (heroic fantasy alla Conan, per intenderci) sono emerse opere di taglio più realistico e più fedele all'epoca, specialmente grazie ad autori del calibro di Morgan Llywelyn, Stephen Lawhead, e diversi altri. La linea di demarcazione si ebbe con un grande scrittore inglese, l'unico del suo genere ad essere studiato nelle Università di tutto il mondo, e che non ha bisogno di presentazioni o di commenti: J.R.R. Tolkien. "Lo Hobbit" e "Il Signore degli Anelli" (fra le molte altre sue opere) segnarono il passaggio ad un tipo di fantasy più marcatamente fiabesco, pervaso da una genuina atmosfera celtica ricostruita con pacata ironia e sapienti pennellate. 

Anche nel campo dei fumetti si riscontra un certo interesse per l'antichità celtica, anche se il prodotto non sempre riproduce in modo fedele la storia o i costumi dell'epoca: vale comunque la pena di citare l'inglese Slane, ispirato ad un antico re d'Irlanda ed impregnato di misticismo celtico, ancorché piuttosto superficiale e "grezzo"; caso a parte, ovviamente, è costituito dall'arcimitico Asterix, che non ha assolutamente bisogno di commenti, visto il successo mondiale e pluridecennale. Qui il discorso di fedeltà all'epoca è ben diverso, la ricostruzione fatta da Uderzo e Goscinny è tale da interessare persino gli studiosi, tanto che gli studenti di Storia Celtica di alcune Università se ne vedono consigliati gli albi alla stregua di "libri di testo integrativi"! (Credeteci, credeteci, è verissimo!) 

Infine, anche nel mondo del cinema è in atto una graduale riscoperta delle tematiche celtiche: chi di voi non ricorderà il kolossal di Mel Gibson, "Braveheart", basato sulla storia (vera) dell'eroe scozzese William Wallace? L'epoca è avanzata (1300 d.C.), l'ambientazione è dunque celtico-cristiana, ma si tratta del primo film di un certo peso della storia del cinema ad essere fatto "dalla parte dei Celti" e non dei conquistatori di turno, siano essi Romani o Inglesi. Altro grande successo, anche se di impronta ovviamente diversa, si prospetta essere il nuovo film su Asterix, che  vede nel cast attori del calibro di Gérard Depardieu e... Roberto Benigni!

Un ultimo cenno lo meritano le arti figurative: nel Romanticismo, e in particolar modo in epoca napoleonica, in funzione della propaganda nazionalistica e della politica di grandeur da questi propugnata, vennero ampiamente utilizzati soggetti attinenti al passato gallico della Francia, o a tematiche genericamente celtiche: esempi famosi sono "Il sogno di Ossian" di Ingres, commissionato dallo stesso Imperatore per il Quirinale; o "Ossian accoglie gli spiriti degli eroi morti" di Girodet, in cui è raffigurato lo stesso Napoleone nella veste dell'Eroe accolto nei mondi superni... Continuando, si potrebbero citare un'infinità di litografie, incisioni e quadri ad opera di svariati autori europei del XIX secolo: tra gli altri, "Vercingetorige chiama i Galli in difesa di Alesia" di Ehrmann, "Combattimento di Galli e Romani"  e "I Galli in vista di Roma" di Luminais, "Incontro di Cesare e Ariovisto in Alsazia" di Schutzenberg, ed un'infinità di opere meno famose ma altrettanto pregevoli.

Quanto si è detto riguarda le tematiche esplicitamente celtiche delle arti figurative; per quanto concerne lo stile, invece, il discorso è totalmente differente: gli elementi decorativi classici sono stati utilizzati ininterrottamente in Nord Europa negli ultimi duemila anni, ed ancora adesso sono incredibilmente attuali, dalla Bretagna alla Scozia, dall'Irlanda al Québec. Essi sono caratterizzati da un astrattismo fondato su rigorose simmetrie, nonostante l'andamento spiraleggiante ed estremamente complesso: un vero dedalo di linee, curve e spirali dalla cui ripetizione vengono formate figure umane o animali, figure che si intrecciano e si fondono armoniosamente le une nelle altre, sfiorando la realtà delle cose senza mai accostarla, fermandosi al piano dell'idea, dell'essenza.

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