Sonja     M u s c a s     (matr. 050012)


.:: Terza età e orti urbani ::.


Relatore:                 Prof. Sofia Corradi
Correlatore:     Prof. Giuseppe Oberto






Anno Accademico 2003 – 2004
Tesi di Laurea in Educazione degli Adulti
Corso di Laurea in Scienze dell’ Educazione

Facoltà di Lettere e Filosofia
Terza Università degli Studi “ROMA TRE” di Roma



S O M M A R I O

  Premessa      Anziani in cifre      La vecchiaia nella storia dell'uomo     Tempo libero e     solitudine        Cenni di storia della medicina della terza età       Horticultural Therapy   Orti urbani           Progetto recupero aree XIX Municipio        Conclusione         Allegati  


Premessa

                 secondo Peter Laslett esistono tre età distinte nella vita: la prima dedicata all’apprendimento, alla preparazione alla vita attiva e ai futuri ruoli familiari; nella seconda età ci si dedica alla famiglia, ai figli e al lavoro per mantenerli; nella terza fase della vita, finalmente, ci si può dedicare a se stessi, ad arricchirsi interiormente e a sviluppare al meglio le proprie capacità: un lavoro che non andrà mai in pensione.Stiamo vivendo cambiamenti di grande portata che riguardano nuovi equilibri e diversi rapporti tra generazioni.

La presenza di un numero senza precedenti di persone in grado di godere le ultime età della vita libere dalla routine del lavoro retribuito fa sì che sia aumentata la visibilità delle classi di età più anziane, una parte di popolazione rimasta per lungo tempo invisibile sia ai politici che agli studiosi del sociale . La terza età è pervenuta alla ribalta dei media e della politica non tanto per i successi in campo medico che hanno consentito l’aumento rilevante della vita media dei cittadini, quanto come causa di preoccupazione per i costi crescenti che gli anziani pensionati rappresentano per i sistemi di sicurezza sociale e quindi per i bilanci dei paesi economicamente più evoluti. Certo è che moltissimi ultrasessantenni sono ormai fuori dal mercato del lavoro e, in un sistema che valuta la persona a seconda delle capacità produttive, la terza età finisce per essere considerata un periodo superfluo o inutile dal punto di vista economico. In questo senso gli anziani diventano una questione sociale. In questa sede si cerca di considerare il problema-anziani non in termini di malattia, inabilità, povertà, isolamento e perdita del ruolo sociale, anche se qualche riferimento dovrà essere necessariamente fatto, quanto piuttosto di anziani ancora attivi, degli anziani che varcando la soglia del terzo millennio non sono più giovani ma nemmeno vecchi, o che non si sentono tali, che vivono la loro età con soddisfazione, si rendono utili (nonni tuttofare ) con entusiasmo, che partecipano attivamente al benessere della famiglia. Certo non si può negare che in questa età, convenzionalmente collocabile tra il cinquantacinquesimo e il sessantacinquesimo anno (di solito coincide con l’andata in pensione), si assiste a modificazioni importanti che riguardano la sfera biologica (mutare, decadere del corpo), psicologica (cambiamenti che riguardano l’adattamento alla vita quotidiana), sociale (cambiamento del ruolo nella comunità); sono aspetti che agiscono insieme ma che non necessariamente coincidono. Nei primi studi sull’invecchiamento si poneva l’accento su questa fase della vita come riduttiva e distruttiva, insomma un processo attraverso il quale l’individuo diminuisce e perde progressivamente le proprie strutture e funzioni. Negli studi più recenti si parla di “modificazioni confrontabili a quelle che avvengono nei processi di accrescimento ma non a questi inversi.” In analogia con le ipotesi biologiche, anche in ambito psicologico, vengono rilevati alcuni filoni interpretativi che, per brevità espositiva, possiamo ricondurre a quelli che fanno capo alle teorie del disengagement o del disimpegno e quelle dell’activity. La prima, proposta da Cuming e Henry nel 1961 , vede nell’invecchiamento una riduzione progressiva delle funzioni individuali e interpersonali, una sorta di lasciarsi andare alla deriva, conseguenza, in parte, della reale riduzione delle capacità e delle abilità preesistenti, in parte del volontario ritiro dal mondo favorito dal pregiudizio collettivo che in fondo “invecchiare significa morire” e da quello sociale secondo cui l’anziano è un “oggetto residuale” e marginale di una organizzazione in cui la competizione e l’efficienza sono i valori dominanti. A questa teoria si contrappone quella elaborata da Havighurst , o dell’activity, secondo la quale il disimpegno non è inevitabile e molti anziani non mostrano di disimpegnarsi né sul piano fisico, né su quello psicologico, né su quello sociale. Havighurst individua le caratteristiche dell’invecchiamento con successo nell’ incremento del livello di soddisfazione e del benessere psicologico; ciò consisterebbe nella capacità di mantenersi attivi, fino all’età avanzata, impegnandosi nelle attività più diverse e seconda delle differenti opportunità presenti e delle abilità personali. Sicuramente il fisico stenta a fornire le prestazioni di 20-30 anni prima. Cesa Bianchi osserva che un soggetto anziano è in grado di supplire i deficit connessi al decadimento di alcune capacità utilizzando altre abilità e funzioni. Alla riduzione della rapidità senso-motoria, ad esempio, si affianca precisione e accuratezza, l’efficienza intellettiva diviene più lenta ma anche più riflessiva; in sintesi, con l’avanzare dell’età diminuiscono le possibilità di fornire prestazioni eccezionali, ma sono confermate quelle medie abituali; si restringerebbe la gamma delle attività, ma non l’efficacia e l’efficienza di quelle medie possibili. Gli studi sulla longevità, condotti da Lehr , mostrano come essa consegua alla life satisfation che a sua volta è frutto di una buona percezione di sé e conseguenza della curiosità per le cose della vita in genere, dell’attenzione per la propria crescita interiore, della capacità, nel corso del pensionamento, di sostituire al lavoro, appena lasciato, altre forme di attività e di interessi che contribuiscono ad ampliare le conoscenze e le competenze personali. La storia delle civiltà mostra come la figura dell’anziano abbia attraversato il tempo con alterne fortune: a volte deprecata, a volte elevata ai ranghi sociali più alti, a volte derisa, a volte invidiata , a seconda del sistema dei valori attraverso i quali ogni società, in quel tempo e in quel determinato luogo, considera la porzione terminale della vita umana. Oggi le società più industrializzate tendono a farne un problema, o a nascondere la vecchiaia quasi sia una colpa , invece di attuare serie politiche di valorizzazione di quella parte di cittadini che possono, e che vogliono, ancora rendersi utili. L’incremento del tempo di vita pone problemi sicuramente non presenti in altre epoche quando il turn over del tempo di permanenza dell’uomo sulla Terra era più breve, anche a causa delle malattie e delle guerre più frequenti. I vecchi venivano sostituiti dai giovani in un arco di tempo relativamente breve, il pericolo del sovraffollamento e dell’eccessivo sfruttamento delle risorse era evitato. Oggi l’allungamento della vita pone una serie di problemi a chi deve organizzare sistemi sociali efficienti al fine di rendere il periodo di vita residuo accettabile sotto il profilo economico e soprattutto gratificante sul piano individuale. Il tempo libero, o liberato dagli impegni lavorativi di routine, rischia di diventare tempo vuoto e quindi un acceleratore dei processi di invecchiamento. Esso può diventare fonte di solitudine dovuta all’abbandono dell’attività e quindi dei rapporti sociali che inevitabilmente si perdono; quindi non tempo di vita partecipata, ma tempo libero dal lavoro e con esso, di compagnia, di relazioni sociali, di affetti. Ancora. Lo stesso concetto di “tempo libero” assume valenze diverse a seconda delle possibilità economiche e culturali dei soggetti che dovrebbero usufruirne . Allora, paradossalmente, il tempo libero può divenire una condanna, invece che giusta ricompensa per chi ha lavorato per buona parte della propria vita, o il tempo della noia , in attesa del momento di abbandonare questa valle di lacrime. Quindi un contenitore da riempire. Con che cosa dovranno essere gli anziani a stabilirlo a seconda delle loro sensibilità, della loro cultura, delle loro preferenze, degli interessi che possono sorgere o derivare da antiche passioni. Sembra evidente la necessità di un piano “pedagogico” che, alla luce di quanto sin qui esposto, si proponga di educare la società in generale alla valorizzazione delle risorse umane nelle loro varie forme, ed età, e l’anziano, in particolare, a prendere coscienza dei propri limiti ma soprattutto dei punti di forza sui quali far leva per poter condurre l’ultimo segmento della propria esistenza in maniera gratificante per sé e utile per gli altri. Non mancano iniziative pubbliche: Università della Terza Età presenti nei capoluoghi; “Nonni a scuola”, anziani che vigilano contro lo spaccio di droghe ai minori, Aging; Volontariato “Anziano per Anziano”, manutenzione dei giardini di scuole e musei sono occasioni per l’impiego di parte del tempo libero in attività varie, che consentono risparmi anche notevoli per la finanza pubblica. Numerosi comuni, soprattutto delle grandi città del Nord, attuano una serie di iniziative a favore dell’impiego degli anziani, tra le quali la concessione di piccoli lotti di terra, del demanio, non altrimenti utilizzabili. Si tratta di orti urbani, la cui assegnazione mira, in alcuni casi, all’ uso didattico e culturale: un laboratorio all’aperto per le scuole. Tutto ciò in stretta relazione tra attività di sostegno al voler fare degli anziani e allo sviluppo delle conoscenze, anche in campo botanico , delle giovani generazioni. In altri casi a favore dei cittadini allo scopo di sollecitare l’impiego del tempo libero in attività produttive in stretto legame con l’ambiente, i concittadini, la famiglia, quasi punto di riferimento di amicizia, solidarietà e , soprattutto, scambio di esperienze. Queste esperienze sono state ritenute interessanti da coloro che si occupano di fenomeni sociali e di pianificazione del territorio. In uno studio recente l’Università degli Studi “Roma Uno” ha effettuato una ricognizione del complesso uso del territorio, spontaneo, non organizzato, di Roma e dintorni: gli orti urbani. Lo studio aveva lo scopo dell’analisi in dettaglio sia della diffusione che delle tipologie di conduzione, così da confrontarle con le altre realtà italiane ed europee, dalle quali i problemi di pianificazione e di gestione sono stati affrontati e, sebbene in modo diverso, risolti.

S O M M A R I O

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Europa: anziani in cifre

"Tous les hommes sont mortels: ils y pensent. En grand nombre d'entre eux deviennent des vieillards: presque aucun n'envisage en avance cet avatar. " "Tutti gli uomini sono mortali: ci pensano. Molti tra loro diventano vecchi: quasi nessuno considera in anticipo questa metamorfosi " Simone de Beauvoir scriveva queste parole intorno agli anni '70. Da allora è cambiato poco o niente. I vecchi sono sempre impreparati, indifesi e soli davanti a tutte le perdite che il trascorrere del tempo porta con sé. Il più delle volte il lavoro, sicuramente parte delle forse fisiche, brani di memoria, affetti, considerazione sociale, autostima, propositività. Una miscela esplosiva di perdite personali e carenze pubbliche che fa, degli anziani, una speciale bomba sociale. Bomba in via d'esplosione, sembrerebbe.

Gli anziani sono sempre più numerosi

Popolazione di età compresa tra i 65 e i 79 anni in alcuni paesi comunitari (quota su popolazione totale)

                        1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1996
Germania 9,9 10,7 11,6 12,6 13,1 11,3 11,2 11,5
Regno Unito 9,8 10,1 10,8 11,6 12,3 11,9 12,0 11,7
Francia 9.6 9,9 10,5 11,0 11,3 9,5 10,2 11,2
ITALIA 7,9 8,3 9,0 10,0 11,0 10,4 11,6 12,7
Spagna 7,0 7,5 8,0 8,6 9,1 9,6 10,6 12,1
Danimarca 8,9 9,5 10,2 10,9 11,6 11,8 11,9 11,3
Finlandia 6,3 7,0 7,9 9,2 10,2 10,2 10,5 11,1
Svezia 9,8 10,5 11,3 12,3 13,1 13,4 13,6 12,8
Europa dei 15 9,0 9,4 10,2 10,9 11,5 10,7 11,1 11,7

Aumenta la percentuale degli ultraottantenni
Popolazione ultra ottantenne in alcuni paesi comunitari (quota su popolazione totale)

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1996
Germania 1,6 1,7 1,9 2,2 2,6 3,2 3,7 4,0
Regno Unito 1,9 2,0 2,3 2,4 2,7 3,1 3,6 4,0
Francia 2,0 2,1 2,3 2,4 2,8 3,2 3,7 4,1
ITALIA 1,3 1,6 1,8 1,9 2,1 2,5 3,1 4,1
Spagna 1,2 1,3 1,5 1,6 1,7 2,3 2,8 3,4
Danimarca 1,6 1,8 2,0 2,4 2,8 3,2 3,7 -
Finlandia 0,9 1,0 1,1 1,3 1,7 2,2 2,8 3,2
Svezia 1,8 2,0 2,3 2,7 3,1 3,6 4,2 4,7
U.E. 1,6 1,7 2,0 2,1 2,4 2,9 3,4 3,8

E’ in caduta libera la percentuale della popolazione di età 0/14 anni
Popolazione fino ai 14 anni in alcuni paesi comunitari (quota su pop. totale)

1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1996
Germania 21,0 22,8 23,3 21,8 18,8 16,2 16,0 16,2
Regno Unito 23,3 23,4 24,1 23,4 21,0 19,3 18,9> 19,4
Francia 26,2 25,7 24,9 24,1 22,5 21,4 20,1 19,4
ITALIA 24,7 24,3 24,6 24,3 22,6 19,6 16,8 14,9
Spagna 27,4 27,4 27,7 27,3 26,0 23,5 20,2 16,4
Danimarca 25,5 23,8 23,4 22,7 21,1 18,6 17,1 17,5
Finlandia 30,7 27,4 24,9 22,2 20,5 19,4 19,3 19,0
Svezia 22,7 21,0 20,9 20,7 19,8 18,2 17,8 18,8
Europa dei 15 24,4 24,6 24,7 23,8 21,8 19,7 18,3 17,4

L'Italia è stato il primo Paese al mondo in cui il peso percentuale degli anziani è arrivato ad essere maggiore di quello dei giovani sotto i 15 anni: 17,3% contro il 14,5%. Nei prossimi 10 anni i giovani tra i 15 e i 34 anni diminuiranno di circa 5 milioni, mentre gli anziani aumenteranno di 1,5 milioni. L' invecchiamento della popolazione continuerà, ed avrà il suo picco nel 2030, anno in cui avremo 15 milioni di anziani ultrasessantacinquenni, il 28% della popolazione. Un dato di fatto - non una condanna - almeno - così non dovrebbe essere. La presenza di un numero senza precedenti di persone anziane nella nostra popolazione sta producendo e produrrà comunque cambiamenti di sempre più grande portata nei rapporti e negli equilibri tra le generazioni. E’ evidente che il disagio è forte e investe sia il piano sociale che quello economico: gli anziani non solo sono sempre più numerosi, ma sempre più dipendenti. Da una indagine su un campione di 4.300 anziani si ha un'idea delle carenze economiche dai redditi medi mensili.

Carenze economiche: redditi medi mensili (quota su 4.300 anziani) scaglioni di reddito in euro risposte
fino a 516,00 11 % da 516,00 a 775,00 18 %
da 775,00 a 1.033,00 15 %
da 1.033,00 a 1.291,00 10 %
da 1.291,00 a 1.549,00 7 %
da 1.549,00 a 1.807,00 3 %
da 1.807,00 a 2.065,00 3 %
da 2.065,00 a 2.324,00 1 %
da 2.324,00 a 2.582,00 1 %
da 2.582,00 a 3.098,00 2 %

"(…) Les vieillards qui ne constituent aucune force économique n'ont pas les moyens de faire valoir leur droits: l'intérêt des exploiteurs, c'est de briser la solidarité entre les travailleurs et les improductifs de manière que ceux-ci ne soient défendus par personne." "(…)I vecchi che non costituiscono alcuna forza economica non hanno i mezzi per far valere i loro diritti: il tornaconto degli sfruttatori sta nell' infrangere la solidarietà tra lavoratori e "improduttivi", in modo che nessuno difenda questi ultimi". Le società dei paesi economicamente più avanzati si interrogano sulla necessità delle tutele, sulle pensioni, sui vecchi poveri, sui vecchi soli, ma anche sui vecchi benestanti e soli, sui vecchi che vivono soli dentro alla propria famiglia.

Composizione delle famiglie per numero componenti il nucleo
COMPOSIZIONE PERCENTUALE
Monocomponente 33,0 38,2 19,4
Coppia 32,7 29,2 24,3
Tre componenti 14,7 15,9 22,6
Quattro componenti 13,1 11,2 23,8
Cinque componenti 4,9 4,2 7,0
Più di cinque componenti 1,6 1,3 2.9
Totale 100,0 100,0 100,0 Regno Unito Germania Italia

Comunque sia sembrano inchiodati alla vecchiaia, alla mancanza di potere, alle difficoltà della comunicazione. Eppure si tratta di persone che hanno partecipato alla ricostruzione post bellica, che da giovani hanno lottato per conquistare spazi di libertà in tutti i campi, che hanno allevato i figli, che ancora hanno molto da dare… ma che le società, e loro stessi , tendono ad emarginare, a negare, a legare a stereotipi di comodo. "Les mythes et les clichés mis en circulation par la pensée bourgeoise s'attachent à montrer dans le vieillard un "autre". ( …)Si les vieillards manifestent les mêmes désirs, les mêmes sentiments, les mêmes revendications que les jeunes, ils scandalisent. ( …) Ils doivent donner l'exemple de toutes vertus. Avant tout on réclame d'eux la sérénité: on affirme qu'ils la possèdent, ce qui autorise à se désintéresser de leur malheur. L'image sublimée qu'on leur propose d'eux mêmes, c'est celle du Sage auréolé de chevaux blancs, riche d'expérience et vénérable, qui domine de très haut la condition humaine; s'ils s'en écartent, alors ils tombent en dessous: l'image qui s'oppose à la première, c'est celle du vieux fou qui redoute et extravague et dont les enfants se moquent. De toute façon, par leur vertu ou par leur abjection ils se situent hors de l'humanité" . "I miti e i luoghi comuni messi in circolazione dal pensiero borghese si sforzano di mostrare nel vecchio un "altro". (…) Se i vecchi manifestano gli stessi desideri, gli stessi sentimenti, le stesse rivendicazioni dei giovani, provocano scandalo. I vecchi devono dare l'esempio di ogni virtù. Prima di tutto da loro si esige la serenità: si asserisce che la possiedono, cosa che autorizza a disinteressarsi della loro infelicità. L'immagine sublimata che viene loro proposta di sé stessi, è quella del Saggio aureolato di capelli bianchi, ricco d'esperienza e venerabile, che domina dall'alto la condizione umana; se se ne discostano, allora cadono in basso: l'immagine opposta alla prima è quella del vecchio pazzo, che farnetica e vaneggia e del quale i bambini si burlano. In ogni modo, o per la loro virtù o per la loro abiezione, i vecchi si collocano fuori dall'umanità." Certamente non possono essere accettate in toto le affermazioni della de Beauvoir; è evidente che sono legate a un determinato periodo, a un clima politico-sociale ricco di fermenti. Possono essere accolte come provocazione, come motivo di riflessione sulla situazione della terza età, per pervenire alla proposta di utilizzazione di parte del tempo libero, derivante dal termine del tempo del lavoro istituzionalmente inteso, in attività di vario genere tra le quali assistenza agli altri anziani, vigilanza – assistenza agli scolari, consulenze di vario tipo (il mettere a disposizione degli altri le proprie conoscenze può essere gratificante per chi dà e per chi riceve) e, perché no?, nella cura di un orto vicino la propria abitazione con le implicazioni che ciò comporta sul piano della socializzazione e, soprattutto, nell’ avvicinare le generazioni attorno ad un interesse condiviso.

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La vecchiaia nella storia dell’uomo

La vecchiaia ha attraversato la storia con alterne e opposte fortune. A volte rifiutata e derisa, a volte venerata, il genere umano ha avuto da sempre un duplice atteggiamento nei confronti di questo periodo dell’esistenza che fa parte dell’uomo e della sua fragilità.

Nel mondo antico la vecchiaia era un avvenimento eccezionale . La vita media non superava i trent’anni e pochi erano quelli che riuscivano a raggiungere una età avanzata (o considerata tale secondo gli standard della comunità di appartenenza). In esse il destino dei vecchi poteva essere molto diverso. In Europa è ben noto il differente atteggiamento nei confronti della vecchiaia nelle due città più rappresentative dell’antica Grecia, Atene e Sparta . Prima di ogni considerazione sembra appena il caso di ricordare che il numero dei vecchi era certamente esiguo a quei tempi (per cui essi rappresentavano solo relativamente un problema sociale) e che, ovviamente (come del resto accade ancor oggi), diversa era la vecchiaia delle persone ricche ed istruite rispetto a quella dei poveri e degli incolti. Ciò premesso, per quanto riguarda Atene, Aristotele, nella sua concezione politica, esclude gli anziani dal governo della polis, affidando il potere politico ai militari di età media (quindi giovani) e ricchi (perché i poveri sono più facilmente corruttibili). Nell’Atene di Pericle viene stabilita una assistenza pubblica per gli orfani, per i mutilati di guerra, per gli invalidi sul lavoro, per i poveri, ma i vecchi non ricevono alcun genere di aiuto o, almeno, non vengono menzionati. La civiltà estetizzante di Atene ritiene inaccettabile un fenomeno di decadenza, quale la vecchiaia, e tende a cancellarla dalla memoria collettiva. A Sparta, invece, il vecchio è un sopravvissuto a molte battaglie, e, se ha esercitato la virtù, è colui che è saggio: avrà onori ed incarichi pubblici e, ubbidendo alle leggi di Licurgo, sarà chiamato a giudicare. La "gerousia" era il potere più alto e rivestiva un ruolo di grande importanza: quello di presentare le proposte di legge, di controllare l’educazione della collettività, di giudicare i delitti contro la famiglia o i tradimenti contro lo Stato, imporre multe, condannare all’esilio o a morte. Il modello spartano applicava il sistema comunitario, finalizzando le energie individuali alla formazione di uno stato che supera la dimensione privata in vista della vita collettiva. Alcune maschere in terracotta, provenienti dal santuario di Artemis Orthia a Sparta, raffigurano, con straordinario realismo, facce rugose di vecchi. Esse però non ridicolizzano i personaggi. Lo scopo quindi non era satirico, né blandamente umoristico, ma probabilmente solo cultuale. A Sparta i vecchi sono trattati con molto rispetto: solo ad essi viene concesso l’uso della torcia di notte e ad essi bisogna cedere il posto nei teatri e nelle assemblee. Nell’antica Roma (I sec. a.C.), i vecchi poveri e inutili erano invitati (o costretti ?) a gettarsi nel Tevere. Delle epoche successive ci rimangono testimonianze riguardanti vecchi ricchi e potenti. La res pubblica romana era gestita da una oligarchia conservatrice, i cui senatori, ricchi proprietari terrieri, erano anziani. Nelle famiglie il pater aveva potere assoluto. Vivo era il culto degli antenati, le cui maschere di cera venivano conservate religiosamente in un armadietto della casa. I giovani mal tolleravano questa situazione familiare di dipendenza, dovevano mordere il freno, a causa di leggi molto severe, che punivano chi avesse maltrattato i vecchi genitori. Ciò spiega il successo di quelle commedie plautine, in cui il vecchio viene sbeffeggiato e deriso, unico modo, probabilmente, per esplicitare il malcontento dei giovani, repressi dalla autorità e dalla avarizia paterna. A partire dall’età dei Gracchi, tuttavia, i privilegi dei vecchi senatori diminuiscono per poi cessare con l’avvento dell’impero. Anche il potere del pater familias vacilla. In questo contesto si inserisce il De senectute di Cicerone , una sorta di difesa d’ufficio della categoria, in cui la figura del vecchio saggio e moderato si pone come custode della tradizione e della sacralità dello stato, che può essere invece minacciato dalla irruenza giovanile. Tale apologia della vecchiaia si colloca in un ambito fortemente ideologizzato ed è strumentale alla difesa della classe senatoriale conservatrice. L’analisi della condizione senile nelle varie epoche storiche, in Italia e in Europa nel primo millennio e nel Medioevo, documenta, con esasperante monotonia, la profonda divaricazione tra la vecchiaia di ricchi e poveri, colti e incolti, potenti e umili. Il benessere economico, la stabilità politica, la presenza di un forte stato di diritto rappresentano da sempre le garanzie migliori per una vecchiaia rispettata e protetta. Così avviene, per esempio, nelle nostre Repubbliche marinare . La ricchezza acquisita attraverso i commerci favorisce lo sviluppo della classe borghese. La proprietà si fonda sui contratti e non sulla forza fisica. Le leggi la garantiscono. Nella Serenissima Repubblica di Venezia il doge, subito dopo l’anno mille, viene eletto non dal popolo ma dalla nobiltà che detiene l’effettivo potere decisionale. Abitualmente viene scelto tra i più anziani, come, per esempio, alla fine del XII secolo il doge Dandolo che, ad ottantaquattro anni, cieco, si coprì di gloria, guidando le operazioni militari contro Costantinopoli. A novantasei anni rifiutò il trono dell’Impero d’Oriente e morì doge all’età di novantasette anni. Anche nella storia della Chiesa, l’età di elezione dei papi appare condizionata da circostanze esteriori: a periodi nei quali il potere è detenuto per lo più da papi giovani, se ne alternano altri in cui essi sono generalmente vecchi. Così , dopo il Concilio di Trento , la Chiesa si stabilizza, l’ influenza della Santa Sede si estende agli ordini religiosi, la Controriforma dota i papi di grande prestigio e pretende austerità di costumi. Si ritiene che un papa anziano dia maggiore affidamento di un papa giovane, le cui iniziative potrebbero essere destabilizzanti: non a caso, dopo il Concilio, su dieci pontefici, due furono eletti a cinquantacinque anni, tre a sessantaquattro, quattro a settanta e uno a settantasette anni, età che, considerato il periodo, erano tutte più o meno avanzate. Nel Seicento sono i giovani a detenere il potere. Tra i sovrani l’unica eccezione è rappresentata da Luigi XIV, il quale, anziano, manovrato a sua volta dalla vecchia Madame de Maintenon, prende parte attiva nel governo dello Stato. Gli adulti reggono la società con metodi autoritari. L’età media della vita è ancora molto bassa. Le contadine di trent’anni, sfinite dalla fatica e dalle gravidanze, apparivano come vecchie rugose e malandate. Persino i re, i nobili ed i borghesi non superavano, in genere, i cinquanta anni. La memoria, l’esperienza e soprattutto il censo potevano conferire qualche valore alle persone anziane; tra i contadini e gli artigiani persisteva qualche forma di rispetto familiare. Ma la vecchiaia in se stessa non ispirava alcuna considerazione e i vecchi poveri e inutili venivano di frequente abbandonati. In Inghilterra, devastata da una spaventosa miseria, si afferma, nella prima metà del Seicento, la classe dei puritani (piccoli proprietari, artigiani e soprattutto commercianti). L’ideologia trionfante era quella del lavoro. I poveri erano accusati di imprevidenza e di pigrizia, i vecchi erano considerati inutili, anche se il problema degli emarginati cominciava ad assumere rilevanza sociale: risalgono all’epoca i primi ospedali ed ospizi di mendicità. La religione comincia a predicare il rispetto della povertà e sollecita i ricchi a fare l’elemosina. Nel Settecento si sviluppano maggiormente le industrie ed il commercio; il miglioramento delle condizioni alimentari ed igieniche favorisce un allungamento della vita. Ma di esso beneficiano solo le classi privilegiate; i vecchi soli ed abbandonati dalla famiglia, secondo un copione già noto, trovano sostegno esclusivamente nella Chiesa ed in alcune organizzazioni di carità. L’Ottocento vede in Europa una straordinaria spinta demografica: la popolazione europea, che nel 1800 contava 187 milioni di persone, passa a 266 milioni nel 1850 ed a 300 milioni nel 1870. Il numero dei vecchi aumenta. Per molti di essi le condizioni di vita diventano estremamente sfavorevoli e in stretto rapporto con la rivoluzione industriale e il conseguente spopolamento delle campagne. I giovani trovano occupazione nelle città, i vecchi sopravvivono finché hanno la forza di coltivare la terra, ma, quando diventano inabili, il loro destino è segnato: vengono abbandonati negli ospizi e non infrequentemente soppressi. Scrive Simone de Beauvoir : " E’ impossibile sapere quale sia il secolo in cui le uccisioni, per violenza o maltrattamenti, dei vecchi genitori siano state proporzionalmente più numerose. La maggior parte sono rimaste sepolte nel silenzio delle campagne; ma, evidentemente, nell’Ottocento debbono essere state frequenti, se l’opinione pubblica venne a conoscerle e se ne inquietò" . Ed ancora : " Nell’Ottocento il contrasto tra la sorte dei vecchi sfruttati e quella dei vecchi privilegiati è più clamoroso che in qualunque altra epoca. Ex-operai ridotti all’indigenza ed al vagabondaggio, vecchi contadini trattati come bestie. I vecchi poveri si situano sul gradino più basso della scala sociale, mentre i vecchi delle classi superiori ne sono in cima" . Si afferma una nuova classe dirigente, costituita dalla grande borghesia (industriali, commercianti, proprietari terrieri, banchieri, funzionari, professionisti). In questa classe sono i vecchi, purché validi, a detenere il potere. Anche quando quest’ultimo passa nelle mani dei giovani, appare utile ripararsi dietro la figura rassicurante di un uomo d’età: egli rappresenta formalmente il prestigio della famiglia. Nel Novecento , a seguito dell’ urbanizzazione della società, si avvertono i primi segni di disgregamento della famiglia patriarcale. La transizione da una struttura e una cultura di tipo rurale-artigianale a un sistema urbano-industriale mette in crisi il tradizionale asse della famiglia, i vecchi schemi parentali entro i quali l’anziano si muoveva, e le espressioni di tipo corale, obbedienti al tipo di comunità chiusa e autosufficiente del passato. Il vecchio appare fuori gioco. Tra l’altro, lo sviluppo tecnologico e il flusso delle nuove conoscenze in perenne rinnovamento tolgono valore all’esperienza accumulata negli anni del lavoro. Le rivoluzioni ideologiche, la nascita del proletariato, l’aumento del numero dei vecchi, l’opportunità di mantenere l’ordine sociale, assicurando livelli di sopravvivenza per tutti i cittadini, portano alla definizione dell’istituto del pensionamento e quindi, per la prima volta nella storia, alla istituzionalizzazione della vecchiaia. L’aspettativa di vita, in questa prima parte del secolo, è ancora relativamente bassa, sicché il numero dei pensionati non è di tale entità da creare problemi agli istituti previdenziali, a fronte di un gettito contributivo consistente da parte delle generazioni attive. Subito dopo la seconda guerra mondiale , l’estensione del benessere a strati sempre più ampi della popolazione, la scomparsa del lavoro usurante, l'alimentazione più variata e abbondante e i progressi della medicina curativa e preventiva elevano sempre più la durata della vita, attuando la più grande trasformazione demografica che la società umana abbia mai conosciuto. Questo fenomeno non ha ancora subito rallentamenti: la durata media della vita, nei paesi sviluppati, si aggira attualmente sui settantacinque anni e raggiungerà gli ottanta nel prossimo decennio. L’Italia, in questa particolare classifica, è seconda soltanto al Giappone e alla Svezia. Le proiezioni indicano che, nel prossimo ventennio, si osserverà un considerevole aumento dei cittadini anziani, in particolare degli ultraottantenni . Gli antropologi ci hanno fornito testimonianze su molte popolazioni vissute agli antipodi della terra: gli Zanda del Sudan, i Lele del Congo, i Tiv della Nigeria, i Kikuyu del Kenia, i Miao della Thailandia, i Mende della Sierra Leone, i Lepcha dell’Himalaya, i Thai della Birmania, i Cuna dell’America Latina, ed altre ancora. Le usanze di questi popoli, riportate da Simone de Beauvoir nel suo saggio "La terza Età", sono sovrapponibili a quelle in precedenza descritte. In conclusione. Sembra evidente che la condizione dell’anziano dipende soprattutto dal contesto sociale: è il sistema dei valori che definisce il significato della vecchiaia e svela, senza equivoci, la vera essenza dei principi e dei fini di ciascuna società.

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Tempo libero e solitudine

È un dato positivo, senza dubbio, che le conquiste scientifiche, sociali ed economiche dell'ultimo secolo abbiano modificato radicalmente anche le abitudini dell'uomo, consentendogli, sin dalla giovane età, di ridurre il tempo destinato all'attività produttiva a vantaggio del cosiddetto tempo libero e delle varie iniziative volte a fame un uso adeguato. Si osserva, a questo proposito, che la nostra cultura di paese occidentale si fonda in prevalenza, ancora, su valori legati alla produzione e al lavoro e che la stessa esistenza dell'individuo è valutata eccessivamente in termini di capacità produttiva.

Da questo punto di vista può accadere facilmente che le ore conquistate in favore del "tempo libero" grazie al miglioramento della organizzazione sociale, finiscano con il costituire, paradossalmente, un problema per lavoratori e pensionati, quando non siano stati preparati ad una proficua utilizzazione dello stesso. In campo pedagogico costituisce un fenomeno rivelatore di tale realtà il cosiddetto "tempo liberato" delle persone anziane, nella particolare accezione di tempo liberato dal lavoro come condizione imposta e necessaria, che rischia, tuttavia, di diventare spesso un tempo di "forzata inattività" per la perdita, da parte dell’anziano, del suo ruolo produttivo e per l'incapacità di vivere la propria età libera in maniera utile e creativa . Il tempo libero, quindi, concepito come tempo liberato dal lavoro, può risultare tempo vuoto in grado di favorire nella terza età un processo graduale di isolamento e di solitudine. Si potrebbe rilevare, a chiusura di tale argomentazione, che non sarebbe tanto da temere l’assenza del lavoro, quanto la mancanza di una qualsivoglia attività, essendo questa - e non il lavoro - uno dei bisogni fondamentali dell'uomo. La persona anziana, infatti, che si mantiene attiva ed operosa può trovare nuovi incentivi e ruoli interessanti anche nell'età post-lavorativa, appagando così il proprio desiderio di vita utilizzando sempre strategie inedite per adattarsi ai repentini mutamenti sociali ed esistenziali della nostra epoca . Dalle brevi considerazioni che sono state preposte al tema centrale di questa riflessione risulta piuttosto evidente che il tempo libero degli anziani è, nella maggioranza dei casi, una parola neutra che può indicare, a seconda dell'uso che si riesce a farne, una circostanza di emarginazione, di confinamento, cioè, ai margini della società, oppure un'opportunità favorevole di recupero e di sviluppo antropologico. In questa seconda ipotesi la disponibilità di tempo libero può diventare una occasione propizia, una via per un nuovo approccio educativo, essendo l'anziano privo di punti di riferimento istituzionali ed incluso in una condizione, quella senile, contrassegnata spesso dall'inattività e dalla solitudine che sollecitano la riflessione pedagogica circa possibili interventi attivanti e occupazionali. Infatti ci si riferisce, nel caso dell'anziano, al tempo libero di ogni ora e di ogni giorno, al tempo libero quotidiano e permanente, che non può confondersi, ovviamente, con l'altro tempo libero, quello di chi lavora o studia, occasionale o ricorrente, meglio definito come tempo di vacanza. Inattività e solitudine, pertanto, possono considerarsi la frequente conseguenza del tempo libero permanente, quello di ogni giorno, che molto spesso non è tempo di vita partecipata, ma tempo libero in quanto liberato dal lavoro e, con esso, da compagnie, relazioni sociali, affetti. La cosiddetta "età libera" è ancora il patrimonio di pochi predestinati, mentre per i più è tempo vuoto, è la stagione del nulla, è solitudine, esclusione da ogni partecipazione collettiva, annullamento dell'individualità. La vita personale dell’anziano è troppo spesso ridotta a poche, minime attività prive di contenuto sociale, la cui validità non è ratificata, per di più, dalla fascia più ampia dei giovani e degli adulti socialmente attivi. E allora questo dono del tempo libero che la società regala all'anziano fuori ruolo, questa età del riposo assoluto o, come si usa dire, della meritata quiescenza, sembra non essere altro, paradossalmente, che una sorta di pietosa ipocrisia, liberatrice forse dal senso di colpa di cui la coscienza collettiva soffre per l'espulsione coatta dell'individuo dal campo del lavoro e, quindi, dalla vita attiva. Il tempo libero offerto al vecchio, come è stato detto, è un tempo di forzata inattività nella grande maggioranza dei casi, ragione frequente di emarginazione sociale e di solitudine. Un connotato comune della condizione senile è, infatti, proprio la solitudine che, fatalmente, consegue a tutta una serie di eventi che vanno dalla vedovanza alla cessazione dell'attività lavorativa, dalla perdita progressiva dell'autonomia alla lontananza dei figli, che, è evidente, può essere geografica o anche semplicemente affettiva. La solitudine dell’anziano non si identifica, comunque, con la condizione o lo stato di chi vive da solo o appartato. Per tale situazione sembra sensato preferire il termine isolamento che indica meglio la condizione di chi, spontaneamente o costretto da cause esterne, vive isolato, appartato dagli altri, ma non è necessariamente privo di affetti o amicizie, di appoggi, di persone che l'aiutino o l'assistano. Quando il resto della vita si compie in isolamento, tanto per fare un esempio, per scelta personale e volontaria, come nel caso dell'anacoreta, non si può certo parlare di solitudine nel senso negativo che si attribuisce a questo termine in questo contesto. Allo stesso modo non sembra appropriato usare tale espressione nel caso non frequente di persone anziane che vivano da sole per loro elezione, ma conservando volontà e capacità di mantenere vivi i loro rapporti interpersonali ed il calore degli affetti. Solitudine è, soprattutto, sentirsi soli e inutili; questo può accadere a chi vive isolato ed appartato, non per scelta propria, ma per condizione imposta dagli organismi sociali, economici e culturali del proprio complesso antropologico. In questo senso è evidente che possono soffrire di solitudine, sentirsi soli, anche i vecchi che, pur vivendo in famiglia o in qualche comunità di tipo assistenziale, sono comunque ricusati dall'ambiente o non più approvati dalla collettività. Non stupisce che tale situazione possa verificarsi anche in famiglia e non soltanto, come sembrerebbe più prevedibile, negli ospizi, nelle case di riposo o nelle varie strutture protette. La solitudine, infatti, non risparmia nemmeno gli anziani che, pur inseriti in nuclei familiari numerosi, sperimentano paradossalmente l'isolamento affettivo e l'emarginazione quando la convivenza con i congiunti crea problemi e frustrazioni reciproche. Dalla parte dell’anziano, come del bambino, c'è, infatti, un bisogno continuo e pressante di affetto ed una costante esigenza di comunicazione che non trovano sempre corrispondenza nei membri giovani e adulti della famiglia. Nella maggioranza dei casi figli e nipoti non sono in grado di dare una risposta ad alcuni bisogni esistenziali del loro congiunto che può finire per sentirsi un estraneo e quasi un intruso nel contesto affettivo familiare. Comunque è evidente che la risposta ai problemi dell'anziano non può risiedere soltanto nell'organismo familiare che, nella società odierna, non ha più le caratteristiche né i presupposti perché il vecchio possa ancora estrinsecarvi pienamente la sua personalità e soddisfare in esso le proprie esigenze di vita, di relazioni interpersonali, di partecipazione. Di qui la necessità, e l’urgenza, di educare la società in generale, oltre che l'individuo e la famiglia, allo scopo di favorire la caduta di quei pregiudizi che sempre più relegano l'anziano nel limbo dell' incomprensione e della solitudine, ma, soprattutto, il riconoscimento e la valorizzazione, anche in termini economici , della ricchezza di esperienze e di abilità di cui egli è portatore. Si potrebbe obiettare, a questo proposito, che il senso di solitudine, questo sentirsi solo e abbandonato, non ha età in quanto è anche nella natura del giovane e dell'adulto che in alcune circostanze, per certe difficoltà connesse alla evoluzione della loro personalità, sperimentano situazioni di angoscia e di abbandono non dissimili da quelle del vecchio. È risaputo, del resto, che sentirsi solo, respinto e abbandonato può configurarsi come una delle angosce più opprimenti che possano colpire un essere umano, giovane o vecchio che sia. La solitudine del giovane, comunque, quando non sia di segno psicopatologico, è spesso una condizione esistenziale transitoria, frutto di un momentaneo smarrimento o di una ribellione impulsiva. L'anziano, invece, per un concorso di cause quali certi pregiudizi, l'ignoranza, l'indifferenza e, talora, anche la protervia degli altri, la vive sempre come una situazione finale, di arrivo, quasi naturale ed obbligatoria. E ciò nonostante è dato spesso di osservare che gli esseri umani, avviati a percorrere l'ultimo tratto del loro arco biologico, fanno tutto quel che possono per essere accettati, per non vivere separati, per non avere la sensazione di essere respinti dagli altri, confinati nell’angoscia della solitudine e dell'abbandono. A questo punto, forse, sarebbe opportuno dare una dimensione alla gravità del fenomeno cercando di stabilire, con sufficiente approssimazione, il numero dei vecchi che vivono in solitudine, specie nell'età più alta che è anche la più ricca di bisogni. Non risulta facile disporre di dati statistici recenti circa la consistenza numerica di tale evenienza e tanto meno è agevole raccogliere informazioni sulle condizioni di vita nella fascia di anziani che vivono soli. Dalle poche indagini che sono state comunque condotte si può desumere che il numero degli anziani soli sia piuttosto rilevante e destinato per di più al continuo incremento per l'inarrestabile processo di inurbamento delle popolazioni rurali e per la nuclearizzazione della famiglia odierna. Se si prende in esame la fascia degli ultra sessantacinquenni possiamo calcolare, sulla base dei dati riportati in letteratura, che circa il 40% non mantiene alcun rapporto con i figli e che la metà di essi vive completamente sola . Sia da noi che all'estero, comunque, la vecchiaia solitaria è un problema massimamente femminile, vuoi perché la spettanza di vita è dappertutto maggiore nella donna e vuoi perché è un fatto di costume un po’ dovunque che l'uomo sposi una donna più giovane. La vedovanza e la solitudine, quindi, si ascrivono più alla donna che sopravvive generalmente al marito più anziano e biologicamente più fragile. Secondo il censimento del 1971 , quindi già trent’anni fa, più della metà delle donne italiane ultrasessantenni viveva in condizione di solitudine in quanto composta da vedove (42%) o nubili (16%). Qualche altra cifra evidenzia una situazione difficile anche nelle zone rurali dove, contrariamente all'opinione comune, il 40% degli anziani, uomini e donne, vive solo e per di più, secondo dati di comune osservazione, in un ambiente meno fornito di servizi sociali e sanitari rispetto alle città . In queste, comunque, la situazione non si presenta meno disagevole per l'individuo anziano che è costretto a condizioni di vita difficili e malsicure per tutta una serie di circostanze tra cui predominano la mancanza di spazi verdi, i ritmi di vita accelerati, il traffico, l'inquinamento e, soprattutto, l'inconsistenza dei rapporti umani che fanno sentire il vecchio più solo ed isolato, per assurdo, proprio quando fa parte di quei grandi formicai umani che sono le megalopoli. In uno studio di qualche anno fa la de Beauvoir, occupandosi di tale argomento, riferiva che in un popoloso quartiere parigino superavano il 30% le persone anziane che avevano interrotto qualsiasi rapporto sociale, non ricevevano mai una lettera, non accettavano visite, non conoscevano più nessuno e, al massimo, "scambiavano tre parole al giorno con la panettiera all'angolo della strada, da cui acquistavano pane, latte e qualche altro genere alimentare per sopravvivere" . La solitudine del vecchio nelle grandi città si è inoltre aggravata, in questi ultimi anni, con l'aumento della violenza e della criminalità, di cui gli anziani sono spesso le vittime indifese, come dimostra un'indagine condotta abbastanza recentemente a Corviale, un popolare sobborgo romano. Tra le altre situazioni di estremo disagio messe in evidenza risulta che gli anziani soli non si fidano più di uscire di casa nemmeno nelle ore del pomeriggio, non vogliono ricevere visite di alcun tipo e non aprono assolutamente la porta a chicchessia, neppure all'assistente sociale, benché ne riconoscano la voce. Il quadro che ne risulta è abbastanza triste ed inquietante se pensiamo che queste persone delle grandi città, soli o a coppie, finiscono con il rinchiudersi nella loro casa dove li attendono lunghe e interminabili giornate di inattività e solitudine. Ma neanche la solitudine a due è migliore, in quanto le coppie, generalmente, si mantengono escluse dalla società in maniera più ermetica dei singoli. Nelle grandi città sono più numerose di quanto normalmente si crede le coppie di vecchi coniugi, segregate fra le mura domestiche, che vagano per la casa nella migliore delle ipotesi indementiti, disperati e depressi nella peggiore. Il progressivo restringersi delle relazioni sociali, infatti, non può essere senza conseguenza sulla salute mentale dell'anziano. Ci sono svariati studi a questo proposito, tra cui uno di Loewenthal del 1945, sul mutare dei valori dopo la grande guerra, e un altro, molto noto e più recente, di Barocci , del 1993, sull'influenza dell'isolamento sociale nei riguardi delle malattie mentali. Questo autore avrebbe dimostrato che la solitudine si trova spesso alla base di molteplici stati di confusione mentale nel soggetto senile e, inoltre, di altre turbe psichiche definite genericamente come "indebolimento mentale". L'abitudine all'isolamento, durante il corso della vita, non porta necessariamente nella vecchiaia a disordini mentali, mentre, com'è noto, l'isolamento che non avviene per scelta, quello subito per motivi socio-economici o per malattia cronica, può agire da fattore scatenante di disturbi psichici. Per esempio, secondo alcuni psicogeriatri, la solitudine e l'inattività che conseguono al pensionamento, agendo sulla base di conflitti esistenziali non risolti nell'età adulta, potrebbero essere causa di ulteriore disadattamento nell'età senile. E’ evidente la necessità che, ai fini dell’igiene mentale dell’anziano, vengano studiati interventi geragogici atti a prevenire isolamento e inattività e, sempre a tale fine, a promuovere le varie attività di tempo libero, sia di tipo relazionale che occupazionale . Anche gli attuali servizi socio-sanitari possono fornire, certamente, un contributo importante in tale funzione preventiva, ma possono servire soprattutto, è evidente, a migliorare i rapporti tra gli anziani e chi istituzionalmente si occupa di loro e, soprattutto, tra anziano e se stesso, tra anziano e giovani al fine di ridurre le aree di conflittualità tra le generazioni che, per forza di cose, tende all’ esclusione o alla sopportazione del vecchio. Il tempo liberato dal lavoro, della quiescenza, del post pensionamento, nelle società più industrializzate, rischia di rivoltarsi proprio contro l’uomo che dovrebbe goderne. In questo senso, al di là degli interventi istituzionali che riguardano la sfera socio-economica, medica, per chi, a vario titolo di occupa di educazione, questo momento dell’esistenza umana suggerisce di studiare questa età da prospettive diverse. Sino a poco tempo fa venivano messi in risalto gli aspetti fisio-psicologici; molto probabilmente l’educazione al vivere questa fase dell’esistenza umana sarà uno dei compiti principali della pedagogia o della geragogia o dell’andragogia che dir si voglia, comunque pedagogia della terza età. Si tratterà di educare i singoli e tutto il complesso antropologico alla accettazione pacifica di questa età, come una delle varie tappe della vita umana e, soprattutto, alla valorizzazione della condizione post lavorativa e senile con i suoi limiti e i suoi vantaggi. Certamente si dovrà ripensare il tempo libero, educare a pensare il proprio tempo libero come ulteriore occasione di vita, di apprendimento e di impegno, come antidoto alla solitudine. Il vivere insieme significa anche trovare interessi comuni, che possono anche non essere esclusivamente “culturali”, nel senso comunemente inteso, e implicare varie attività tra le quali la caccia, la pesca, la micologia, la coltivazione di piccoli appezzamenti di terra o di un giardino. E’ scientificamente provato: coltivare la terra mantiene giovani le persone di una certa età. Alcuni studiosi di geriatria affermano, infatti, che questa attività non solo aiuta le persone anziane a sentirsi attive, ma aumenta anche le loro difese immunitarie, rallenta il declino psicofisico e regolarizza il ciclo veglia-sonno. La gestione e la coltivazione di un orto costituisce un modo per vivere all'aria aperta, fare attività motoria , oltre a essere occasione di aggregazione per il tempo libero e sostegno economico per le famiglie. Del resto molti degli anziani che vivono oggi nelle città possono aver subito quell’inurbamento che li può aver distaccati, più o meno drasticamente, dall’ambiente rurale caratteristico magari della gioventù, creando in loro un certo disorientamento e una forte esigenza di ritrovare un contatto diretto con l’ambiente. A volte basta anche un fazzoletto di terra, per tenere lontano l’anziano da quella solitudine che colpisce spesso in terza età e che, in alcuni casi, può portare alla depressione se non al vero e proprio deterioramento psicofisico. Un'indagine dell'Istat ha scoperto che il oltre il 50% degli anziani ha grande interesse per il giardinaggio . Purtroppo non tutti hanno la possibilità di esercitare questa passione; soprattutto chi abita nei centri cittadini, ha notevoli difficoltà ad acquistare un " pezzetto di terra". Esistono all’interno e nelle periferie delle grandi città, terreni demaniali, ai lati delle ferrovie di proprietà dei comuni e delle province. Di qui l’opportunità di interventi delle amministrazioni comunali e provinciali che ne disciplinino l’uso. Si tratterebbe, in fondo, di attuare una gestione più efficiente del pubblico patrimonio.



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Cenni di storia della medicina della terza età

Sino dai tempi più antichi l'uomo è vissuto nella consapevolezza che si potesse e dovesse "fare qualcosa" per allungare la durata della vita. Omero, Ippocrate e soprattutto Cicerone , dettano o suggeriscono norme igieniche che si propongono di insegnare a raggiungere il traguardo di una vita longeva e in buona salute. L'arte di invecchiare bene dovrebbe diventare l'ambito corredo di ogni uomo, l'equipaggiamento necessario a ciascuno per concludere la vita da "vincitore". E’ l’obiettivo a cui tendere fin dalla prima giovinezza e da non perdere di vista nel corso dell’età adulta e presenile, anche se non può essere trascurata la molteplicità dei fattori di rischio in grado di intervenire nel processo d'invecchiamento, come agenti acceleranti e di spinta, che con la loro variabilità rendono la senescenza un fenomeno estremamente individuale ed eterogeneo.

Il primo accenno a una medicina della vecchiaia si trova nella testimonianza dello scriba egiziano Ptah-Hotep , risalente al 2500 a.C. e contenuta nel Papiro di Smith. Esso contiene una impietosa descrizione dell’età senile: "Come è penosa la fine del vecchio! S’indebolisce un po’ per giorno: gli si abbassa la vista; gli orecchi diventano sordi; la forza declina; il cuore non ha più riposo; la bocca diventa silenziosa. Le facoltà intellettuali diminuiscono e gli diventa impossibile ricordare oggi ciò che è accaduto ieri. Tutte le sue ossa dolgono. Le occupazioni a cui si dedicava prima con piacere diventano faticose, e quel che avevano di piacevole sparisce. La vecchiaia è il peggior malanno che possa affliggere un uomo". Nel papiro di Ebers , Imhotep, predecessore spirituale di Ippocrate, dedica un lungo paragrafo ai problemi dell’invecchiamento e, tra le patologie senili, sottolinea la tortuosità e la calcificazione delle arterie, nonché la tendenza allo sfiancamento del cuore. Ippocrate , vissuto ottantatre anni, dal 460 al 377 a.C., fu il primo a paragonare le tappe della vita umana alle quattro stagioni dell’anno: la vecchiaia era naturalmente l’inverno. Egli fece propria la teoria pitagorica dei quattro umori: sangue, flemma, bile gialla e atrabile. Nel libro degli Aforismi raccolse molte osservazioni sulle malattie dei vecchi: "Hanno bisogno di meno nutrimento dei giovani. Soffrono di difficoltà respiratorie, di catarri che provocano accessi di tosse, di disuria, di dolori alle articolazioni, di malattie dei reni, di vertigini, di apoplessia, di cachessia, di prurito diffuso, di torpori. La vista e l’udito si abbassano." Aristotele, vissuto dal 384 al 322 a.C., nel trattato Della giovinezza e della vecchiaia, della vita, della morte e della respirazione, basato più sulla speculazione che su osservazioni scientifiche, affermava : " Il corpo invecchia perché diventa secco e perché si riduce l’innato calore, come una fiamma che piano piano si estingue". Passando dalla medicina greca a quella romana, osservazioni sulla vecchiaia sono contenute nel trattato De medicina di Celso , vissuto nel I secolo d.C. Tra queste sono interessanti quelle relative alla prognosi delle malattie, che hanno un decorso più sfavorevole nell’anziano. A proposito dell’ictus, Celso annota "(…) qualunque arto risulti paralizzato, il recupero è tanto minore quanto più anziano è il paziente e quanto più tempo è trascorso". Areteo di Cappadocia (II secolo d.C.), nel suo Le cause ed i sintomi delle malattie ampliò queste osservazioni. Descrisse le manifestazioni del tetano nell’anziano, della polmonite con pleurite, dello scompenso cardiaco. Si soffermò sulla apoplessia, intravedendo il principio dell’incrociamento delle vie nervose motorie, in virtù del quale alla lesione di un emisfero cerebrale consegue la paralisi degli arti del lato opposto. Nel Canone annotava : "I vecchi hanno bisogno di dormire a lungo, di stimolare le facoltà sensitive profumandosi, di praticare l’esercizio fisico e di camminare molto, di mangiare poco e spesso, evitando cibi scarsamente digeribili ed irritanti, quali i piatti conditi con molto sale, aceto, erbe aromatiche e spezie(… )Poiché gli anziani soffrono di costipazione, l’intestino va mantenuto pulito, ma non usando forti clisteri, bensì delicati rimedi oleosi(…)" Non c’è dubbio che i suoi precetti, oggi nel Duemila, sono ancora perfettamente condivisibili. Galeno , vissuto dal 131 al 201 d.C., è considerato il più grande medico dell’antichità. I suoi precetti furono seguiti in tutti i secoli a venire, fino al 1700. Egli considera la vecchiaia come qualcosa di mezzo tra la malattia e la salute. Seguendo in parte le teorie di Ippocrate e quelle di Aristotele egli afferma che il corpo del vecchio deve essere riscaldato ed umettato : consiglia bagni caldi, bere vino e praticare attività fisica. Non si registrano novità sul piano concettuale e sul piano pratico per oltre un millennio. Anche Avicenna (980-1037), quantunque nell’indagare le cause dell’invecchiamento sembrasse impegnarsi nella ricerca di efficaci rimedi, non si discostò dalle riflessioni dei suoi predecessori. Così pure Moses Maimonides, vissuto dal 1135 al 1204. Gli studi sulla vecchiaia vennero quindi ripresi da Ruggero Bacone (1214-1292). Egli sostenne la teoria del soffio vitale e consigliò di seguire un regime alimentare a base di carne, vino, rosso d’uovo e legumi. Fu il primo ad aver l’idea di correggere la vista con lenti di ingrandimento, che infatti si cominciarono a fabbricare in epoca immediatamente successiva. Arnaldo da Villanova (1235-1311), alchimista-mago-astrologo più che medico, consigliere di Bonifacio VIII, scrisse il De conservanda Iuventute. Rifacendosi ancora alle teorie classiche del raffreddamento e del disseccamento del corpo, affermava che la vecchiaia va combattuta con bagni, vino e cibo in abbondanza. Prescrisse un trattamento preventivo da ripetere ogni sette anni, basato sulla vipera scuoiata, l’ambra, il corallo e droghe varie. Fondamentale per Arnaldo era l’uso della tintura alcolica di pietra filosofale, a base di oro. Innovativo, da un certo punto di vista, fu Paracelo, vissuto nel XVI secolo,, che considerò l’uomo "un composto chimico" e ritenne che la vecchiaia fosse il prodotto di una autointossicazione. Meritano di essere citate, in questo secolo, le osservazioni di Leonardo da Vinci , che esegui molteplici autopsie di soggetti molto anziani e si dedicò alla loro osservazione in vita, sia dal punto di vista estetico che medico. Francesco Bacone (1561-1626), precursore del metodo sperimentale, pur essendosi occupato della vecchiaia, ricade su concetti tradizionali, affermando la presenza in ciascuna parte dell’organismo di uno spirito o "corpo pneumatico" che ne consente il funzionamento. Più originale è Gabriele Zerbi (1445-1505) che, nel libro "Gerontocomia", pubblicato a Roma nel 1489, afferma che, stimolando le parti indebolite se ne può ravvivare la funzione. Si può considerare pertanto un precursore della moderna riabilitazione. La filosofia riabilitativa trova la sua massima espressione in Gerolamo Mercuriale (1530-1606) che, nel De arte Gymnastica (1577), descrisse minuziosamente e con spirito critico i vari esercizi ginnici, con relative indicazioni e controindicazioni, effetti vantaggiosi e possibilmente nocivi. Altri italiani che si dedicarono agli studi sull’invecchiamento furono Marsilio Ficino (1433-1499), David de Pomis (1552-1660) e Giorgio Baglivi (1668-1706), con risultati, in verità, non particolarmente originali. Il secolo XVIII vede la affermazione definitiva del metodo sperimentale. Si stabiliscono così relazioni più precise tra le alterazioni degli organi, riscontrate sul cadavere, e le patologie dei vecchi: spiccano, in questo contesto, le opere del Morgagni, eccelso anatomista. Alla fine del 1700 ebbe particolare fortuna un’opera intitolata Macrobiotica, di Christoph Wilhelm Hufeland (1762-1836), professore di clinica medica a Jena. Hufeland, sostenitore della vaccinazione jenneriana, venne nominato medico reale nel 1800 ed ebbe tra i suoi pazienti personaggi illustri, quali Goethe e Schiller. Per prolungare l’esistenza e vivere in buona salute, l’autore consigliava l’accurata igiene del corpo, con un bagno completo almeno una volta alla settimana, la cura dei denti da effettuarsi con spazzolino e dentifricio; consigliava di dormire non superando le otto ore e molto moto all’aria aperta per almeno un’ora al giorno. Cogliendo l’importanza dell’aspetto psicologico, affermava che quanto più si conduce una vita attiva e serena, tanto maggiori saranno le possibilità di raggiungere una età avanzata. Contemporaneo di Hufeland fu George Cheyne che, nel trattato An essay on health and long life pose l’accenno sui danni derivanti dalla smodata assunzione di cibo e dalla mancanza di attività fisica. Nel 1800 Domenico Antonio Mandini pubblicò un’opera ricca di intuizioni originali dal titolo La vecchiezza. Sottolineava l’importanza della ereditarietà, affermando che il dono di invecchiare si deve in gran parte alla salute dei genitori; indicava nell’indurimento delle arterie una delle cause dell’invecchiamento; invitava, infine, alla moderazione, come regola igienico-morale fondamentale per una "prosperosa vecchiezza" e a prepararsi alla vecchiaia fin da adulti. Nel 1804 John Sinclair, nel suo trattato in quattro volumi Code of health, compendiò tutte le opere sull’invecchiamento fino a quel momento note. Nel 1817 Anthony Carlisle si soffermò sui problemi chirurgici dei soggetti anziani, sottolineando che "le operazioni troppo rischiose non devono essere praticate nei vecchi, a causa della riduzione della loro vitalità". Un vero e proprio salto di qualità nella conoscenza delle patologie degli anziani si compie tuttavia soltanto con Jean Martin Charcot. L’ospedale parigino da lui diretto, La Salpetrière, era il più grande ospizio d’Europa e accoglieva oltre duemila vecchi. Charcot, neurologo, psichiatra e grande clinico, affrontò la patologia dei vecchi in modo nuovo ed anticipatore, vedendo la geriatria come una branca della medicina dotata di una propria identità e specificità. Nelle sue famose Leçons cliniques sur les maladies des vieillards et les maladies chroniques, pubblicate a Parigi nel 1866, sostiene infatti che "(…)l’importanza di uno studio specializzato delle malattie dei vecchi non può oggi essere contestato da nessuno". Sempre nella seconda metà dell’800 grande risonanza hanno gli studi e le terapie proposte da Brown-Sequard (1817-1894), basate sulla somministrazione di estratti testicolari, di cui si riferisce in altra parte di questo sito (disfunzione erettile). Queste ricerche ebbero successivamente epigoni in Voronoff (1867-1951), che suggerì il trapianto di testicoli di caprone e in Steinach (1862-1944), che praticò, allo scopo di incrementare la secrezione di testosterone, la vasectomia, definita la "Voronoff dei poveri". L'idea base dell'operazione di Steinach era quella di sopprimere la capacità fecondativa, eliminando la eiaculazione, e quindi orientando la produzione di ormoni sessuali all'interno del corpo umano. Analoga operazione, con legatura delle tube di Fallopio, fu effettuata anche nelle donne, ma con minore convincimento. Il dottor Harry Benjamin di New York praticò oltre mille interventi, vantando il 75% di successi dopo un periodo di sei anni di osservazione. Nel 1933 compare il trattato di Giuseppe Levi, Alberto Pepere e Gaetano Viale sulla Fisiologia della vecchiaia. Gli autori elencano tutte le abitudini ed i comportamenti che possono accorciare la vita : l’eccesso di alcool, la soverchia nutrizione, il tabacco, l’abuso sessuale, la sudiceria, l’ambizione, l’avarizia, la collera, la vanità, l’ozio, la stitichezza e l’insonnia. Il consiglio di evitare la stitichezza, raccomandazione tuttora viva nella cultura popolare, era sostenuta dalla convinzione che, mantenendo l’intestino libero, si sarebbe impedito l’eventuale assorbimento di prodotti della putrefazione. Notevole influenza ebbero, a questo riguardo, le teorie di Elia Metchnikoff (1845-1916), il quale sosteneva che l’invecchiamento è una malattia da tossine intestinali e non un processo fisiologico. Sarebbero i batteri e le loro tossine i responsabili della vecchiaia precoce : per questo suggeriva una alimentazione con latte fermentato e yogurt che, acidificando l’ambiente intestinale, avrebbe contrastato l’attività dei germi della putrefazione. Le vendite di yogurt nel primo decennio del '900 registrarono una colossale impennata. Precursore di vedute riprese in tempi moderni fu il fisiopatologo Alexander Bogomeletz (1881-1946), che elaborò la teoria del siero antireticolocitario citotossico; in pratica egli sosteneva che, in piccole dosi, il siero antilinfocitario fosse in grado di stimolare la produzione di sostanze di difesa da parte dell’organismo, precorrendo le attuali vedute sul deficit immunologico nell’organismo senile . Padre della Geriatria, come branca medica autonoma, deve tuttavia essere considerato l’americano Nasher, che, dopo lunga esperienza clinica, nel 1914 pubblicò un Trattato sulle malattie dei vecchi e fondò a New York la Associazione Americana di Geriatria. Siamo in pratica giunti ai nostri giorni. La ricerca scientifica, grazie alle moderne tecnologie, ha compiuto, e compie ogni giorno, passi da gigante. Molte scoperte riguardano l’invecchiamento e le patologie a carattere cronico-degenerativo, tipiche dell’età senile. Questo fervore di studi non meraviglia affatto, considerando l’esplosione demografica della popolazione anziana e i conseguenti problemi che essa pone alla società industrializzate.



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Horticultural Therapy

“Occuparsi della terra e delle piante può conferire all’anima una liberazione e una quiete simili a quelle della meditazione” . Questa intuizione, a cui erano giunti anche i nostri avi, sta alla base di moderne cure antistress, e per il recupero fisico e mentale, che vanno sotto il nome di ortoterapia.

Il contatto con la natura è, per la maggior parte degli abitanti delle città, un privilegio raro. Intravedere una pianta fiorita, un albero che resiste coraggiosamente all’inquinamento, un terrazzo ricco di vegetazione è un evento che cattura lo sguardo e fa sentire meglio. Accade la stessa cosa quando si ha l’occasione, e la volontà, di trascorrere un periodo, anche breve, in campagna. Passeggiare nel verde, avvertire il profumo della terra e dell’erba, delle sfumature di colore che provengono da un prato, sempre diverse a seconda della stagione, fanno star bene, quasi siano essenziali per il nostro equilibrio psicofisico. A molti sarà capitato di sentirsi più rilassati dopo una passeggiata nei boschi o solo nei parchi urbani o tra gli orti presso le abitazioni rurali: le piante, è stato dimostrato, hanno una azione terapeutica. In tutte le civiltà antiche gli alberi erano considerati ricchi di grande potere benefico. In alcune tecniche terapeutiche orientali, come nel Qi Gong cinese, si prescriveva di abbracciare un albero per ottenere, da esso, sostegno energetico, oltre che un contatto rassicurante. Nel medioevo, i monaci, crearono spesso giardini nei luoghi di degenza, affinché i malati si distraessero e superassero i momenti di depressione, legati alla malattia, passeggiando tra le aiuole e i sentieri degli orti. Il contatto col mondo vegetale susciterebbe, quindi, sensazioni ed emozioni che avrebbero anche un valore terapeutico. Oggi sono indagate dalla scienza che si occupa di questa forma di cura che agirebbe tramite l’interazione, anche solo visiva, con la natura. Si basa sul presupposto, dimostrato da varie ricerche scientifiche, che la vista di un paesaggio verde diminuisce il livello di stress in un individuo e ne migliora l’umore. Questo è quanto sostiene anche il Prof. Roger Ulrich, dell’Università del Texas, responsabile del Center for Healt Systems and Design Collages of Architecture and Medicine: prendendo due gruppi di pazienti, il più possibile omogenei tra loro in quanto a età, patologia e peso corporeo, si è verificato come il gruppo che godeva di una “vista verde” si riprendesse molto più rapidamente dall’operazione chirurgica essendo meno stressato e carico psicologicamente. Secondo gli esperti gli ospedali dovrebbero, quindi, aumentare le aree verdi, riprendendo la struttura delle case di cura ottocentesche ricche di giardini. In quel periodo veniva, infatti, riservato alle piante un ruolo importante perché c’era la consapevolezza, pur in assenza di prove scientifiche, del loro effetto positivo sull’uomo e sugli animali. Agli inizi degli anni ’90 arriva in Italia l’ortoterapia, traduzione della collaudata disciplina anglosassone Horticultural Therapy, che promette effetti benefici sui pazienti affetti da disturbi fisici e psichici grazie al contatto con la natura. Tradotta in italiano suona come “terapia assistita con le piante”. La Horticultural Therapy promuove l’orto - giardinaggio come attività di sostegno alle cure mediche tradizionali per la prevenzione ed il recupero di varie forme di disagio. La sua peculiarità consiste nel poter essere praticata a casa, in giardino o nelle strutture per la coltivazione delle piante annessi agli ospedali, agli istituti di riabilitazione e alle case di riposo . A scoprirne per primo gli effetti benefici sul finire del 1700 fu il padre della psichiatria americana Benjamin Rush, che osservò come i suoi pazienti, dedicandosi all’ orticoltura e al giardinaggio, riuscivano a superare alcuni tipi di handicap su cui la normale medicina non otteneva risultati . Alcune ricerche vennero pubblicate anche nel secolo successivo, ma solo a partire dal secondo decennio del Novecento vennero messi a punto, con criteri scientifici, programmi volti alla riabilitazione di persone segnate da traumi fisici e psichici. Negli anni Cinquanta la Michigan State University inserì nella propria offerta didattica un master in Horticultural Therapy e nel 1971 la Kansas State University offrì il primo undergraduate nella medesima disciplina. Due anni dopo nacque infine l’American Horticultural Therapy Association (AHTA), che tutt’oggi promuove a livello internazionale lo sviluppo dell’orticultura e di tutte le attività ad essa connesse quali strumenti terapeutici e riabilitativi . L’ortoterapia punta sull’innata affinità dell’uomo verso la natura per favorire il recupero del benessere fisico e psicologico. Prendersi cura di organismi vivi, da soli o in gruppo, favorisce il senso di responsabilità ed è un’occasione per socializzare le proprie esperienze; sollecita l’attività motoria, aiuta a vincere il proprio isolamento e l’impressione di essere inutili. Considerata strumento prezioso nel supporto di portatori di handicap fisici degli anziani, è consigliata anche a chiunque soffra di stress ed ansia. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come poter godere della vista di un paesaggio verde faciliti la sopportazione del dolore, degli effetti della depressione e, addirittura, stimoli la ripresa dell’organismo in fase di convalescenza. Negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Giappone, in Germania e in Inghilterra, dove l’Horticultural Therapy è praticata come una vera e propria disciplina scientifica, sono stati progettati paesaggi, giardini e aree verdi grazie alla collaborazione di architetti del paesaggio. I gardens sorgono di solito in case private, orti botanici, scuole, ospizi, carceri, ospedali e centri educativi per giovani a rischio. Tra le piante, le più adatte a tale attività sono considerate quelle da fiore e quelle aromatiche. Le piante con fogliame villoso stimolano sensazioni piacevoli nei malati di Alzheimer e negli individui che necessitano di un contatto vivo. Da noi i progetti relativi alla terapia orticolturale nascono generalmente grazie ad iniziative individuali di chi è particolarmente sensibile al tema o coinvolto personalmente. Comunque sono i Paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa, a guidare la ricerca e la sperimentazione terapeutica dell’ortoterapia, un ambito in cui rientrano anche la pratica del giardinaggio terapeutico e l’utilizzo da parte di disabili fisici e psichici di giardini terapeutici. Qualche sperimentazione viene condotta anche in Italia, anche se il nostro paese è ai blocchi di partenza in questo settore, come sottolineano (in un articolo apparso sulla rivista Acer) il professor Ferrini (docente di Arboricoltura all’Università degli Studi di Milano) e la psicoterapeuta Trombettoni . A Roma c’è per esempio la Casa Dago gestita dall’Associazione per la riabilitazione del comatoso dove, oltre alla pet - therapy, si pratica la horticultural therapy. Qui i ragazzi svegliatisi da un coma più o meno lungo vengono aiutati a curare i postumi del trauma con l’orto-flori-frutticoltura: curando fiori e piante viene accresciuta la loro capacità di attenzione e di responsabilità, insomma curando le piante, curano se stessi. Lo stesso principio ispiratore ha guidato già dal 1998 l’attività di orticultura terapeutica realizzata presso il Centro Diurno “ Costa Bassa” di Monza : gli anziani con problemi d’autonomia vengono coinvolti nella coltivazione di ortaggi e fiori, al fine di sollecitarne la riabilitazione motoria, sensoriale e psicologica. Nella horticultural therapy non si parla solo di orti-giardinaggio terapeutico. Grande importanza assumono anche i giardini terapeutici cui è stata dedicata nel settembre del 2003 scorso un’intera area alla V edizione “Mostra mercato di piante rare insolite e curiose” svoltasi ad Arona sul lago Maggiore. Nel 2002, anno dei disabili, si è dato spazio ai giardini creati su misura, come quello realizzato dal Comune di Torino per i non vedenti che permette loro di muoversi tra piante e fiori senza bisogno di un accompagnatore. Alla mostra ne è stato presentato un “assaggio” di 15 m, mentre nel capoluogo piemontese il percorso si snoda per quasi un chilometro sul colle della Maddalena con un sentiero dotato di mancorrente e attrezzato con tabelle in braille sulle quali sono descritti gli elementi naturali che costituiscono il percorso. Secondo il professor Ferrini e la psicoterapeuta Trombettoni i giardini terapeutici, come quello realizzato a Torino, riescono a far vincere ai disabili la sensazione di solitudine e isolamento in cui molti di loro vivono, costretti come sono a rimanersene spesso relegati tra quattro mura . La horticultural therapy nelle sue varie forme (orticoltura, giardinaggio terapeutico, giardini terapeutici e healing landscape, cioè interazione visiva con un paesaggio verde) rappresenta quindi una terapia di sostegno alle tradizionali cure mediche. Sembra appena il caso di osservare che dalla cura dell’orto – frutteto, del giardino, possono trarre beneficio non solo malati o disabili. Tutti si rigenerano in corpo e spirito passeggiando per un parco, prendendosi cura dei fiori nel giardino o semplicemente aguzzando la vista tra gli alti palazzi delle città alla ricerca di uno scorcio verde. Certamente tutti ne hanno già fatto esperienza: ora si riconosce che il merito è tutto dell’azione terapeutica delle piante o per meglio dire della horticultural therapy.



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Orti urbani

Nulla di nuovo nel dire che le città sono fatte di cemento, traffico, inquinamento. I cittadini, noi tutti ogni giorno siamo alle prese con mille problemi da risolvere nel minor tempo possibile; si corre, si viaggia, si ha fretta, eppure in questo stressante via vai, c'è qualcuno che scorge un piccolo pezzo di terra, ignorato dalla frenesia cittadina e trova il tempo per lavorarlo, coltivarlo usando metodi antichi, dimenticati da un’industria agricola che, per esigenze di mercato, si adegua costantemente alla moderna tecnologia, ha la pazienza di aspettare i suoi frutti . Può apparire fuori dal tempo, fuori da ogni logica di consumo di massa e di vita urbana, eppure il fenomeno degli "orti cittadini" è oggi, come moltissimi anni fa, estremamente attuale. Si tratta di un comportamento spontaneo, non prodotto dai mass-media, molto diffuso che si configura come una sorta di cultura autonoma ben presente in alcuni strati della popolazione con contaminazioni più generali di strati sociali, generazioni e professioni. Non è chiaro cosa spinga queste persone a chinarsi su un piccolo campo assolato, quando i supermercati possono offrire, senza alcuno sforzo fisico, ciò di cui si ha bisogno. In primo luogo si potrebbe pensare al fattore economico, cosa vera, ma si tratterebbe soprattutto di un risparmio più che di un guadagno: l'orto urbano non dà luogo a mercato; ciò che si viene a creare è sì un lavoro, ma non nel vero senso della parola. L'orticoltore si sente libero di svolgere la propria attività nei modi e nei tempi che lui ritiene più opportuni, senza doversi subordinare a nessuno, è contento di dare consigli, di confrontarsi con gli altri ortisti, senza che la sua autonomia venga messa in discussione . Se l'orto fosse soltanto un lavoro, allora perderebbe quel senso di libertà che gli è proprio. L'orto è anche divertimento, impiego del tempo libero, fuga dal bar e dalla vecchiaia in solitudine, è un momento di relax e di raccoglimento. L'orto è passione per la natura, è sfida al tempo, alle proprie risorse, alla propria fantasia, è soddisfazione nel momento in cui si vedono crescere le coltivazioni e si raccoglie il frutto meritato delle proprie fatiche. L'attività degli "Orti urbani" è largamente diffusa nelle metropoli europee ( specialmente in Olanda, Germania, Svizzera, Austria); rappresenta un'occasione per organizzare aree a verde pubblico e talvolta raggiunge elevati livelli qualitativi anche sotto il profilo estetico. Anche in Italia e nelle grandi città, gli orti possono diventare una positiva risorsa urbana e ambientale; a tal fine si ritiene fondamentale che essi trovino nei P.r.g. una definitiva collocazione come area verde destinata ad orti, visto, tra l'altro, che le aree degradate in stato di abbandono, o con relativi interventi di recupero a verde elementare da realizzare o realizzati, complessivamente nella nostra città sono più di due milioni di mq, che vanno dai mille mq ai centomila mq per singola area (censimento aree degradate in stato di abbandono, Settore Parchi e Giardini) . Occorre identificare, con un lavoro concertato tra urbanistica, demanio e patrimonio, parchi e giardini, aree qualitativamente adatte, irrigabili, non esposte a pesante inquinamento dei gas di scarico o di altre fonti inquinanti dell’aria. La loro realizzazione potrebbe essere certamente una positiva risposta soprattutto al problema dell'isolamento di tanti anziani e pensionati. Con tale iniziativa si contribuirebbe a mantenerli autosufficienti e permettere loro un sano impiego. Infatti con questa attività si viene a produrre un vero e proprio legame con la terra, per molti caro ricordo di un’infanzia trascorsa nei campi. Si verrebbe a creare un legame nuovo non più spinto dalla fame e dagli stenti di una guerra e di una ricostruzione difficile, ma dal desiderio di esprimere le proprie conoscenze, le proprie risorse, la propria passione per una terra che non è più mezzo di sussistenza ma compagna di giornate altrimenti vuote e solitarie. Tuttavia l’orto e i suoi recinti non possono essere considerati una gabbia dorata, un’ isola felice nella quale gli anziani coltivano semplicemente il loro pezzetto di terra. Gli “orti urbani” sono qualcosa di più, consentono rapporti con altri cittadini d’età diverse, con esigenze diverse, ma portatori anche loro di conoscenze in grado di arricchire pure una vecchia pianta come può essere l’anziano. Alcune ricerche dimostrano che l’orticoltore “tipo” è uomo, generalmente di età compresa tra i cinquanta e settanta anni, pensionato, operaio, impiegato, piccolo artigiano; vi sono presenze di età inferiori e attive nel mondo del lavoro e, se pur limitata, c’è anche la presenza di liberi professionisti. Le donne sembrano essere meno coinvolte in questa attività, ma non per questo si dovrebbero adottare criteri di assegnazione diversi. Occorrerà tenere nella dovuta considerazione questo fenomeno di voglia di orto, per la funzione ed importanza che assume in più strati sociali e classi di età. Si pensa che le amministrazioni potrebbero creare le condizioni per soddisfare il più possibile la domanda reale, pur mantenendo ferma la priorità a pensionati-anziani e alla loro condizione economica, fornire la possibilità di accedere alle assegnazioni anche a portatori di handicap; molte ragazze e ragazzi autosufficienti sarebbero ben felici di partecipare a questa esperienza a contatto con la natura, con persone anziane ma non solo, svolgendo la stessa attività di ortisti. Si reputa importante che in questo contesto si realizzino occasioni d’incontro e di discussioni, possibilità di iniziative ricreative e culturali, per facilitare i rapporti umani e di vita; e questo estendendo attività rivolte a tutto il quartiere, come possono essere ad esempio le “Feste dell’orto” , nelle quali organizzare concorsi per il miglior orto, mostre e conferenze di orticoltura con esperti agronomi del Comune o esterni. Un altro obiettivo potrebbe consistere nell’ approfondire la materia in termini tecnici, scientifici e culturali con corsi pubblici e gratuiti che insegnino di più sugli orti, sul rispetto dell’ambiente mediante l’uso esclusivo e prevalente di tecniche biologiche e naturali, l’impiego di prodotti sicuri sia per gli anziani, sia più in generale per gli utenti, favorendo, quindi, la scelta di agricolture naturali alternative all’uso di prodotti fitosanitari che nel breve o nel lungo periodo possono danneggiare la salute. A tal proposito appare evidente la necessità di un rapporto stretto con la facoltà di agraria, le associazioni ambientaliste come Italia Nostra, Bosco in città, Wwf e altre, per avere suggerimenti e indicazioni in merito. Il tutto potrebbe essere realizzato in spazi sociali, possibilmente all’interno delle aree ortive, dotati di capanni comuni o singoli per il ricovero degli attrezzi, di allacciamenti a prese d’acqua, servizi igienico sanitari idonei anche per i disabili, illuminazione adeguata e linea telefonica attiva; interessante, per l’assolvimento di questa funzione, sarebbe, ove esistono in loco, il recupero di vecchi rustici o cascine. L’orto urbano può anche dare vita a rapporti di collaborazione con scuole, insegnanti, scolaresche, alle quali gli anziani possono trasmettere le loro esperienze, frammenti di cultura che altrimenti andrebbero persi, le loro conoscenze sull’uso di strumenti di lavoro manuale e sulla vita delle piante. Nello stesso tempo questa attività “didattica” sarebbe appagante per gli anziani che riscoprirebbero il ruolo di trasmettitori di sapere. Ed ancora. L’orto può divenire il mezzo con il quale realizzare forme di volontariato e di solidarietà, attraverso l’offerta gratuita di eventuali eccedenze di produzione (o di quantità preventivamente stabilite) alle case di riposo, ospedali, asili nido, scuole materne, ad altri anziani ma deboli fisicamente ed economicamente, e in quest’ ultimo caso in stretto rapporto con i Centri di assistenza domiciliare. Si potrebbe stabilire che una piccola parte dei prodotti sia destinata a chi giorno dopo giorno prepara un pasto caldo per i bisognosi come per esempio le suore missionarie di Maria Teresa di Calcutta o la mensa di S. Pietro. Il valore di questa iniziativa può andare ben oltre il valore economico dei prodotti offerti o consumati dagli orticoltori; infatti produrrebbe una ricchezza ben più importante: la solidarietà, lo stare insieme, il vivere nel rispetto dell’ambiente e, non da ultimo, il significativo recupero di aree degradate. Orti, quindi, da realizzare e gestire come multivalori da coltivare, da conservare e tutelare. Materia, questa, che andrebbe delegata ai municipi e ai consigli di zona che tra l’altro, unitamente agli assegnatari, nominerebbero un comitato di gestione per ogni area ortiva. Tale organo, oltre a far sì che certe regole vengano rispettate, dovrebbe svolgere una serie di attività volte alla promozione della vita di relazione degli anziani volte alla loro integrazione sociale nel territorio. A tal proposito, sarebbe necessario evidenziare due fattori: primo occorrerebbe valutare attentamente le domande che perverranno nelle sedi preposte e poi l’eventuale risorteggio degli orti dopo alcuni anni (tre o cinque che siano); tale scelta può produrre effetti negativi in quanto può togliere interesse al miglioramento produttivo ed estetico dell’orto e può colpire quella passione che non è limitata solo alle colture o al fattore economico e di risparmio. E’ altrettanto importante non porre limiti a possibili contributi di lavorazione e coltivazione dell’orto da parte dei familiari dell’utente o di altri assegnatari; va tenuto presente che gli anziani, come tutti gli esseri umani, vanno soggetti ad invalidità temporanee e a volte anche croniche che per periodi più o meno lunghi impediscono la coltivazione dell’orto. Sarebbe socialmente dannoso togliere l’orto a chi è costretto a farsi aiutare materialmente nella coltivazione (da familiari, parenti, amici) in quanto, anche se il fisico non lo permette, il legame con l’attività può rimanere ancora vivo e profondo, e spezzarlo significherebbe creare un ulteriore “handicap” nella vita dell’anziano, quindi sarebbe da ritenere importante e utile mantenere l’assegnazione. Orti urbani: definizione, evoluzione, esperienze significative Nella denominazione corrente, gli orti urbani sono connotati con varie terminologie: orti per il tempo libero, orti familiari, orti per gli anziani o per la terza età. Tuttavia gli orti urbani possono essere definiti come un insieme di aree coltivate, formate da piccoli appezzamenti di terreno, a ordinamento policolturale, con scopo di autoconsumo, coltivati da uno o più componenti di una sola famiglia e separati dall’abitazione del conduttore stesso. Il fenomeno degli orti urbani in Italia esplode nel corso degli anni ‘70 con caratteristiche di recupero spontaneo, da parte dei cittadini, di aree marginali esistenti nel tessuto urbano (sponde di fiumi, aree limitrofe ad aree ferroviarie, ecc.) o di aree agricole, semi-abbandonate, limitrofe alle grandi conurbazioni. Nel primo caso, gli orti presentano dimensioni piccole o piccolissime, inferiori ai cento\centocinquanta mq, nel secondo hanno dimensioni più rilevanti (sempre comunque inferiori ai cinquecento mq) e sono generalmente collegati a piccole strutture in muratura o in legno che permettono sia il ricovero degli attrezzi sia la possibilità per il conduttore di trascorrere un’intera giornata sul fondo. Dal punto di vista delle dimensioni dunque si può andare da pochi metri quadrati a qualche centinaio. Le forme possono essere regolari, quando si tratta di grandi aree frazionate, oppure irregolari nel caso di aree recuperate o marginali, mentre dal punto di vista altimetrico i terreni possono essere pianeggianti o anche in forte pendenza. L’orto urbano, anche se abusivo, è generalmente recintato ed ha una porta d’accesso per dare l’illusione della proprietà e renderla riconoscibile. Le colture possono essere a cielo aperto oppure sotto serre di plastica, e vanno dagli ortaggi di ogni genere per arrivare a colture più ricercate, come, ad esempio, alberi da frutto e fiori. L’acqua per l’irrigazione, quando l’orto non si trova in riva al fiume o non sia percorso da un canale, è quella piovana, raccolta con mezzi rudimentali. Alla precarietà italiana fa riscontro una situazione europea su radici più antiche. Nel resto d’Europa si può parlare di organizzazione e pianificazione fin dagli anni ‘20. Oggi gli orti urbani in Svizzera o in Germania costituiscono vere e proprie fasce verdi che si frappongono tra la città costruita prima degli anni ‘40 e le espansioni del secondo dopoguerra. In Olanda, invece, fanno parte integrante della progettazione dei grandi parchi urbani e in Gran Bretagna sono previsti come servizi complementari alla residenza. Esperienze significative In Francia gli orti urbani sono regolati da norme formalizzate in un arco di tempo piuttosto lungo, fra il 1940 e il 1976 che ne definiscono l’impianto e la manutenzione. Nel 1920, in Francia se ne contavano oltre centosettantamila, gestiti in prevalenza dalle compagnie ferroviarie e minerarie. Il fenomeno tuttavia ha registrato un calo notevole negli anni ‘50, ma negli ultimi anni c’e stata una netta ripresa tanto che si è giunti ad una nuova legge (10 novembre 1976) relativa alla protezione degli orti urbani che definisce la possibilità e i requisiti della società, le modalità di esproprio e le condizioni per beneficiare delle sovvenzioni dello Stato. Un interessante esempio di organizzazione di orti, in Francia, è quello di Crétil, lungo la Marna. Sono lotti rettangolari uguali di ml 8 x 22 e hanno il lato minore perpendicolare alle strade di accesso. Ogni due lotti è posto un capanno di ml 2 x 2, dipinto di verde con una piccola veranda coperta e delimitata da listelli di legno bianco. Intorno al capanno è previsto uno spazio ricoperto di ghiaia ed adornato con fiori e piante. Le recinzione fra i lotti sono in rete metallica sulla quale è appoggiato un’ incannucciata, che crea zone dotate di privacy molto forte. L’esperienza di Helsinki, in Finlandia, si basa su raggruppamenti di orti, di dimensioni variabili fra i centocinquanta e i quattrocentocinquanta mq; sono serviti da una rete di elettrificazione e da una adduzione idrica che, per evidenti ragioni climatiche, funziona solamente in estate. L’affitto è parametrato dal costo della vita e calcolato in base ai mq in uso e al reddito personale; il regolamento comunale, invece, fissa le regole di manutenzione, di rimozione dei rifiuti, le modalità di recinzione e di costruzione del capanno, con la specificazione che possa essere usato solo in estate e non continuativamente per più notti. In Italia una delle più interessanti esperienze è quelle di Torino che, nel corso degli anni ‘70, raggiunse una dimensione di oltre due milioni di metri quadrati. Anche se gli orti a Torino erano sempre esistiti nei quartieri popolari, e per le loro caratteristiche e la loro diffusione erano legati all’immigrazione del secondo dopoguerra. Infatti, per l’immigrato meridionale di origine contadina, l’orto urbano rappresenta una continuità ideale delle proprie radici. Grazie alle varie riprese aerofotogrammatiche di un gruppo di studio della Facoltà di Architettura di Torino, è stato possibile disegnare una mappa degli orti che ha rilevato una loro maggiore concentrazione lungo gli argini dei corsi d’acqua cittadini: la Stura, la Dora, il Sangone e il Po. La ragione di questa localizzazione è evidente in quanto siamo di fronte a zone dotate di acqua che ne consente una irrigazione facile mediante semplici pompe e sono un luogo piacevole per trascorrere il tempo libero. Altre importanti concentrazioni sono state rilevate lungo le linee ferroviarie e nei quartieri popolari. Merita attenzione la struttura degli orti del quartiere Lucento/La Vallette dove si è razionalizzata una situazione spontanea e, al contempo, creato un parco pubblico con servizi comuni, giochi per bambini e adulti e aree sperimentali con orti scolastici. Le spese di sistemazione delle strade d’accesso principale e la sistemazione della rete idrica sono state affidate al Comune, mentre i privati hanno sistemato le eventuali strutture di ogni singolo orto come la recinzione, il capanno e le serre. Il Comune di Parma ha seguito una via molto simile a quella torinese, ma ha espressamente vietato costruzioni all’interno dei lotti. Non esistono recinzioni interne o cancelli tra un orto e l’altro e il sistema d’irrigazione prevede delle tubazioni con un rubinetto ogni dieci orti, dove l’acqua viene raccolta manualmente con secchi o annaffiatoi. Sono inserite, inoltre, una serie di iniziative a favore degli anziani e in questo tipo di contesto è nata l’idea d’istituire un nuovo tipo di verde urbano, un verde produttivo in grado di assorbire l’esperienza di persone non più giovani. Si segnalano, infine, le esperienze di Ancona e Modena, fra loro assai simili, in quanto presentano finalità per il recupero di anziani, handicappati e disadattati. A Modena i lotti hanno una dimensione di cinquanta mq per utente e, come a Parma, sono proibite le costruzioni e la coltivazione degli orti da parte di persone che non siano i familiari dell'assegnatario. Il fenomeno degli orti urbani, in apparente contrasto proprio con l’uso dei suoli cittadini, ha la rilevanza che merita, anche se spesso queste oasi di verde tra il cemento e lo smog trovano scarsa considerazione tra gli amministratori dei municipi della nostra città. Miopia ambientale? Calcolo politico? Bacino di voti poco appetibile? Chi ha interesse a mantenere accese, da oltre cinquant’ anni, le dispute tra ortisti abusivi e gli uffici legali della provincia e della regione? Una visita conoscitiva presso il XIX municipio ha dato risultati deludenti. Nessun Ufficio è al corrente di progetti sugli orti urbani. Nessuno ha saputo rispondere sulla storia del territorio attorno al Fosso di Santo Spirito e sulla diatriba, ancora in atto, tra occupanti e Amministrazione. E’ stato consigliato di presentare, visto l’interesse della scrivente per l’argomento, una bozza di progetto di orti urbani riguardante i parchi dell’Insugherata (Lucchina) o di Casal del Marmo , abbastanza prossimi al Fosso di Santo Spirito. Forse la soluzione può essere trovata nel delegare l’attuazione dei progetti, sul cui grado di fattibilità dovrebbero pronunciarsi le amministrazioni, a Comitati Territoriali di gestione che potrebbero assolvere ad alcuni compiti; tra i quali: • assecondare la voglia di verde presente in numerose persone della terza età; • contribuire a far uscire dall’isolamento molti vecchi; • produrre reddito aggiuntivo che, visti gli assegni medi dei pensionati, non è risultato da disprezzare; • produrre solidarietà; • ridurre l’isolamento, la distanza tra la terza età e le giovani generazioni (orto didattico); • contribuire al mantenimento del benessere psicofisico dell’anziano, con conseguente risparmio per il Servizio Sanitario nazionale. E’ stato detto che l’attività degli orti urbani è largamente diffusa nelle metropoli europee. Essa può rappresentare una soluzione, una delle tante possibili, alla voglia di verde dei cittadini; in Italia essa ha avuto rispondenza solo in quelle città dove, evidentemente, la coscienza ecologica e le capacità organizzative sono più sviluppate. Allo stato non risulta che l’amministrazione della città di Roma abbia preso in seria considerazione la possibilità di organizzare le varie aree che vengono coltivate “abusivamente” (e si tratta di terreni demaniali mai coltivati ed esposti al degrado, molti finiscono per diventare discariche di materiali vari. anche pericolosi) disciplinandone l’uso. Nonostante gruppi di cittadini e organizzazioni ambientaliste abbiano cercato di impegnarsi in questo senso, non hanno avuto riscontro presso gli uffici deputati.



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Alla Commissione per la gestione del Territorio del XIX Municipio del comune di Roma

Proposta di recupero urbanistico, a orti urbani, delle aree pertinenti il Fosso di Santo Spirito, il complesso di Santa Maria della Pietà e il Carcere Minorile di Via Casal del Marmo,

Sonja Muscas, Settembre 2004

XIX Municipio: aree non utilizzate o dismesse.

Linee teoriche per un progetto di recupero urbanistico da destinare a orti per la terza età, ad attività didattiche per le scuole e di recupero - sostegno per gli ospiti del carcere minorile di via Casal del Marmo e del complesso di Santa Maria della Pietà.

Sommario 1. Ubicazione e descrizione del territorio 2. Terza età e orti urbani 3. Un laboratorio di ecologia all’aperto 4. Orti urbani come horticultural therapy 5. Un esempio di regolamento per l’assegnazione degli orti urbani 6. Conclusioni 1. Ubicazione e descrizione del territorio La parte di territorio presa in considerazione ricade completamente sotto l’amministrazione del Municipio, nella zona nord di Roma. E’ delimitata da via Barellai, dal Carcere Minorile di Casal del Marmo, da via della Valle dei Fontanili, dalle traverse ad est di via Torrevecchia, dalle pertinenze dell’ospedale di Santa Maria della Pietà, da via E. de Mattei, dalle pertinenze dell’ospedale S. Filippo Neri. Si tratta di circa venti ettari nella Valle dei Fontanili, denominazione che deriva dalla presenza di numerosi fontanili e risorgive. La creazione del quartiere di Monte Mario e quindi l’esigenza di smaltire le acque nere, fece del Fosso dei Fontanili una fogna a cielo aperto; tuttora, in parte, si trova nello stesso stato anche se esiste un depuratore funzionante che scarica le acque nel fosso. Basterebbe allacciarlo al sistema fognario che termina nel depuratore delle case popolari di Via Andersen; esiste un progetto in merito. In tal modo le acque pulite dei vecchi fontanili potrebbero essere utilizzate per l’irrigazione degli orti, che per ora debbono accontentarsi di quelle meteoriche che vengono raccolte in contenitori di vario genere. I piccoli appezzamenti, ricavati dal controllo continuo sulle specie infestanti, sono situati ai lati del rigagnolo e presentano varie pendenze. Sono coltivati, nei punti più difficili, col sistema del terrazzamento. Alcuni punti più malagevoli, le “spallette”, mantengono la vegetazione spontanea originaria costituita da lecci, roverelle, onnipresenti rovi, pungitopo, biancospino, edere, mentre lungo il ruscello crescono rigogliosi i salici e le canne palustri. Trovano riparo e cibo parecchie specie di animali: dai rettili (bisce, orbettini, bisce d’acqua, ramarri e lucertole di vario tipo) agli uccelli d’acqua ( alcuni rallidi , gallinelle d’acqua, porciglioni, folaghe, marzaiole di passaggio) pettirossi, fringuelli, cardellini, verdoni nidificanti, tortore e colombacci nel periodo estivo, merli e storni nidificanti, onnipresenti le cornacchie grigie e tordi nel periodo invernale. Nidifica anche il gheppio e qualche coppia di civette e di gufi. Sono presenti, oltre le numerose arvicole, gli istrici, i ricci, qualche volpe e alcune faine che compiono razzie nei pollai degli ortisti. Si tratta quindi di un ecosistema completo, ricco di specie animali e vegetali che convivono in buona salute (nessuno adopera prodotti chimici nella coltivazione degli orti), una ricchezza da preservare e da incrementare attraverso una gestione oculata delle risorse sia umane che ambientali. 2. Terza età e orti urbani Coltivare la terra mantiene giovani le persone di una certa età. Alcuni studiosi di geriatria affermano, infatti, che questa attività non solo aiuta le persone anziane a sentirsi attive, ma aumenta anche le loro difese immunitarie, rallenta il declino psicofisico e regolarizza il ciclo veglia-sonno. La gestione e la coltivazione di un orto costituisce un modo di vivere all'aria aperta, fare attività motoria oltre ad essere occasione di aggregazione per il tempo libero e sostegno economico per le famiglie. Del resto molti degli anziani che vivono oggi nelle città possono aver subito quel inurbamento che può averli distaccati, più o meno drasticamente, dall’ambiente rurale caratteristico magari della gioventù, creando in loro un certo disorientamento e una forte esigenza di ritrovare un contatto diretto con l’ambiente. A volte basta anche un fazzoletto di terra, per tenere lontano l’anziano da quella solitudine che colpisce spesso la terza età e che, in alcuni casi, può portare alla depressione se non al vero e proprio deterioramento psicofisico. Un'indagine dell'Istat ha scoperto che il oltre il 50% degli anziani ha una grande passione per il giardinaggio . Purtroppo non tutti hanno la possibilità di esercitare questa passione. Soprattutto chi abita nei centri cittadini, ha notevoli difficoltà a reperire un " fazzoletto di terra": da qui la necessità di un intervento dell’amministrazione comunale. Del resto sono ormai molte le città, in particolare nell’Emilia e nella stessa Toscana, in cui vengono assegnati gratuitamente agli anziani un appezzamento di terreno (fra i quaranta e i settanta mq) destinato alla coltivazione di ortaggi, erbe aromatiche o fiori per "rompere l'isolamento e incentivare i momenti di socializzazione", come recita, per esempio, il Regolamento del Comune di Modena. 3. Un laboratorio di ecologia all’aperto Oggi la scuola è sempre più scuola di città, dentro le quattro mura dell’aula scolastica. Si è acutizzato, poi, in questi ultimi anni il fenomeno della chiusura di scuole nelle realtà periferiche, in campagna, in montagna e in collina. È proseguito il processo di urbanizzazione, che un tempo era collegato alla industrializzazione dell’Italia e che oggi si è basato sul principio della riduzione dei costi per allievo, soprattutto là dove più forte il fenomeno del decremento delle nascite. E' un processo che è stato eclatante negli anni ‘50 quando dalla campagna, dalla montagna, la gente è emigrata. Oggi c’è un ulteriore impoverimento di quella realtà, la campagna, che è stata per centinaia di anni la struttura portante dell'Italia. Il concentrare i bambini e le bambine nelle grandi scuole di città sta facendo emergere sempre di più il fenomeno di allievi che provengono da realtà di cosiddetta periferia, ma che non conoscono, se non con molta superficialità l'ambiente rurale. È un ulteriore distacco fra mondo rurale e mondo industriale, fra città e campagna, fra il luogo dove si produce e dove si consuma il cibo. Anche là dove è presente, nelle scuole italiane, la mensa, si stanno sempre di più perdendo occasioni per ricucire questo legame. Ci si appella ai falsi miti dell'igiene o del risparmio. Noi stiamo sempre più togliendo dalle scuole l'esperienza della mensa e della cucina. Stiamo sempre più portando il cibo già precotto ai ragazzi che si fermano a pranzo, che fanno il tempo pieno o i rientri nelle elementari e nelle medie. Si stanno sempre più centralizzando i punti di cottura di questi cibi e così il pranzo viene servito a scuola con le vaschette di plastica o di alluminio. Un'operazione, oltretutto, ecologicamente molto poco intelligente in quanto costosa dal punto di vista energetico. Gli orti, quindi, potranno assumere un altro significato molto importante: quello di laboratorio all’aperto per le scuole, in cui favorire anche lo scambio intergenerazionale tra nonni, genitori e bambini. Ad Alessandria si è addirittura formato un club composto da centottanta pensionati che gestiscono gli orti e, a turno, invitano i bambini degli asili per dimostrar loro che le patate non crescono sugli alberi e le fragole si raccolgono una per una, proprio come faceva Cappuccetto Rosso. Affiancata all'esperienza degli orti, la realizzazione di un giardino naturale a scopo didattico permette di recuperare un rapporto diretto con la natura, soprattutto da parte dei bambini. Spesso le aree verdi costituiscono soltanto l'unica opportunità per stabilire questo contatto, un orto-giardino mantenuto dai ragazzi con criteri ecologici, costituisce un'occasione per stimolare lo spirito creativo e l'osservazione, capire i meccanismi che regolano i cicli naturali. Infatti nelle aree fortemente antropizzate, in particolare gli ambienti urbani, i giardini rappresentano un sistema di conservazione della natura e di rigenerazione della stessa, soprattutto se costituiti da essenze autoctone. Nel progettare un giardino naturale occorre favorire la differenziazione e la diversità, creando le condizioni per il formarsi di micro-ambienti. La varietà di specie vegetali, che richiedono una bassa manutenzione, potrà facilitare l'insediamento di specie animali, quali per esempio gli uccelli, creando un ambiente equilibrato, senza la necessità di interventi artificiali. Inoltre in un orto-giardino naturale il rifiuto, comunemente inteso come "avanzo da eliminare" non esiste: gli scarti organici ridiventano risorsa da immettere nuovamente nel ciclo naturale degli elementi. Tutto questo si concretizza in un costo minore per la gestione e, grazie ad un più stabile equilibrio naturale, l'uso dei diserbanti e pesticidi si renderà pressoché inutile. Questo tipo di esperienze, molto utilizzate all'estero, favoriscono il rispetto per l'ambiente, per la natura e i suoi ritmi, la riscoperta dei tempi biologici, l'arricchimento delle conoscenze relative alla vita di piante e animali, un modo per valorizzare e salvaguardare gli spazi verdi di una città. In Toscana, a Firenze, ad esempio, sono fatte alcune esperienze con gli orti sociali in via Accademia del Cimento. L’iniziativa ha avuto un tale successo che l’amministrazione ha dovuto reperire altri orti per soddisfare l’elevato numero di richieste. 4. Orti urbani come orticultural therapy ( anche per il recupero – sostegno nella devianza minorile e per alcune problematiche della sfera psichica ) L’ortoterapia punta sull’innata affinità dell’uomo con la natura per favorire il recupero del benessere fisico e psicologico. Prendersi cura di organismi vivi, da soli o in gruppo, favorisce il senso di responsabilità ed è un’occasione per socializzare le proprie esperienze; sollecita l’attività motoria, aiuta a vincere il proprio isolamento e l’impressione di essere inutili. Considerata strumento prezioso nel supporto di portatori di handicap fisici degli anziani, è consigliata anche a chiunque soffra di stress e ansia. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come poter godere della vista di un paesaggio verde faciliti la sopportazione del dolore, la depressione, e addirittura stimoli la ripresa dell’organismo in fase di convalescenza. Di seguito viene riportato un esempio di regolamentazione dal quale potranno essere tratte delle linee-guida da utilizzare nella stesura di un regolamento. 5. Amministrazione Comunale di Parma : regolamento per l’assegnazione degli Orti Urbani L’amministrazione Comunale di Parma, su sollecitazione delle Circoscrizioni, dei Sindacati dei Pensionati e dei Comitati Anziani di quartiere, nell’ambito delle iniziative e dei programmi di carattere sociale a favore dei cittadini, allo scopo di sollecitare l’impiego del tempo libero in attività produttive e operativa in stretto legame con l’ambiente, la società e la famiglia e avere un punto di riferimento di amicizia, solidarietà e comprensione, ha ritenuto giusto recuperare tutti gli appezzamenti di terreni incolto, disponibili nel perimetro urbano e suburbano, per assegnarli gratuitamente su domanda a cittadini che intendono coltivare a orto piccoli appezzamenti di terra (mq 100 o mq 50) a esclusivo uso e godimento familiare. L’Amministrazione comunale individua le aree che saranno messe a disposizione delle circoscrizioni, che le assegneranno secondo le seguenti priorità: a) cittadini anziani; b) altri cittadini. Le norme per ottenere l’assegnazione sono le seguenti: 1) fare domanda su apposito modulo di concessione del terreno presso la propria circoscrizione; 2) i lotti destinati ad orto di proprietà comunale o di altri enti, tramite le circoscrizioni che promuoveranno idonee forme di partecipazione, saranno dati in gestione gratuita a cittadini che ne facciano domanda. Potrà essere in particolare attivata la collaborazione del Sindacato dei Pensionati, dei Comitati Anziani, del Centro J. Kennedy e di altre espressioni di partecipazione esistenti sul territorio; 3) gli orti assegnati debbono essere coltivati direttamente dai richiedenti. Possono contribuire alla conduzione dell’appezzamento anche i familiari dell’assegnatario. Agli assegnatari è fatto divieto assoluto di vendita dei prodotti. Eventuali eccedenze di produzione possono essere cedute gratuitamente a case di riposo, asili, ecc.; 4) essendo l’appezzamento di terreno disponibile per le finalità cui è adibito, si fa divieto di costruire abusivamente capanni o similari, salvo autorizzazione dell’Assessorato competente e previa richiesta della circoscrizione; 5) gli assegnatari di orti siti nello stesso appezzamento di terreno, eleggeranno un responsabile col compito di tenere il coordinamento degli orti stessi e favorire l’impegno degli assegnatari a stabilire tra loro vincoli di amicizia, solidarietà e comprensione; 6) in caso di rinuncia da parte degli assegnatari, il lotto libero verrà assegnato dalle circoscrizioni a coloro che ne abbiano fatto richiesta scritta. Potrà essere in particolare attivata la collaborazione del Sindacato dei Pensionati, dei Comitati Anziani, del Centro J. Kennedy e di altre espressioni di partecipazione esistenti sul territorio; 7) i lotti sono suddivisi in due tipi: - lotti ubicati su aree di non immediato interesse urbanistico e per i quali l’Amministrazione Comunale si impegna a garantire l’utilizzazione in concessione per almeno tre anni tacitamente rinnovabile. Eventuale disdetta dovrà essere comunicata almeno sei mesi prima della scadenza della concessione; - lotti di probabile intervento urbanistico per i quali la durata di assegnazione viene di volta in volta concordata tra assegnatari e Amministrazione Comunale e per i quali la revoca non dovrà comunque arrecare pregiudizio al ciclo produttivo in corso. Resta inteso che le concessioni di appezzamenti non coltivati saranno immediatamente revocate. 6. Conclusioni Si tratta di una proposta qualitativa, di massima, per il progetto specifico occorrerà affidarsi ai tecnici comunali. Potrà comunque essere una occasione favorevole per riflettere sull’assetto territoriale del XIX Municipio che prevede i parchi cittadini dell’Insugherata e di Casal del Marmo. Ma i parchi spesso finiscono per diventare solo occasioni di spesa per la loro manutenzione. Se non vengono “vissuti”, frequentati, se il cittadino non li sente propri si trasformano o in musei naturalistici, se ben curati, o in ammassi di rovi e canne se i fondi pubblici vengono destinati ad altre, più pressanti, esigenze della popolazione. La proposta che riguarda il Fosso di Santo Spirito potrebbe essere estesa ai Parchi di cui sopra, riguarderebbe l’assegnazione di piccoli appezzamenti di terreno con l’obbligo, per gli ortisti, della manutenzione dei parchi stessi.



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Conclusione

I dati di cui disponiamo rivelano che il numero delle persone anziane aumenta di giorno in giorno, in linea con il migliorato benessere, le cure mediche ecc. La città di Roma conta oggi circa 500.000 persone over 65 e, all’attuale trend di accrescimento, nel 2030 gli ultra 65enni rappresenteranno oltre il 40% dell’intera popolazione cittadina. Sebbene una fascia di anziani, soprattutto quella alta (over 75) abbia problemi di salute e di autosufficienza, la maggior parte è costituita da persone vitali e attive. Ma secondo l’opinione corrente, veicolata dal pensiero comune soprattutto nelle società industriali e post-industriali, l’anziano è un residuato del mondo della produzione, materiale di scarto che non produce e nello stesso tempo consuma, tanto da spingere la de Beauvoir ad affermare (…) “gli ideologi hanno forgiato miti(…) che incitano l’adulto a vedere nell’anziano un altro: il saggio venerabile che domina dall’alto il mondo terrestre o il vecchio folle e stravagante” . Si tratta evidentemente di una provocazione, anche se i modelli che la società oggi propone tendono a scartare tutto ciò che appare inutile, in quanto non più produttivo o concorrenziale . Un’età da negare o da nascondere? Certo è che se lo si considera, semplificando, dal punto di vista del trinomio produzione, profitto, consumo, l’anziano appare fuori gioco, almeno in apparenza, in quanto non più generatore di profitto e quindi solo fruitore delle risorse della collettività. In questo senso sarebbe un “problema”. Forse lo si risolverebbe guardando a questa fase della vita secondo una prospettiva, più umana, in cui le persone vengono considerate risorse non riducibili a formule economiche. Nel breve excursus storico-antropologico si è cercato di evidenziare come la figura dell’anziano abbia attraversato i tempi con alterna fortuna e che, in definitiva, questa sia dipesa dai valori che nelle varie epoche ogni comunità ha strutturato. Si è visto come andare in pensione, invecchiare, significhi, secondo l’opinione comune, perdere capacità fisiche e mentali: è un fatto noto. Certamente lasciare il lavoro è una perdita anche di relazioni umane, di affetti, di considerazione, di possibilità di confronto, di partecipazione al raggiungimento di obiettivi comuni, di contatti con le altre generazioni; i risultati possono essere la solitudine e soprattutto il senso di vuoto di un’esistenza che è diventata improvvisamente inutile, o viene percepita come tale. Dopo una vita attiva, il pensionamento può diventare non il tempo liberato dalla routine del lavoro quotidiano, dalla fatica, quanto piuttosto il tempo del nulla, dell’attesa del passaggio naturale a miglior vita. Attraverso i pochi cenni di storia della medicina della vecchiaia, al di là dei vari rimedi di tipo farmacologico descritti, si è cercato di chiarire che, da antica data, uno dei rimedi contro l’invecchiamento è il movimento fisico, oltre naturalmente l’attività in generale, la partecipazione agli eventi della vita sociale, la disponibilità al nuovo, il sentirsi utili agli altri. Insomma la life satisfaction sarebbe il motore che permette il trascorrere l’ultimo segmento della propria esistenza in maniera gratificante per sé e utile agli altri. Tutto ciò sollecita la fantasia di chi, a vario titolo, si interessa di educazione. Molto probabilmente occorrerà educare la società alla accettazione pacifica della terza età come una delle tappe dell’esistenza umana con i suoi limiti e con tutte le sue potenzialità. Soprattutto educare il singolo alla accettazione delle inevitabili modificazione del proprio fisico e della propria mente (non si possono pretendere prestazioni superlative ma, di solito non vengono compromesse quelle medie abituali). In particolare sarà necessario stimolare la capacità di presa in carico di se stesso, di partecipazione e del sentirsi utile anche attraverso il fare. Numerose iniziative sono state messe in campo dalle amministrazioni; sono sorte molte sigle di volontariato, associazioni varie nelle quali l’anziano dà ciò che può e in cambio riceve ciò che gli altri possono dargli. In questo quadro si inserisce il discorso sugli orti urbani. Essi non sono considerati la panacea di tutti i mali della vecchiaia, ma una fra le tante attività che possono rendere questa parte della vita ancora produttiva, attivare momenti di socializzazione e collaborazione, soprattutto, con le giovani generazioni. Ciò potrebbe contribuire a togliere l’anziano dall’isolamento nel quale può trovarsi, confinato in un ruolo che la società tende ad attribuirgli o nel quale, più o meno consenziente, gioca l’ultima parte della sua esistenza. Il progetto di massima, descritto in precedenza, per l’impiego a orti urbani di un’area inutilizzata nella zona Nord di Roma, verrà presentato alla Commissione per la gestione del territorio del XIX Municipio. Sono stati presi contatti in questo senso. Il suo accoglimento, seppure nelle linee generali, potrebbe regolamentare una situazione di fatto e agire nella giusta direzione per quel che riguarda numerosi anziani, l’impiego di parte del loro tempo libero in attività salutari , lo stare insieme tra persone di età diverse e le scuole della zona attraverso i previsti laboratori all’aperto. Tutto ciò a costo zero.


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A l l e g a t i

1 ) Laboratorio di progettazione con i ragazzi di Ponte a Greve.
2 ) Proposta di utilizzo della tenuta di Tor Marancia nel parco regionale dell’Appia Antica.
Scuola media Piero della Francesca
Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti
Unione Europea - Progetto Socrates-Comenius
Laboratorio di progettazione con i ragazzi di Ponte a Greve
Durante l'anno scolastico 1995-96 la classe 2A della scuola media Piero della Francesca di Firenze ha partecipato ad un laboratorio di progettazione sul territorio di Ponte a Greve. Queste pagine sono il racconto di quella esperienza! Questo laboratorio è nato dal'incontro fra i programmi didattici della scuola media Piero della Francesca ed il lavoro di progettazione partecipata del quartiere 4 di Firenze (il quartiere in cui la scuola si trova), condotto dal Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti dell'Università di Firenze. Un incontro fortunato che ha permesso ai ragazzi della scuola di fare un'interessante nuova avventura ed al Laboratorio di Progettazione Ecologica di imparare qualcosa sulla città a misura di bambino. Il laboratorio è stato condotto in tre fasi distinte che hanno occupato la classe per oltre cinque mesi. Nell'illustrarlo in queste pagine manteniamo questa suddivisione, facendola precedere da una breve premessa. • Chi siamo • Presentazione • 1° Fase: La conoscenza del luogo • 2° Fase: L'avvicinamento al progetto • 3° Fase: Il progetto e la sua comunicazione Se volete contattare la Scuola Piero della Francesca potete farlo rivolgendovi a: Scuola Media Statale Piero della Francesca via Bugiardini 25, 50142 Firenze Tel. 39/(0)55/7320404 Fax. 39/(0)55/7322380 E-mail pier@didonet.it Queste pagine sono state allestite da Iacopo Zetti Jzetti@geo.unifi.it ed aggiornate nel Novembre 1996

Gruppo di lavoro della scuola media Piero della Francesca: Classe IIA Davide Giorgi, Jordan Pierguidi, Nicola Favilli, Ketty Margheri, Daniele Zuccalà, Veronica Carusone, Sandro Scani, Marco Meucci, Stefano Chianucci, Christian Curcio, Veronica Mereu, Giada Naldini, Emanuela Cannetti. Prof.ssa Lucia Baldini, Prof. Vincenzo Mordini. Preside Maria Rosaria Bortolone Gruppo di lavoro del Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti: Prof. Giancarlo Paba, Arch. Mariantonietta Davoli, Arch. Anna Lisa Pecoriello, Arch. Iacopo Zetti. br> PRESENTAZIONE Maria Rosaria Bortolone Farina Giancarlo Paba Lucia Baldini Vincenzo MordiniDaniele Christian Davide Nicola Jordan Veronica Stefano Emanuela Ketty Marco Veronica
La scuola media 'Piero della Francesca' vive in una zona particolarmente difficile della periferia urbana, dove i problemi crescenti di marginalità sociale, le situazioni di disagio e di solitudine delle famiglie e dei ragazzi, la presenza di altre culture ed etnie richiedono uno sforzo di progettualità e l'insieme di molte risorse per poter rispondere ad una complessa domanda formativa. Eppure, in questi anni, con l'impiego di creatività e con l'integrazione delle risorse di un territorio ricco non solo di problemi ma anche di solidarietà e di desiderio di cambiamento, la scuola ha cercato di offrire ai ragazzi un servizio qualitativamente alto, in cui l'accoglienza e la socializzazione fossero anche strumenti per l'acquisizione del sapere e del saper fare. Ed in questo difficile ma stimolante percorso sono state compiute alcune scelte educative che ispirano il Progetto d'Istituto. L'Educazione alla città, la riappropriazione dello spazio urbano, l'acquisizione del senso di appartenenza "finalizzato alla progettazione del futuro della città" sono, insieme all'Educazione alla pace ed alla valorizzazione delle diversità, continuamente presenti nel nostro lavoro educativo e didattico. Siamo grati al Prof. G. Paba ed ai suoi collaboratori per averci voluto offrire la possibilità di una occasione straordinaria come questa. La loro competenza e la loro disponibilità nel rapporto con i ragazzi e con gli insegnanti hanno permesso alla scuola di arricchirsi di una esperienza preziosa, che ci consente di riflettere anche sul nostro modo di fare scuola. Presentiamo questo lavoro come Progetto educativo Europeo all'interno di un programma Cornelius, pensando che una città a misura di bambino e di ragazzi possa essere una città vivibile per tutti e consapevoli che la cittadinanza europea si costruisce anche a partire dal conoscere, vivere e progettare il futuro dei nostri spazi e tempi di vita. Lo offriamo alla città come contributo della periferia. E ringraziamo i ragazzi che nella ricerca hanno indicato la scuola come "luogo del cuore". Maria Rosaria Bortolone Farina
Il lavoro che viene qui presentato fa parte delle attività del Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti della Facoltà di Architettura di Firenze. E' situato all'interno di un lavoro più largo di riprogettazione dei rioni di San Bartolo a Cintoia, Argingrosso e San Lorenzo a Greve condotto attraverso convenzioni di ricerca tra Università, Consiglio di Quartiere 4 e Comune di Firenze. Il nostro metodo di lavoro è fondato sulla partecipazione degli abitanti alla conoscenza ed al progetto della città: coinvolgimento delle associazioni, delle organizzazioni di base, del volontariato, dei semplici cittadini. Nella Scuola Media Piero della Francesca, grazie alla collaborazione preziosa della preside e dei docenti, abbiamo voluto compiere un'ulteriore verifica del lavoro di progettazione partecipata del quartiere. Il gioco costruttivo dei ragazzi ci è servito soprattutto per precisare i bisogni della zona di Ponte a Greve relativamente agli spazi verdi, alla funzione dei territori inedificati e dei brani residui di natura, all'organizzazione degli spazi di gioco e di tempo libero, alle funzioni ed alle possibilità di uso collettivo del fiume Greve. Abbiamo seguito un metodo di lavoro ormai consolidato (in particolare quello messo a punto da Luciana Lepore e Lorenzo Ray per il WWF) arricchito ed ampliato dalla creatività di Mariantonietta Davoli, Anna Lisa Pecoriello e Iacopo Zetti (che hanno gestito le diverse fasi del lavoro) e reso ancora più vivo e fantasioso dall'improvvisazione dei ragazzi e dalla competenza degli insegnanti. Alla fine di questo lavoro abbiamo ora due speranze: che l'esperienza didattica possa continuare in forme nuove anche nel futuro; che i progetti dei ragazzi (ed anche quelli dei grandi che abbiamo disegnato per tutto il quartiere) possano realizzarsi, almeno in parte, come frutto del rapporto di collaborazione tra Università e Comune di Firenze. Giancarlo Paba
Questa occasione didattica, secondo me, ha offerto agli alunni tre fondamentali opportunità: quella di farli sentire direttamente promotori di un progetto reale; quella di dar loro la fiducia che come cittadini possono interagire con il loro ambiente ed esprimere i loro bisogni; quella, infine, di considerare la scuola non come un luogo di studi astratti ma come strumento di indagine e riflessione concreta personale e collettiva. Auguro alla scuola di ripetere questa esperienza che ritengo si sia avvalsa oltre che di un'ottima metodologia (imparare facendo), di esperti motivati e qualificati. Lucia Baldini
Le capacità ed i mezzi di operatori dell'università. La professionalità e la disponibilità degli insegnanti degli alunni. Ecco una scuola coinvolgente e produttiva che attiva la dinamica cerebrale di alunni e docenti. Vincenzo Mordini
Daniele Il lavoro svolto è stato un divertimento, perchè come classe abbiamo creato dei lavori molto belli grazie alla collaborazione degli esperti. Il mio giudizio è che questa attività è riuscita a farci lavorare insieme per qualcosa di utile.
Christian Se dovessi dare un giudizio di questa iniziativa darei un bel 10 e lode. E' stata anche un'occasione per stare insieme. MI (e credo anche ci) ha aiutato a capire come dovrebbero andare le cose in tutto il mondo.
Davide Avanti con colla, trincetti e cartone per progettare un nuovo Ponte a Greve. Questo ci hanno detto gli architetti e noi... ci siamo messi al lavoro.
Nicola Queste lezioni fatte con gli architetti sono state molto educative ma anche molto divertenti grazie alla ricerca e alla costruzione del materiale necessario.
Jordan Il lavoro è stato molto interessante e facile da comprendere. Non solo le uscite per indagare cosa deve cambiare a Ponte a Greve ma anche le spiegazioni in classe. Il progetto è molto semplice ma anche molto serio nell'accertare i problemi che ci sono nel rione. Tutto è proceduto bene. Il lavoro ci ha aiutati a distinguere i grandi e piccoli problemi del nostro quartiere. Siamo riusciti a lavorare in diversi gruppi ma uniti tra noi per qualcosa di utile.
Veronica Questo progetto sul quartiere è stato molto interessante, perchè abbiamo imparato a costruire plastici ed a conoscere come è fatto un quartiere.
Stefano Credo che il lavoro svolto con gli architetti su Ponte a Greve sia stato educativo per noi perchè ci ha fatto conoscere molti aspetti positivi e negativi di questo quartiere e perchè insieme abbiamo fatto molti progetti per renderlo migliore.
Emanuela E' stato un lavoro molto interessante perchè mi ha fatto capire meglio quali erano i problemi del nostro quartiere e come potevano essere risolti.
Ketty Per me questo lavoro è stato molto interessante perchè mi ha insegnato a progettare e a conoscere meglio Ponte a Greve.
Marco A scuola si sono fatti dei lavori con gli architetti nominati dal Comune per progettare dei miglioramenti su Ponte a Greve, per me questo è stato importante.
Veronica Il tempo che abbiamo passato e le cose che abbiamo fatto insieme agli architetti ci ha dato l'opportunità di cambiare in meglio la Greve (se le approveranno) e di sentire le opinioni dei cittadini; il mio giudizio su tutto questo è che a noi tutti ha dato molta soddisfazione e ci ha permesso di lavorare insieme a esperti qualificati.

1° FASE: LA CONOSCENZA DEL LUOGO La prima fase del lavoro è stata dedicata ad una analisi approfondita della zona, ma anche di tempi, modi, spazi di vita degli abitanti e degli studenti stessi. Le domande che ci hanno guidato sono state "com'è questo quartiere", ma anche "come vivo io nella zona, quali gli spazi che utilizzo, come e perchè e sopratutto quali i luoghi che amo". Gli argomenti che abbiamo trattato possono essere sintetizzati così: • Primi esercizi di rappresentazione dello spazio • Dalla conoscenza oggettiva alla conoscenza soggettiva • Indagine sugli orti urbani • Inchiesta sulle abitazioni e sulla qualità della vita nel rione 2° FASE: L'AVVICINAMENTO AL PROGETTO Nella seconda fase abbiamo cercato di rappresentare le prime idee utili per un progetto della zona di Ponte a Greve, di definire un'area più limitata su cui concentrere il nostro lavoro e di analizzarla nei suoi vari aspetti. Gli argomenti che abbiamo trattato possono essere sintetizzati così: • I collages su foto • Scelta dell'area progettuale • Le carte dei sensi 3° FASE: IL PROGETTO E LA SUA COMUNICAZIONE In questa fase ci siamo preoccupati di suddividere l'area prescelta in più aree tematiche, di avanzare alcune proposte per ogni area e, dopo una verifica con gli abitanti della zona, di sviluppare queste idee e di rappresentarle per preparare una mostra finale. Questi gli argomenti della terza e ultima fase: • Le prime idee progettuali • Tre aree tematiche • La proposta finale LE PRIME IDEE PROGETTUALI Per prima cosa abbiamo individuato tre aree tematiche, tre aree che sono diventati progetti specifici per tre gruppi di lavoro: il gruppo ARGINE, il gruppo RINATURALIZZAZIONE, il gruppo CAMPO DEL CAMMELLI. Successivamente le proposte sono state discusse una per una in classe, anche per valutarne la realizzabilità e poi messe a confronto con le opinioni degli abitanti, interrogati tramite un questionario. I ragazzi hanno così dovuto tenere conto delle esigenze degli abitanti appartenenti ad altre fasce d'età e cercare una mediazione. Le persone intervistate temevano in particolar modo la confusione che alcune attività ricreative proposte avrebbero potuto provocare. INDAGINE SUGLI ORTI URBANI La ricerca sugli orti urbani nel quartiere di Ponte a Greve - Mantignano - Ugnano è stata condotta dagli alunni, guidati dal prof. Vincenzo Mordini, che si sono serviti di un questionario elaborato in classe. Ogni alunno ha individuato l'orto ed il suo conduttore, lo ha intervistato ed ha acquisito dati prefissati, autogestendosi i tempi, i modi e superando le difficoltà che gli si ponevano di fronte, non ultima una certa diffidenza a parlare della proprietà dell'orto, del reperimento dell'acqua per l'irrigazione e dell'uso di presidi fitosanitari. Comunque le risposte hanno fornito un quadro interessante, capace di far intravedere la realtà degli orti urbani nella periferia di una grande città. I dati meglio evidenziati sono i seguenti: a) la superficie media di un orto familiare è inferiore a 300 Mq (per orto familiare si intende un insieme di colture finalizzate solo all'autoconsumo) Gli orti più grandi di 1000 Mq producono anche per la vendita. b) l'età media dei conduttori è di 63 - 64 anni. c) ogni settimana in periodo primaverile ed estivo un orto urbano familiare richiede 16 ore di lavoro. d) le produzioni dell'orto coprono in media il 60% del fabbisogno familiare di ortaggi, portando una significativa riduzione delle spese alimentari. e) è molto diffusa la pratica del compostaggio anche per la presenza di animali da cortile il cui letame non potrebbe essere trattato diversamente. Solo gli orti più grandi di 1000 Mq dichiarano l'uso di concimi chimici ed antiparassitari. f) i cacciatori devono spesso ricorrere a un pezzo di terra marginale per tenere i loro cani che altrimenti disturbano se tenuti presso le abitazioni. g) tutti dichiarano che è importante dare un aspetto decoroso all'orto in generale e in particolare al ricovero degli attrezzi e degli animali ma nei fatti le costruzioni e le recinzioni sono poco curate. h) l'acqua per l'irrigazione solo in un caso dichiarato proviene dell'acquedotto. i) i furti sono frequenti negli orti lontani dalle abitazioni. l) tutti dichiarano di fare gli orti su terreni di proprietà o in affitto. I dati rilevati sono anche stati sintetizzati in una grande tabella di cui qui riportiamo un estratto. Indirizzo Borgo dei Galli Via Bugiardini Via Fagna 23 Via Ugnano Via del Ferrale 6 Viuzzo del chiuso Dimensione 1000 mq. 900 mq. 300 mq. 300 mq. 700 mq. 60 mq. Nome, professione, età del conduttore Gino, pensionato, 72 anni Dante, pensionato, 84 anni Attila, agricoltore, 81 anni Renato, pensionato, 71 anni Pietro, pensionato, 70 anni Giuliano, pensionato, 51 anni Motivazioni che spingono a fare l'orto Svago Consumo familiare, svago Svago e passione Svago, piacere Consumo familiare e svago Hobby, consumo familiare Ore dedicate all'orto alla settimana 42 ore 18 ore 10 ore 12 ore 35 ore 8 ore Produzione, (% del fabbisogno familiare) Ortaggi, 20% Patate, pomodori, piselli, ecc. 90% Cipolle, pomodori, insalata, ecc. 30% Patate, pomodori, cavoli, fragole, 10% Bietola, porri, insalata, ecc. 80% Pomodori, baccelli, cipolle, ecc. 70% Attrezzi usati Zappa e attrezzi semplici Zappa, vanga, rastrello Zappa, vanga, motocoltivatore Zappa, motocoltivatore, forbici Zappa, vanga, motozappa, motocoltivatore Zappa, vanga, rastrello Concimi ed antiparassitari usati Letame Compost ed organici Letame di cani Letame di polli e conigli Concimi organici Presenza di animali da cortile Conigli e polli Galline e conigli Polli 3 cani 20 galline e 60 conigli No Importanza dell'aspetto del ricovero attrezzi Non importante Molto importante Molto importante Molto importante Molto importante Molto importante Forme dell'acquisizione dell'acqua irrigua Pozzo proprio Pozzo proprio e raccolta acqua piovana Pozzo proprio Acqua del torrente a secchi Acquedotto Acquedotto Problemi di furti No No No Furti continui da parte di senzatetto No No Proprietà del terreno Proprio Proprio Proprio Proprio Condominio Condominio LE TRE AREE TEMATICHE Le tre aree sono diventate l'oggetto del lavoro di tre diversi gruppi che con collages, disegni, fotografie, ecc. hanno trasformato, almeno sulla carta, uno spazio oggi solo marginale nel quartiere in un luogo che contiene i sogni ed i desideri per una città a misura di ragazzo. • Il campo del Cammelli • L'argine destro • L'argine sinistro PROPOSTA FINALE Alcuni particolari Queste note conclusive vorrebbero rimediare a tutto quello che non è stato detto, chiedere scusa per tutto quello che non è stato fatto, ringraziare i ragazzi e la scuola per quello che è stato fatto (che comunque è tanto, più di quello che si vede). Probabilmente però è meglio lasciare agli altri il compito di "leggere tra le righe" di questa esperienza: agli adulti di capire la necessità di lasciare alle generazioni future un mondo più pulito, ai ragazzi l'entusiasmo di immaginare e realizzare i loro sogni, agli insegnanti di aprire sempre di più la scuola alla città ed infine agli amministratori, cui questo lavoro è stato presentato in una mostra nella scuola Piero della Francesca, il compito di recepire i bisogni ed i desideri che questi pur ingenui ed incompleti disegni esprimono, trasformando la pianificazione calata dall'alto in una forma di "conversazione" tra diversi attori che potrà restituire agli abitanti la capacità di contribuire allo sviluppo del proprio territorio, alla salvaguardia dell'ambiente, dei valori, delle risorse e delle culture locali.


PROPOSTA DI UTILIZZO DELLA TENUTA DI TOR MARANCIA NEL PARCO REGIONALE DELL’APPIA ANTICA Maggio 2003

Premessa
La proposta del WWF è stata elaborata da alcuni volontari del Gruppo Attivo Roma XI, da anni impegnati nella vicenda. La metodologia di sviluppo del progetto è supportata dalla conoscenza del territorio acquisita negli anni direttamente sul campo, sia tramite le attività delle visite guidate, sia tramite sopralluoghi e approfondimenti svolti in proprio. Essa si avvale dei criteri e dei principi suggeriti dalla normativa sulla V.I.A., e in particolare modo il D.P.C.M. del 27/12/1988 che individua le norme tecniche per la redazione di uno Studio di Impatto Ambientale. La proposta ha avuto una prima stesura nel febbraio del 2002; successivamente, a settembre, è stata aggiornata sulla base delle osservazioni ricevute da Associazioni, Comitati e soprattutto dai cittadini, veri protagonisti della battaglia di Tor Marancia, coinvolti attraverso la distribuzione sul territorio di un apposito questionario, concordato con l’Ente Parco Appia Antica. La versione attuale è stata ulteriormente aggiornata tenendo conto degli importanti avvenimenti intervenuti negli ultimi sei mesi e cioè: 1. L’adozione del Piano di Assetto da parte del Consiglio dell’Ente parco Appia Antica che, dopo aver ricevuto parere favorevole dalla Comunità del Parco è ora in approvazione presso i competenti Uffici della Regione Lazio. Nel Piano la proposta del WWF per Tor Marancia viene sostanzialmente accolta. 2. L’adozione del Piano Regolatore Generale di Roma da parte del Consiglio Comunale e la successiva deliberazione n.91/93 con la quale sono state definite le “compensazioni edificatorie del Comprensorio E1 Tor Marancia, attraverso la ricollocazione delle volumetrie nei Programmi di Trasformazione Urbanistica” in 15 diverse aree all’interno del Comune di Roma. La deliberazione sulle compensazioni, seppur dolorosa, ha aperto la strada all’acquisizione a patrimonio pubblico di tutto il comprensorio di Tor Marancia da parte del Comune. Ma come dovrà avvenire “la trasformazione dell’area in parco pubblico”? Il WWF ritiene che qualsiasi intervento nel comprensorio di Tor Marancia dovrà essere realizzato nel rispetto dei valori dell’area secondo linee guida definite il cui contenuto essenziale viene descritto in questo documento. 3) Introduzione Qualsiasi proposta di piano di utilizzazione dell’area non può prescindere dalla specificità di questo territorio che conserva intatto il paesaggio della Campagna Romana. Ogni paesaggio, in terre di antica antropizzazione come quelle del nostro Paese, può dirsi frutto di una sintesi armonica del contesto ambientale e dell’attività umana; un “territorio costruito” (Bevilacqua in Quiaini 1994), da tutelare e valorizzare tenendo conto dei numerosi percorsi disciplinari che tessono il concetto. Tale compenetrazione di aspetti naturalistici e storico-archeologici emerge in modo preminente nell’ambito di un territorio di così antica e stratificata presenza umana quale quello dell’Agro Romano, modellato dal Vulcano Laziale e dall’idrografia, intensamente sfruttato e frequentato in età imperiale, progressivamente abbandonato nel Medio Evo, segnato dalla pastorizia, dal latifondo e dalla malaria in età moderna, riconquistato alla stabile presenza umana e riscoperto come sede di attività propriamente agricole fra fine Otto e inizio Novecento; infine minacciato ed in parte divorato dall’espansione edilizia della Roma contemporanea. Tutti questi momenti – salvo ovviamente l’ultimo, che si pone come momento semplicemente distruttivo – meritano d’essere tutelati, e lo possono essere al meglio proprio a Tor Marancia, dove l’utilizzazione pastorale ed agricola dell’area sono proseguite fino ad oggi. La fruizione non potrà non tener conto di questa preziosissima specificità, evitando dunque una utilizzazione non rispettosa delle caratteristiche – originarie e come tali insostituibili – del luogo. La battaglia per la tutela di Tor Marancia, infatti, non è stata quella di una semplice area verde, quasi mero vuoto fra il ‘pieno’ dell’edificato circostante, bensì è stata animata dalla convinzione del valore intrinseco dell’area, “uno spazio compatto, senza strade, molto meglio tutelato dell’Appia Antica (La Regina in Repubblica 25 agosto 2001, p. 45) ed è appunto in virtù dei pregi specifici e delle potenzialità dell’area che la Sovrintendenza espresse parere contrario all’edificazione. Ovviamente, in un’area che fra i suoi molti pregi ha proprio quella di una grande ricchezza di testimonianze storico-archeologiche e di una estrema varietà di ambienti, ecosistemi e paesaggi (mutano le caratteristiche naturalistiche, ma mutano anche le modalità di frequentazione antropica), diversa è da zona a zona la fragilità ambientale, diverso l’impatto ambientale dei medesimi comportamenti ed interventi, e diverse quindi saranno le modalità di intervento e utilizzazione. Gli interventi per la fruizione dell’area non dovranno dunque modificare le caratteristiche paesaggistiche dell’area. La procedura d’indagine applicata è caratterizzata, in fase iniziale, dalla descrizione dell’ambiente per individuarne il quadro ambientale: sono quindi stati selezionati degli indicatori ambientali cercando poi di ricomporre i contributi settoriali. A seguito di questa fase introduttiva del lavoro, lo studio da noi effettuato ha tentato di effettuare una: - Composizione del quadro programmatico: individuazione degli obiettivi della proposta di utilizzo e delle aspettative di fruizione della cittadinanza, che troverete descritti nel presente documento. - Individuazione dei vincoli e dei fattori limitanti (vincoli fisico- naturali e vincoli socioeconomici). Da questa analisi con la metodologia “overlay mapping” è nata la proposta di Piano di Fruibilità che troverete evidenziata nella cartografia allegata. 4) Obiettivi Gli obiettivi individuati nella presente proposta si riconducono a quelli previsti dalla legge istitutiva del Parco dell’Appia Antica (l.r. Lazio 10 novembre 1988, n. 66); in particolare richiama l’Art. 1 che richiede che il Parco dovrà essere realizzato e gestito in funzione delle seguenti finalità: •??tutelare i monumenti ed i complessi archeologici, artistici e storici in esso esistenti; •??preservarne e ricostituire l’ambiente naturale e valorizzare le risorse idrogeologiche, botaniche e faunistiche a scopi culturali, didattici e scientifici; •??apprezzare e gestire attrezzature sociali volte a fini culturali e ricreativi compatibili con i caratteri del parco.Inoltre si è fatto riferimento alla legge regionale sui parchi (l. r. 6 ottobre 1997, n. 29 e successive modifiche). Infine si è tentato un raccordo dei contenuti di questo lavoro con quanto previsto dal Piano di Assetto del Parco dell’Appia Antica, attualmente in fase di approvazione presso gli uffici competenti della Regione Lazio. Pertanto è stata individuata una scala di priorità relativamente agli obiettivi, in base alle caratteristiche specifiche della Tenuta di Tor Marancia. In primo luogo si propone la salvaguardia delle risorse naturalistiche presenti e la tutela di tutte le componenti del paesaggio, attualmente identificabili: la conformazione geologica della città di Roma, l’ambiente umido, la vegetazione, la fauna e la stretta relazione fra queste. Il secondo obiettivo è la protezione e la valorizzazione dei monumenti e dei siti di interesse storico-archeologico presenti in questa area. Il terzo obiettivo è quello di permettere una fruibilità sociale di questo ambiente proprio per valorizzarlo e per poterne godere al massimo la comprensione e la lettura, senza alterarne le caratteristiche. Il quarto obiettivo consiste nella connessione dell’area di Tor Marancia con le restanti aree archeologiche del complesso di Massenzio-San Sebastiano e con la Tenuta della Farnesiana. Come si potrà notare, si propone una priorità differente da quella che potrebbe essere indicata da considerazioni derivanti esclusivamente dalla natura archeologico-paesaggistica del vincolo presente su tutta l’area. D’altronde la Tenuta di Tor Marancia, insieme con la Tenuta della Farnesiana, costituisce indiscutibilmente uno dei pochi territori dell’intero Parco dell’Appia caratterizzati da una così estesa naturalità e ricchezza di ecosistemi. È per questo quindi che si suggerisce di privilegiare tale aspetto, senza per questo sottovalutare quello storico-archeologico, peraltro ampiamente predominante nel resto del Parco. 5) - riepilogo delle priorità: 0. Zonizzazione delle aree a maggior rispetto e di quelle dedicate ad ospitare attività compatibili con le caratteristiche dell’area. 1. Tutela e riqualificazione della vegetazione esistente. 2. Salvaguardia dell'habitat per la conservazione della fauna presente 3. Salvaguardia del fosso e delle reti idrografiche 4. Ripristino e valorizzazione dei siti di interesse storico-archeologico esistenti. 5. Creazione di strutture per la manutenzione e la vigilanza 6. Miglioramenti del sistema della viabilità e degli accessi all’area 7. Creazione di attrezzature per la sosta dei visitatori - sintesi degli interventi strutturali 1. Percorsi naturalistici per l'educazione ambientale 2. Percorsi storico artistici, archeologici e geologici 3. Percorso di ciclocross 4. Attrezzature e servizi per le attività sportive 5. Attrezzature e servizi per il gioco dei bambini 6. Spazio orti urbani per gli anziani del quartiere 7. Biblioteca e centro culturale 8. Spazi per mostre, esposizioni e spettacoli 6) Aree a fruibilità differenziata Nella Tenuta vengono proposte aree a fruibilità differenziata, ciascuna individuata nella cartografia elaborata con una diversa colorazione. Tutte le aree valgono in ugual modo proprio per la strettissima interrelazione tra gli elementi suddetti, e le aree colorate configurano l'ambito in esame, non per articolare aree di maggiore o minore valore, ma per differenziarne la fruizione. Innanzitutto devono essere definite, secondo indicazioni della Soprintendenza Archeologica, le aree che saranno oggetto di future indagini di scavo e/o che sono già state indagate, per il riconoscimento di strutture sepolte o sotterranee. Tali zone, che si sovrapporrebbero con un vincolo alle aree con diverse destinazioni d’uso, potrebbero essere indicate come “Ambiti di sviluppo archeologico e di strutture sepolte e sotterranee”, per le quali saranno ammessi solo interventi di sistemazione superficiale che non compromettano le future possibilità di scavo. (vedere pag 15: carta delle aree a fruibilità differenziata) Aree a prevalente valore ambientale: verde Sono le aree più fragili e di maggior pregio dal punto di vista naturalistico, per le quali si prevede una fruizione cosiddetta guidata che soddisfi la domanda di cultura e l’interesse storiconaturalistico del pubblico: sarà consentito il passaggio solo sui sentieri, anche in bicicletta, e la sosta non attrezzata. Inoltre auspicabile in tale settore l’attività di studio e di ricerca. A) FRUIZIONE: Non è possibile su queste aree fare attività del tempo libero (es. pic-nic, rappresentazioni, competizioni sportive), condurre cani se non al guinzaglio e altri animali domestici. Discorso a parte per l’attività di “orienteering”, che potrebbe, a determinate condizioni, riguardare anche questa parte: utilizzo di sentieri esistenti e definiti, frequenza delle iniziative e numero di partecipanti limitato (es 1 o 2 classi di studenti), effettive garanzie di controllo, ecc. Le attività agricole e pastorali dovrebbero essere escluse da quest’area per permettere la conservazione e l’evoluzione delle caratteristiche naturali. B) SISTEMAZIONE: Eventuali interventi di sistemazione si limiteranno alla pulizia dei sentieri,senza allargarli e senza aggiunta di materiali (come ad esempio bordure di pietre dei sentieri), alla bonifica dai rifiuti visibili dei fossi, di cui però non si toccherà la vegetazione. Si potrà procedere alla pulizia dalla vegetazione dei ponti in muratura attualmente esistenti, in quanto probabilmente d’età romana; non si potrà intervenire con la costruzione di ulteriori attraversamenti dei fossi salvo che con strutture in legno ottenute con tronchi; da prevedere operazioni di messa in sicurezza di alcuni pioppi pericolanti nel pioppeto, e la reintroduzione di esemplari autoctoni (Populus nigra). Vanno poi previsti interventi di restauro della rete idrografica, finalizzati al ripristino della sezione degli alvei e di ripristino di aree umide perenni. Si potrebbe prendere in considerazione l’introduzione di specie non esistenti nell’area del Parco ma presenti storicamente lungo i fossi della Campagna Romana, come l’ontano (Alnus glutinosa). Si eviterà ogni altro intervento che snaturi l’aspetto del luogo, tipo sistemazione di panchine, pergole, cestino, ecc. Dovrebbe essere favorito il rimboschimento della collina centrale fra i due fossi (alla cui base è stata individuata una possibile struttura funeraria ipogea), utilizzando essenze ed esemplari provenienti dall’area stessa e compatibili con le potenzialità evolutive della vegetazione: il querceto misto. A tale scopo si eviterà lo sfruttamento a pascolo. 7) Per la fauna, oltre ad attraversamenti su recinzioni, che in realtà andrebbero eliminate, sarebbe opportuno creare dei punti di riproduzione (ad es. stagni temporanei per tritoni e rospi), cassette nido e punti protetti di alimentazione (ad esempio coltivazioni a perdere di specie appetite dalla fauna presente e da quella potenziale, come l’istrice). Per le emergenze archeologiche, ogni intervento di tutela e restauro dovrebbe evitare interventi di forte impatto visivo (tipo: erezione di cancellate, disboscamento circostante ecc.). Possibile prevedere la realizzazione di un breve percorso attrezzato per disabili nella parte più panoramica, ovvero il pianoro in prossimità del quartiere “Sogno”. 8) Aree a prevalente valore storico-archeologico: azzurro Si tratta di aree a prevalente valore storico-archeologico che, a nostro avviso, potrebbero essere fruite con attrezzature minime per l’accoglienza, la guida e l’informazione dei visitatori. Ci troviamo in un ambiente particolare, dove l'interrelazione strettissima tra evidenze archeologiche ed elementi naturali non può essere compromessa da attrezzature sportive fisse, o da cosiddette attrezzature di fruizione pesanti, da giochi per bambini che intervengono visivamente sul complesso aspetto paesaggistico di questo ambiente che invece deve mantenere una lettura integra, come tra l’altro prescritto dai vincoli, di tipo archeologico-paesaggistico, presenti su tutto il territorio del Parco Regionale dell’Appia Antica. Questa tipologia di area è stata individuata nella zona delle cave di epoca romana. A) FRUIZIONE: varrebbero in tali zone le stesse tipologie di fruizione e limitazioni previste per le aree a prevalente valore ambientale, indicate in verde. Si propongono però alcune eccezioni. La prima riguarda le attività sportive organizzate. Prima di entrare nel merito, si fa notare che, nel proporre l’utilizzazione di carattere sportivo, si è preso spunto da modalità d’uso già sviluppatesi spontaneamente fra i cittadini nel corso degli anni. In ogni caso tali impieghi, almeno nelle attuali modalità di svolgimento, sono ritenuti compatibili con le caratteristiche ambientali dell’area e con le emergenze monumentali presenti, giacché le attività sportive si atterrebbero ai sentieri esistenti. In particolare le attività consentite sarebbero: - organizzazione di eventi sportivi non agonistici, di tipo podistico e ciclocross, con frequenza limitata nel corso dell’anno (attualmente 1 volta l’anno nel mese di gennaio), proposte da associazioni organizzate e previa autorizzazione del Parco, che comunque utilizzino tracciati già esistenti ed opportunamente scelti. - Ormai da alcuni anni un gruppo organizzato di appassionati di tiro con l’arco, residenti nei quartieri limitrofi, utilizza una piccola porzione della valletta al centro delle cave. Si ritiene che tale tipo di attività sportiva possa continuare ad essere praticata, con la dovuta regolamentazione, e con una appropriata collocazione dei bersagli, in quanto compatibile con le caratteristiche naturalistiche e geologiche dell’area. Tra l’altro la presenza di questi sportivi ha costituito in questi anni, e potrebbe continuare ad esserlo in futuro, una sorta di presidio e controllo. Inoltre nel pianoro esterno delle cave, verso via G. A. Sartorio, sarebbe auspicabile incoraggiare la pratica del pascolo. Infatti sono state localizzate in tale luogo diverse stazioni di orchidee spontanee. Queste crescono solo associate a cotiche erbose stabili, preferiscono i terreni poveri e temono la competizione con le graminacee e con le serie di piante che portano all’evoluzione della vegetazione verso il bosco. Lo sfalcio dell’erba, in opportuni periodi, o il pascolo aiutano moltissimo lo sviluppo delle orchidee. B) SISTEMAZIONE: non si interverrà se non con interventi di pulizia e manutenzione dei sentieri, come nell’area a tutela orientata. Sarebbe auspicabile la graduale eliminazione delle specie vegetali esotiche ed infestanti di robinia (Robinia pseudoacacia) ed ailanto (Ailanthus altissima) e la loro progressiva sostituzione con specie autoctone. Per la tutela delle emergenze archeologiche, ogni intervento di restauro dovrebbe evitare interventi di forte impatto visivo (tipo: erezione di cancellate, disboscamento circostante ecc.): si consiglia di limitarsi ad istituire staccionate di legno. 9) Aree a prevalente uso agricolo: marrone Le pratiche agricole, che sempre sono state presenti in questo territorio, a nostro avviso devono rimanere come testimonianza storica di una presenza dell'uomo che risale a tempi antichissimi. per la fruizione del paesaggio agricolo storico Naturalmente l'agricoltura deve essere complessivamente compatibile con il parco e con un'immagine paesaggistica adeguata; andranno quindi praticate solo quelle colture previste nel Piano di Assetto del Parco dell’Appia Antica, e nelle modalità nello stesso indicate. Le aree individuate sono quelle sulle quali esiste ancora una parvenza di attività agricola (coltivazione o pascolo). A) FRUIZIONE: sono aree destinate alla conservazione e valorizzazione del paesaggio agricolo storico, nelle quali sarà consentito l’accesso al pubblico e la sosta non attrezzata, solo nei periodi in cui ciò non intralci l’attività agricola della tenuta; invece sempre libero il passaggio lungo i sentieri individuati dal piano. Divieto di pic-nic; divieto di condurre cani se non al guinzaglio e altri animali domestici; divieto di praticare attività sportive. Saranno quindi incoraggiate le attività agricole e pastorali. B) SISTEMAZIONE: non si interverrà se non con operazioni di pulizia e manutenzione dei sentieri, come nell’area a tutela orientata. Si auspica la conservazione delle attuali attività agricole, anche prevedendo l’affitto dell’area ai contadini già presenti. Possibili interventi di integrazione con filoni di siepi. Nei casali localizzati in queste aree (via dei Numisi e collina di piazza Lante, come indicati nella planimetria indicata) si potranno istituire punti vendita dei prodotti agricoli e attrezzature “leggere” per il ristoro, in coerenza con un’utilizzazione che vede la Tenuta come meta di scampagnate, nelle aree a questo riservate, e nel rispetto dell’uso attuale. Per le emergenze archeologiche, anche in queste zone presenti, ogni intervento di tutela e restauro dovrebbe evitare interventi di forte impatto visivo (tipo: erezione di cancellate, disboscamento circostante ecc.). 10) Area per orti urbani: viola Gli orti urbani costituiscono una realtà di utilizzo del territorio totalmente spontanea, con risvolti sociali meritevoli di considerazione. Si produce per autoconsumo, spesso introducendo specie vegetali completamente estranee all’area romana come bambù, fichi d’India (Opuntia) e recintando gli appezzamenti con materiale di recupero che hanno comportato un degrado delle aree stesse. Da non sottovalutare, oltre al danno estetico, i problemi igienico-sanitari legati all’uso di antiparassitari e diserbanti in aree peraltro vicinissime all’abitato. Pertanto si pone la necessità, da un lato di recuperare socialmente persone che tendono ad escludersi dalla vita della città e che, in molti casi, trovano nell’attività agricola non solo un passatempo ma un modus vivendi; dall’altro la collocazione degli orti in aree più idonee e l’introduzione di una sorta di regolamento che tenga conto delle esigenze di carattere estetico (ad es. introduzione di barriere vegetali per dividere gli appezzamenti), igienico sanitario (creazione di una rete idrica per irrigazione) etc… Per quanto riguarda la situazione specifica nell’area di Tor Marancia bisogna innanzi tutto precisare che l’introduzione degli orti avviene in una fase molto anteriore a quella relativa ad altre aree del Parco dell’Appia Antica. Piccoli giardini ed orti caratterizzavano la borgata “Shanghai” sin dagli anni ’30, poi demolita nel 1948, per costruire le attuali case popolari. Le aree al presente utilizzate da orti “spontanei” sono collocate nel cuore dell’area naturalisticamente più sensibile della Tenuta (lungo il fosso, vicino ad una sorgente). Si renderebbe quindi necessario lo spostamento di questi impianti, lasciando finalmente libera alla fauna dell’ambiente ripariale la zona attualmente occupata. Le operazioni di bonifica di tali terreni (sono presenti residui di demolizioni avvenute negli anni ’80 completamente ricoperti da rovi), dovrebbero avvenire molto accuratamente, in modo da non far sparire improvvisamente importanti siti di rifugio della fauna selvatica. L’intervento potrebbe ad esempio essere attuato durante il periodo invernale ed avvenire in più stagioni. A) FRUIZIONE: consentita la coltivazione di piccoli appezzamenti secondo modalità già in uso in altri luoghi, che escludano il ricorso a prodotti chimici tossici (fertilizzanti, pesticidi, …), da parte di anziani o altre persone del quartiere interessate. Lo spazio individuato, dal basso o inesistente impatto paesaggistico, potrebbe inoltre suggerire spunti didattici per le scuole elementari limitrofe, e i “contadini urbani” potrebbero eventualmente accompagnare insegnanti e studenti alla scoperta di frutti e ortaggi di stagione. Esperienze già realizzate in altre città italiane (es.Torino) ed all’estero (“Club House”) possono aiutare a risolvere la realizzazione concreta di questa proposta. B) SISTEMAZIONE: Nella futura area destinata ad “orto urbano”, sarebbero ovviamente vietate strutture “di fortuna” (reti di metallo, bandoni, porte, …). La delimitazione sarebbe quindi assicurata da idonee siepi, prive di recinzioni. Inoltre i vari utilizzatori dovrebbero essere forniti di un unico spazio comune per la custodia degli attrezzi. L’individuazione di una idonea area alternativa non può prescindere dall’esigenza fondamentale della vicinanza alla risorsa idrica. Tale scopo potrebbe essere raggiunto destinando a tale utilizzo la fascia prossima al punto in cui avviene l’intubamento del fosso, sotto i palazzi dietro piazza Lotto e dotando lo spazio riservato di una fontanella pubblica: gli orti potrebbero utilizzare l’acqua di scolo della fontanella, attraverso semplici canalizzazioni o altri sistemi che evitino il ristagno dell’acqua. 11) Aree a verde attrezzato. 1. GIALLO: verde pubblico La dotazione di verde urbano direttamente fruibile dai cittadini può essere vista come un indicatore della qualità della vita in ambito urbano. Sono le aree che rispondono all’esigenza più immediata di verde per il tempo libero e lo svago. Tali aree sono fruibili con una modalità più libera. In particolare sono state individuate almeno n° 4 aree in prossimità agli abitati esistenti, in analogia a quanto realizzato altrove all’interno del Parco dell’Appia Antica: Via Latina, Via Lemonia, Parco Scott, Parco di Tor Fiscale. Si tratta di aree in prossimità della viabilità principale, di superfici limitate e poste in modo da non interferire con i valori propri della Tenuta. Le aree proposte a tale scopo all’interno della Tenuta sono: - La fascia bassa della collina intorno alla centrale elettrica dietro piazza F. M. Lante. Sembra che in quest’area, negli anni ’70 – ’80, vi fosse uno spazio utilizzato spontaneamente dai ragazzi del quartiere come campo da calcio. - una porzione di “terrazza” in prossimità del comprensorio “Il Sogno”, che dovrebbe fungere anche da “cucitura” rispetto all’impatto visivo che tale quartiere ha sul paesaggio. Il Casale di Viale Londra potrebbe essere utilizzato come “Casa del Parco”: un centro per attività sociali e ricreative a gestione pubblica (Ente Parco, Municipio Roma XI, ecc) - Area del Parco di Forte Ardeatino: su sollecitazione di un Comitato cittadino (cui ha aderito anche il WWF) il Comune di Roma ha recentemente previsto un finanziamento al fine di avviare il recupero dell’area e realizzare un parco attrezzato. - La piccola pineta in prossimità di via V. Carpaccio, che potrebbe attrezzata con strutture per la sosta (es tavoli da pic-nic, cestini, fontanella) tipo quelle presenti nella tristemente nota pineta di Ostia. Quest’area potrebbe essere resa disponibile in occasioni particolari (Pasquetta, 25 aprile,1 maggio) o su richiesta (iniziative proposte dall’Ente di gestione del Parco o da altre associazioni del Municipio). Infatti la difficoltà di attraversamento delle strade che la separano dal tessuto urbano porterebbe a sconsigliarne un uso quotidiano. Inoltre si ricorda che è stata recentemente inaugurata la “Città dello Sport” lungo Via Sartorio (area ex OMI) , la presenza di questo importante Centro Sportivo esclude la necessità di reperire nell’area altro spazio per realizzare grandi infrastrutture. Infine si segnala che alcune aree a verde pubblico, immediatamente fuori della Tenuta (Via Ravà – Casalinuovo), potrebbero essere utilizzate per soddisfare la richiesta di spazi ricreativi, senza sottrarre aree di pregio ambientale agli ecosistemi della Tenuta. Tali aree potrebbero essere riqualificate contestualmente, dato il loro attuale stato di degrado (cfrt. monitoraggi WWF delle aree verdi Municipio Roma XI dal 1997 al 2001), rispondendo così alla domanda di spazi idonei da parte della cittadinanza. A) FRUIZIONE: passeggio, pic-nic, attività sportive, feste pubbliche, incontri, concerti, collocazione di stands temporanei … B) SISTEMAZIONE: a verde pubblico. L'attrezzatura prevista è quindi quella per attività del tempo libero: attrezzature giochi, percorsi fitness, strutture e punti per la sosta arricchiti con vegetazione, cestini, pavimentazione di percorsi in alcune parti, ecc. Gli impianti collocati non determinerebbero disturbo delle visuali paesaggistiche dell’area, ma dovrebbero costituire un elemento di attenuazione dell’impatto visivo della edificazione massiccia dei quartieri limitrofi, venendo così a svolgere una funzione di “filtro”, simile ad una zona di pre-parco. Da escludere la possibilità di illuminazione notturna per evitare il disturbo della fauna selvatica. 12) 2. ARANCIONE: aree per cani L’interferenza di un cane con gli aspetti naturalistici di un area protetta (marcatura del territorio,scavi nel terreno e scavo di tane, disturbo dei nidi di uccelli, ecc.), con tutto il bene che si può volere a questi simpatici amici dell’uomo, può essere anche rilevante se questo tipo di fruizione non viene regolamentata e controllata. È per questo che nelle riserve naturali, come il Parco Regionale dell’Appia Antica, vige l’obbligo di condurre i cani al guinzaglio. Tra l’altro il valore naturalistico dell’area di Tor Marancia è tra i più elevati dell’intero Parco. Tuttavia è pur vero che attualmente nel Municipio Roma XI le aree riservate ai cani sono solo tre: - Via A. Leonori (Cristoforo Colombo) - Largo Giovannipoli (Garbatella) - Via A. Agiati (Cristoforo Colombo) L’oggettiva carenza di idonee aree attrezzate all’interno del tessuto urbano, suggerisce dunque di dedicare alcuni piccoli spazi a questo tipo di fruizione, d’altronde già abbondantemente in atto nella Tenuta. L’opportunità di pianificare le aree per cani è condivisa dalla grande maggioranza dei cittadini interpellati attraverso il questionario citato nella premessa. In particolare: 1. area presso via Sartorio, ove diversi proprietari si sono da tempo organizzati creando un punto sosta attrezzato con mezzi di fortuna (sedie, panchine e recinzioni). 2. area di fondovalle tra i quartieri “Sogno” e “Rinnovamento”, che intercetterebbe almeno in parte la domanda dei quartieri citati. Contestualmente alla legittimazione di questo impiego delle aree descritte, dovrebbe avvenire una analoga sistemazione di alcune aree limitrofe alla Tenuta: in tal modo si offrirebbero alternative differenziate e il “peso” delle frequentazioni canine all’interno del Parco verrebbe considerevolmente ridotto. Ci riferiamo in tal caso alle aree verdi pubbliche di Piazza F. M. Lante, Piazza Lotto, Via Casalinuovo, che tra l’altro avrebbero il vantaggio di essere situate all’interno del tessuto urbano, e per questo più facilmente raggiungibili dai cittadini con il proprio cane. A) FRUIZIONE: aree in cui i cani possono essere condotti e lasciati liberi, con le limitazioni vigenti nelle altre aree dedicate gestite dal Servizio Giardini. B) SISTEMAZIONE: a verde pubblico con delimitazione a norma costituita da siepe doppia di specie vegetali spontanee, compatibili con le caratteristiche naturalistiche del luogo NOTE DI CARATTERE GENERALE A prescindere dalle attività specifiche suggerite per ciascuna zona, indicate nel seguito, sarebbe auspicabile poter estendere a tutto il comprensorio l’attività di fruizione turistica di tipo ambientale, soprattutto nel periodo estivo, quando l’area è più vulnerabile (si ricordino i numerosi incendi estivi di tipo doloso registrati negli ultimi anni). Ci si riferisce in particolare alla possibilità di poter offrire ad un numero chiuso di giovani partecipanti, anche provenienti dal contesto nazionale o europeo (es iniziativa del “Volontariato Europeo”), la possibilità di effettuare nell’area “campi avventura” o “campi di sorveglianza”, eventualmente utilizzando come strutture ricettive alcuni edifici scolastici limitrofi, non operanti nel periodo estivo. 13) IL SISTEMA DELLA MOBILITÀ La presente proposta viene integrata da una carta tecnica che affronta il tema della mobilità, articolando un sistema di collegamenti tra il Parco e l’area urbana circostante, ed un sistema di collegamenti interni, soprattutto pedonali, ma utilizzabili in alcuni casi anche in bicicletta, che si sviluppano su tracciati preesistenti, o riprendendo tracciati precedentemente in uso. Il sistema dei collegamenti interni costituisce una piacevole rete di connessioni ciclo-pedonali e potrà servire come rete di accesso al sistema Appia Antica. In particolare si è cercato di valorizzare il collegamento con S. Sebastiano, che attraversa un’area Demaniale in concessione al Ministero BBCC, che andrebbe ripristinato, e con l’area agricola della Farnesiana, che potrebbe costituire una sorta di “valvola di sfogo” per ridurre l’impatto di una eccessiva frequentazione sui delicati ecosistemi di Tor Marancia. Nella cartografia a pag 16 è inoltre evidenziato con una diversa colorazione il cosiddetto “Sentiero del Pellegrino”, realizzato in occasione del Giubileo 2000, che si svolge in massima parte lungo la Via Ardeatina, per facilitare il percorso delle consuete processioni di fedeli verso il Divino Amore. Una differente colorazione ricorda infine la presenza della recente pista ciclabile lungo via di Grotta Perfetta. (vedi carta dei sentieri)Tra le proposte innovative, raccolte tramite i questionari, ricordiamo in particolare quella di un collegamento ciclo pedonale tra la Tenuta di Tor Marancia e della Farnesiana, che potrebbe realizzarsi attraverso un ponte sulla Via Ardeatina. Questo potrebbe ad esempio essere collocato in prossimità della tagliata, dopo l'incrocio con via dei Numisii. SOTTOPASSO DELL’APPIA ANTICA Il P.R.G. (Piano Regolatore Generale), recentemente adottato dal Consiglio Comunale, prevede degli interventi che potrebbero avere, se realizzati secondo quanto attualmente previsto, un impatto devastante sulla Tenuta di Tor Marancia. Si fa riferimento all’infrastruttura più rilevante prevista all’interno del Parco dell’Appia Antica, ovvero il sottopasso dell’Appia (a volte definito “Archeotunnel”). È condivisibile il proposito di realizzare questa infrastruttura, cioè il completamento dell'anello tangenziale interno ottenuto mediante il collegamento Palmiro Togliatti-Eur e Laurentina, ma ciò non può certo avvenire a discapito di un territorio "di pregio" come il Parco dell'Appia Antica, di cui ormai Tor Marancia è parte integrante. Il sottopasso, accompagnato da un adeguato potenziamento dell'offerta di trasporto pubblico e dalla chiusura ai non residenti delle altre strade in superficie, sarebbe una mossa decisiva per liberare il territorio del Parco dell'Appia Antica dal traffico veicolare privato. La mancanza del tratto in questione provoca infatti una congestione, particolarmente intensa nelle ore di punta(oltre 1.500 veicoli l’ora), e vede le strade all’interno del Parco utilizzate come scorciatoia o, in alcuni casi, come unica soluzione. La realizzazione di questa infrastruttura in sottopassaggio permetterebbe di razionalizzare tale traffico e restituirebbe una continuità territoriale ad alcune aree del Parco dell’Appia Antica. I collegamenti stradali in questo settore della città sono assicurati da un insieme di percorsi, alcuni dei quali antichi, e per questo soggetti a vincoli storico-paesaggistici: Via Appia Antica, Via Ardeatina, Via delle Sette Chiese, Via di Grotta Perfetta, Vicolo dell’Annunziatella, Via di Tor Carbone. Nel giro di pochi decenni in questo quadrante sono stati realizzati una serie di grandi insediamenti, ma le principali vie di comunicazione hanno conservato l'aspetto e la portata originaria. Fondamentale quindi il coinvolgimento della Soprintendenza nella pianificazione di ogni eventuale nuova infrastruttura, se si vogliono evitare “veti” a posteriori. 14) Si conoscono alcune “indicazioni di massima” del progetto: lunghezza 8 Km circa (da via Togliatti allo svincolo del Tintoretto), profondità media 60 m, larghezza dell’arteria principale 50 m circa, 6 corsie su gomma e 2 su ferro. La realizzazione avverrebbe con il meccanismo del project financing e verrebbe istituito un pedaggio. Si è ipotizzato un costo dell’ordine di 300 milioni di Euro. Ad occuparsi del progetto potrebbe essere la ditta Astaldi (la stessa del “passaggio a Nord Ovest”) anche se un accordo economico con il Comune appare al momento ancora lontano. Nel caso di opere e infrastrutture così complesse la valutazione della soluzione definitiva avviene solitamente tra diverse possibili alternative. Qui invece si ignorano i criteri di valutazione di impatto ambientale che hanno portato alla proposta del Comune, illustrata in figura (N° 1): tracciato ampiamente in superficie su Tor Marancia e diramazione dello stesso asse verso Via del Caravaggio. Secondo il WWF questa scelta progettuale avrebbe un impatto inaccettabile per un'area protetta e comporterebbe il venir meno della continuità paesaggistico-ambientale. Lo svincolo per la diramazione verso Via del Caravaggio sarebbe realizzato completamente all’interno del Parco. Anche se in sotterranea, tale diramazione lambirebbe l’area umida della Tenuta, a maggior pregio ambientale; quale sarebbe poi l’impatto ambientale della fase “di cantiere”? Sarebbero inoltre compromesse l’accessibilità e la fruibilità del Parco soprattutto per i quartieri Rinnovamento e Sogno (tagliati fuori dal viadotto), caratteristiche invece esaltate dal Piano di Utilizzo del WWF, che prevede un ingresso attrezzato da Via Londra; l'esigenza di avere una agevole accessibilità (possibilmente con più ingressi) è stata confermata anche direttamente dai cittadini attraverso lo strumento dei questionari sulla fruizione della Tenuta, distribuiti dal WWF lo scorso inverno e le cui risposte sono state raccolte in un apposito studio, disponibile sul sito www.wwfroma11.it .Quindi il tratto oltre la via Ardeatina, diretto verso la Roma-Fiumicino, deve avvenire in sotterranea, evitando peraltro l'attraversamento di Tor Marancia. Esistono delle ipotesi di tracciato alternativo che devono essere maggiormente elaborate. Trovare delle soluzioni ai paventati problemi di sicurezza (le gallerie urbane non possono avere una lunghezza maggiore di 3 km) non è tecnicamente impossibile, come il recente emendamento al PRG che prevede l’interramento, ma limitatamente al tratto limitrofo a Via Berto, ha dimostrato; il maggior costo, per la realizzazione di un percorso a minor impatto ambientale è ampiamente giustificato dall'estremo valore dei luoghi, per cui riteniamo debbano essere attivate tutte le possibili fonti di finanziamento. L’annullamento della edificazione e la conseguente inclusione dell’Area di Tor Marancia nel Parco dell’Appia hanno comportato un “prezzo” elevato per la città di Roma in quanto il Consorzio costruttori di Tor Marancia vedrà comunque riconosciuti i propri diritti in altri terreni, resi edificabili con il meccanismo delle “compensazioni”. A tal proposito il Comune (deliberazione n. 91/93) ha già deciso le aree in compensazione (lungo le direttrici Cassia, Portuense, Magliana ed Ardeatina). Pertanto sarebbe una autentica beffa per i cittadini avere il Parco di Tor Marancia “sfigurato” dal passaggio di una autostrada! RIDUZIONE CARTA DEI SENTIERI 17) collegamento ciclo pedonale Tor Marancia - Farnesiana ELEMENTI DI INTERESSE LUNGO I PERCORSI 1. LECCI CENTENARI: piantumazione a filare di Leccio (Quercus ilex) che delimita il tratto iniziale di Via dei Numisi 2. VILLA DEI NUMISII: Villa di epoca romana (metà del II sec.d.C) indagata nel 1820 e nel 1992, attualmente reinterrata 3. CAVE DI TUFO E POZZOLANA: scavate sia in epoca romana che nel periodo umbertino sono incluse nella zona a prevalente valore storico-archeologico del Parco Regionale dell’Appia Antica. 4. ISCRIZIONE PALEOCRISTIANA: graffito del VI sec. d.C raffigurante una croce con monogramma 5. PRATO A PASCOLO O SEMINATIVO: prato a seminativo o in parte pascolato da ovini – tracce di elementi caratteristici della macchia mediterranea in alcune cavità tufacee sparse 6. VASCA ROMANA: rudere, probabilmente vasca romana impiegata per abluzioni 7. CASALE DI VIGNA VIOLA: casale attualmente abbandonato, della fine del ‘700 e appartenuto alla famiglia Farnese e venduto insieme alla tenuta verso il 1810 alla famiglia Torlonia 8. TORRE MEDIEVALE: resti della Torraccia Zampa di Bove - il nome deriva dalla vicina Torre di Capo di Bove, così detta per un rilievo con raffigurazione di questo animale 9. BOSCO DELLA FARNESIANA: bosco a roverella, con sporadica presenza di sughera e ricco sottobosco; artificiale e risalente al ‘700, rinaturalizzato dopo i cedui del dopoguerra 10. CASALI AGRICOLI: abbandonati o parzialmente abitati 11. CASALE AGRICOLO: attualmente abitato, risale ai primi anni del 1900 12. PIOPPETO: risalente agli anni’70 (Pioppo canadese), per la produzione di pasta di cellulosa -tracce di Picchio rosso maggiore - presente colonia di pappagalli (Parrocchetto) 13. ZONA UMIDA E FOSSO: il fosso di Tor Carbone mantiene il suolo umido anche nel periodo estivo con presenza di vegetazione spontanea igrofila 14. TOMBA IPOGEA: alla base della collina l’angusto ingresso di una struttura scavata nel tufo, costituita da tre ambienti comunicanti, parzialmente allagati 15. FOSSO DI TOR CARBONE: ramo principale del fosso, lungo il cui corso si incontrano salici, equiseti e lenticchia d’acqua 16. PRATO MESOFILO: caratterizzato da vegetazione spontanea, in situazione di elevata umidità 17. QUERCE: varie tipologie di giovani querce, ancora allo stadio semi-arbustivo 18. EUCALIPTI: macchia di Eucalipti di notevoli dimensioni lungo un ramo del fosso. In acqua anche alcune specie vegetali esotiche 19. BOSCHETTO MISTO: specie arboree principali: Robinia e Olmo - sottobosco ricco di vegetazione per l’elevata umidità (muschio, Ombelico di Venere, etc.) 20. RILIEVI DI TUFO: residui di attività estrattiva per materiali da costruzione (tufo)



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