LA CONQUISTA DEL SUD

Carlo Alianello

Art. 1°. Chiunque sarà colto con arme di qualunque specie sarà fucilato immediatamente.

Art. 2°. Egual pena a chi spingesse con parole i villani a sollevarsi.

Art. 3°. Egual pena a chi insultasse il ritratto del re, o lo stemma di Savoia o la bandiera nazionale! » ( proclamazione della corte  marziale a seguito della dichiarazione dello stato d’assedio del generale piemontese Pinelli nelle zone di Avezzano - G. Fortunato, Antologia dei suoi scritti )

Ordine del giorno del generale Cugia, prefetto di Palermo. 20 agosto 1862

Art. 1°. Il territorio de l’isola di Sicilia è messo in istato d’assedio.

Art. 2°.I generali comandanti le truppe della divisione di Palermo e delle subdivisioni di Messina e di Siracusa concentreranno, nei  limiti dei loro circondati rispettivi, i poteri militari e civili.

Art. 3°.Ogni banda armata e ogni riunione a scopo di tumulto saranno sciolte mercé la forza.

Art. 4°.Gli stessi poteri son conferiti al generale comandante le truppe d’operazione sul territorio da queste occupato.

Art. 5°.La libertà di stampa è sospesa per i giornali e altri fogli volanti. La polizia procederà all’arresto di chiunque stamperà o distribuirà simili scritti.

Ordine del giorno del generale piemontese Frignone. Messina, 22 agosto 1862

Art. 1°. Si procederà al disarmo generale immediato nelle provincie di Palermo e di tutta la Sicilia.

Art. 2°. Sono proibite l’esposizione e la vendita di tutte le armi offensive.

Art. 3°. Ogni arma verrà consegnata, entro tre giorni, nelle mani dell’autorità.

Art. 4°. I contravventori saranno arrestati, e, secondo i casi, fucilati.

Ordine del giorno del generale Lamarmora prefetto di Napoli. Napoli, 25 agosto 1862

Art. 1°. Il territorio delle sedici provincie napoletane e delle isole che ne dipendono è messo in istato d’assedio.

Art. 2°.I generali comandanti di divisione o delle zone militari assumeranno i poteri politici e militari nei limiti delle loro circonscrizioni rispettive. Articolo 3°. Ogni raggruppamento fazioso e ogni riunione tumultuosa saranno sciolti con la forza.

Art. 4°.Il porto o la detenzione non autorizzata d’armi d’ogni genere sono proibiti sotto pena d’arresto. I detentori d’armi dovranno dunque consegnarle entro i tre giorni che seguiranno la pubblicazione del presente bando nelle mani delle autorità dalle quali essi dipendono.

Art. 5°.Nessuna stampa tipografica, pubblicazione o distribuzione di giornali, fogli volanti o simili può aver luogo senza l’autorizzazione speciale dell’autorità politica del luogo, la quale ha facoltà di sequestrare, sospendere o sopprimere ogni pubblicazione.

Ordine del giorno del deputato Gaetano Del Giudice, prefetto della Capitanata. Foggia, 18 aprile 1862

Per affrettare l’estinzione del brigantaggio, il prefetto ha l’intenzione di ricorrere alla cooperazione dei guardiani a cavallo delle proprietà private. Disuniti essi non possono niente, né per se stessi né per quelli che servono e inoltre, per il numero sempre crescente di banditi, son stati costretti ad abbandonare le campagne e di chiudersi nei paesi. Io ho pensato di formarne delle squadre che potranno rendere importanti servizi alla sicurezza pubblica, vista la pratica che hanno questi uomini dei sentieri più fuorimano. I proprietari, ne son sicuro, non mancheranno di corrispondere a questo invito del governo. Io ho persuaso il comandante della provincia, colonnello Materazzo, a raccogliere i nomi di quelli che si presenteranno e a organizzarli a squadre. Le guardie devono avere delle armi e un cavallo. I più notabili cittadini hanno volontariamente aperta una sottoscrizione per sovvenire alle spese di questa nuova milizia, e, in due giorni nella sola città di Foggia, han raggiunto la cifra di cinquemila ducati. Le altre città seguiranno questo patriottico esempio. Così le forze del paese, riunendosi, ci potranno ridare quella sicurezza interna che abbiamo perduto.

(Questo era un vero e proprio invito alla guerra civile e il governo subalpino, accettandolo e facendolo suo, aggiunse un segno nuovo d’impotenza, di fronte a quella disperata resistenza che sino allora era parsa, per l’innato disprezzo verso il Sud, non solamente improbabile, ma anche impossibile.)

Ordine del giorno del capo della polizia di Palermo. 4 gennaio 1862 ore 8 matt.

Cittadini, un ufficiale dell’esercito regio, venendo da Castellammare, riporta le seguenti notizie: Le truppe comandate dal maggior generale Quintini, sbarcate a Castellammare, hanno attaccato gli insorti mettendoli in fuga. Delle altre truppe son state inviate, questa mattina, per terminare la distruzione di ogni segno di ribellione. Già si è proceduto a numerose esecuzioni a Castellammare. Continuate a conservare la vostra calma abituale e contate sulla sollecitudine e l’energia del governo.

Ordine del giorno del tenente colonnello Fantoni, comandante le truppe di Lucera. Lucera, 9 febbraio 1862

Stato Maggiore del distaccamento dell’8° reggimento di fanteria di linea, di guarnigione a Lucera.

In esecuzione degli ordini del sig. Prefetto della Capitanata, avendo per fine d’arrivare coi mezzi più efficaci alla pronta distruzione del brigantaggio, il sottoscritto decreta:

Art. 1°: D’ora in avanti nessuno potrà entrare nei boschi di Dragonara, di S. Agata, di Selvanera, del Gargano, di Santa Maria, di Motta, di Pietra, di Volturara, di Voltorino, di S. Marco La Catola, di Celenza, di Carlentino, di Biccari, di Vetruscelle e di Caserotte.

Art. 2° Qualsiasi proprietario, intendente o massaro, sarà tenuto immediatamente, dopo la pubblicazione del presente avviso, a far ritirare dalle suddette foreste tutti i lavoratori, contadini, pastori e caprai etc, che vi si potessero trovare; essi saranno tenuti egualmente ad abbattere gli stazzi e le capanne che vi son stati costruiti.

Art. 3°:D’oggi in poi nessuno potrà importare dai paesi vicini nessun commestibile per l’uso dei contadini, e i contadini non potranno avere in loro possesso che la quantità di viveri necessaria a nutrire pei una giornata ogni persona della famiglia.

Art. 4°:I contravventori del presente ordine, esecutorio due giorni dopo la pubblicazione, saranno trattati come briganti, e come tali, fucilati. Alla pubblicazione del presente ordine, il sottoscritto invita i proprietari a portarlo subito a conoscenza delle persone al loro servizio, affinchè esse possano affrettarsi a evitare i rigori di cui sono minacciati, avvertendoli nello stesso tempo che il governo sarà inesorabile nella loro esecuzione.

In questo modo si condannava a morte non uno, due o tre, non il singolo, ma l’intera popolazione. Quello che oggi si dice correttamente un genocidio. Perché migliaia d’abitanti, residenti nella Capitanata, negli Abruzzi e in un distretto del Molise vivevano letteralmente di quei boschi. Pastorizia, lavoro del legno, pezzi messi a cultura, piccola raccolta, eran vita per quei disgraziati. Il divieto di entrarvi equivaleva a un decreto di morte, anche perché nulla poteva giungere da fuori e quelle foreste erano il naturale ostacolo tra i terrazzani e le rimanenti provincie di Napoli. Ma che importava ai piemontesi? Un ministro piemontese, di cui non voglio fare il nome per l’onore dell’Italia, diceva ridendo a un diplomatico inglese il quale disapprovava, a parole si capisce, simili barbarie: « Le Due Sicilie sono le nostre Indie! Voi tenetevi le vostre ».

Ordine del giorno del maggiore piemontese Fumel. Ciro, 12 febbraio 1862

II sottoscritto, incaricato della distruzione del brigantaggio, annuncia che chiunque darà asilo o mezzi di sussistenza o di difesa ai briganti sarà istantaneamente fucilato, come anche quelli che, vedendo i briganti o sapendo il luogo della loro dimora, non ne daranno conoscenza alla forza pubblica o alle autorità civili e militari. È necessario che per la sorveglianza del bestiame si stabiliscano vari centri con una forza armata sufficiente; giacché il caso di forza maggiore non sarà considerato una scusa sufficiente. È anche proibito portare pane o altri viveri fuor delle mura del comune, e chiunque contravverrà a questo ordine sarà considerato come complice dei briganti. Provvisoriamente e per questa circostanza, i sindaci sono autorizzati ad accordare il porto d’armi, sotto la responsabilità dei proprietari che ne faranno domanda. Anche la caccia è provvisoriamente proibita e non si potrà fare fuoco, se non per annunziare ai posti armati la presenza o la fuga dei briganti. La Guardia Nazionale è responsabile del territorio del proprio comune. Parecchi proprietari di Longobuco hanno fissato una ricompensa di cento ducati per la distruzione della banda Palmo. Il sottoscritto non riconosce ora che due partiti, briganti e controbriganti. Quelli che vogliono restare indifferenti saranno considerati come briganti e misure energiche saranno rese contro di essi, perché è un crimine tenersi in disparte in caso d’urgenza.

Ordine del giorno del maggiore piemontese Fumel. Celico, 1° marzo 1862

II sottoscritto, incaricato della distruzione del brigantaggio, promette una ricompensa di lire cento per ogni brigante che gli verrà consegnato vivo o morto. La stessa ricompensa, oltre la salvezza della vita, sarà consegnata al brigante che avrà ucciso uno dei suoi compagni. Il sottoscritto notifica che farà immediatamente fucilare chiunque dia ai briganti sia un asilo sia un qualsiasi mezzo di sussistenza o di difesa. Sarà immediatamente fucilato chiunque, avendo visto dei briganti o conoscendo il luogo del loro rifugio, non ne avrà dato immediatamente avviso alla forza pubblica o alle autorità militari. Tutti i pagliai devono essere bruciati e le torri e le case di campagna che sono abitate e conservate devono essere scoperchiate entro tre giorni e avere le loro aperture murate. Passato questo tempo saranno date al fuoco, e inoltre saranno abbattuti tutti gli animali non protetti dalla forza pubblica. Resta proibito di portare fuori dei villaggi del pane o qualsivoglia sorta di viveri; i contravventori saranno considerati come complici dei briganti. L’esercizio della caccia è proibito. ... Saranno considerati come briganti i soldati sbandati che non si saranno presentati nel termine di quattro giorni. Firmato: Fumel.

Ordine del giorno del generale piemontese Boiolo [saepe conveniunt sua nomina rebus]

comandante delle truppe mobili nella provincia della Capitanata. Foggia, 29 agosto 1862

In seguito alle dichiarazioni dello stato d’assedio, io assumo in questa provincia i poteri politici e militari e giovandomi dei poteri a me affidati da questa dichiarazione, io ordino quanto segue:

Art. 1° È vietato ad ognuno vendere armi e munizioni di guerra d’ogni specie.

Art. 2° II porto e la detenzione d’armi e di munizioni d’ogni sorta, non autorizzati, son proibiti sotto pena d’arresto.

Art. 3° Sarà considerato come complice dei briganti, e come tale punito (cioè fucilato), chiunque sarà trovato a portare armi o munizioni o viveri o vestiti, ogni cosa infine destinata ad essere data in riscatto ai briganti.

Art. 4° In ogni città o villaggio, dalle 11 della sera alle 14 del mattino è vietato percorrere vie o strade senza un permesso speciale  dell’autorità militare, o senza gravi motivi perfettamente giustificabili. Nei paesi dove non risiede truppa, questi permessi saranno dati dai sindaci.

Art. 5° Ogni persona in viaggio dovrà essere munita d’un permesso di circolazione, senza il quale sarà arrestata. I forni da pane sparsi per le campagne saranno chiusi a partire dal primo settembre e, a partire da questo giorno, gli utensili che vi si trovano saranno requisiti e le persone che vi lavorano saranno messe in stato d’arresto. Io spero che le guardie nazionali uniranno i loro sforzi a quelli della truppa, per giungere, nel più breve tempo, a tale risultato.

Ordine del giorno del maggiore piemontese Martini. Montesantangelo, 16 settembre 1862

Tutti i proprietari, massari, lavoratori, pastori, abbandoneranno le loro proprietà, i loro campi, il bestiame, le loro industrie, tutto infine, e si ritireranno dentro ventiquattro ore nel paese dove abitualmente dimorano. Quelli che non si conformeranno all’ordine presente saranno arrestati e condotti in prigione.

Avevamo promesso al lettore il testo della famosa legge Pica-Peruzzi. Dopo il precedente intermezzo giuridico, che ci è servito per riprender fiato prima di ingollare un simile boccone, eccola per esteso.

LEGGE PICA

«Art. 1°. Fino al dicembre del corrente anno 1863, nelle provincie infestate dal brigantaggio e che tali saranno dichiarate, con Decreto Reale, i componenti di comitiva o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini e delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari di cui nel libro II, parte 2a del Codice Penale Militare e con la procedura determinata dal capo 3° del detto libro [fucilazione].

«Art. 2°. I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione o coi lavori forzati a vita, concorrendovi circostanze attenuanti. A coloro che non opponessero resistenza, nonché ai ricettatori e somministratori di viveri, notizie ed aiuti di ogni materia, sarà applicata la pena dei lavori forzati a vita, e, concorrendovi circostanze attenuanti, il maximum dei lavori forzati a tempo.

«Art. 3°. Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge la diminuzione da uno a tre gradi di pena. Tale pubblicazione dovrà pertanto esser fatta in ogni comune.

«Art. 4°. Il Governo avrà pure facoltà dopo il termine stabilito nell’art. precedente, di abilitare alla volontaria presentazione col beneficio della diminuzione d’un grado di pena.

«Art. 5°. Il Governo avrà inoltre la facoltà di assegnare per un tempo non maggiore d’un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette secondo la designazione del Codice Penale, nonché ai camorristi e sospetti manutengoli dietro parere di giunta composta dal Prefetto, dal Presidente del tribunale, dal Procuratore del re e da due consiglieri provinciali.

«Art. 6°. Gli individui di cui nel precedente articolo, trovandosi fuori del domicilio loro assegnato, andranno soggetti alla pena stabilita dall’alinea 2 dell’art. 29 del Codice Penale che sarà applicata dal competente tribunale circondariale.

«Art. 7°. Il Governo del re avrà facoltà d’istituire compagnie o frazioni di compagnie di volontari a piedi o a cavallo, decretarne i regolamenti, l’uniforme e l’armamento, nominandone gli ufficiali e Regi Ufficiali, e ordinarne lo scioglimento. I volontari avranno dallo Stato la diaria stabilita per i militi mobilitati; il Governo però potrà accordare un soprassoldo il quale sarà a carico dello Stato ».

È caduta definitivamente la scure sabauda tra capo e collo dell’Italia del Sud. Non c’è pietà, né è utile che ci sia. Questo è il sigillo che autorizza e da ragione e vigore a ogni persecuzione già avvenuta nel tempo. Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto... Forse è nato allora il tristissimo detto napoletano. Morti a cataste, torme di schiavi ai lavori forzati, schiere di esuli, senza casa e senza pane, senza onore, si vanno aggirando per le strade d’Italia, d’un’altra Italia, ostile e beffarda, dovunque accolte dal sospetto che è anche terrore e ripugnanza persino. Il destino del Sud è ormai fissato per cento anni almeno.

Colajanni, Nel Regno della Mafia: da Realtà Siciliana di G. GarrettoLe autorità governative, in connivenza spesso con la mafia, esercitavano ingiustizie, ricatti, soprusi e torture indicibili, arrivando ad organizzare, esse stesse, delitti, furti, cospirazioni ed agguati. Il Tajani ne era esterrefatto, e per porre un freno a quella situazione, arrivava a procedere, per omicidio ed altri reati, persino contro il Questore di Palermo, accusandolo di avere agito in pieno accordo con lo stesso generale Medici”.

Napoleone Colajanni: “Questo ufficiale (piemontese n.d.r.) si presentò di notte, con gli uomini della sua colonna, in una casina, i cui abitatori, temendo dei briganti, non vollero aprire. Allora il prode militare la circondò di fascine, vi applicò il fuoco e fece morire soffocati i disgraziati che legittimamente resistettero ai suoi ordini”.

Macaluso, Rivelazioni politiche sulla Sicilia e gravi pericoli che la minacciano, Torino, 1863 da Realtà siciliana di G. Garretto, 1862: Grandissima esasperazione negli spiriti di quei Siciliani che si danno seriamente pensiero delle sorti dell'Isola poiché è nato in essi il sospetto che il governo, mentre ostenta il proposito di volere difendere la Costituzione e quindi le libertà civili in essa sancite, miri, al contrario, a fiaccare nei Siciliani ogni sentimento di libertà e di fierezza. Si assiste alla continua spedizione nell'Isola di tanti prefetti avventurieri, e di tanti improvvisati organizzatori, ispettori, commissari, espoliatori, e, per dirla alla siciliana, di tanti Verre, che per coprire la loro incapacità e rapacità, crede opportuno calunniare il paese, e distruggere quel nazionale sentimento che muove e nobilita la Sicilia. Il Governo che da il triste spettacolo di calpestare lo Statuto ed ogni legge umana e divina, pretende che la Sicilia, dopo d'avere acquistato i suoi diritti per proprio valore, debba adottare l'abnegazione la più cieca, la più vigliacca e la più codarda, di farsi impunemente assassinare e infamare”.

F. Crispi, da Realtà siciliana di G. Garretto: “La popolazione (siciliana) in massa detesta il governo d’Italia, che, al paragone, trova più tristo del Borbone”.

M. D’Azeglio, da Realtà siciliana di G. Garretto: Nessuno vuole saperne di noi…Siamo venuti in odio a tutti e tutti sono divenuti nostri nemici”.

Proto di Maddaloni, deputato meridionale al parlamento, in una seduta del 1861: “I nostri concittadini vengono fucilati senza processo, dietro l’accusa di un nemico personale, magari soltanto per un semplice sospetto…”.

Conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, capitano di Stato maggiore piemontese: “Spioni dell’antica polizia, uscieri, commessi di magazzino, etc., sono oggi nominati giudici, prefetti, sottoprefetti, amministratori … Un mio amico trovava installato, in qualità di giudice, un individuo che, mediante quattro carlini, gli aveva procurato reiterati convegni con una sgualdrina. L’arbitrio governativo non ha limiti: un onesto uomo può ritrovarsi disonorato, da un momento all’altro, per la bizza del più meschino funzionario … Facendo un calcolo approssimativo, possiamo arrivare alla spaventevole cifra, per il Regno delle Due Sicilie, di 52 mila incarceramenti all’anno, di 9.400 deportati all’anno, mentre sotto l’esecrato governo borbonico il numero dei carcerati non oltrepassò i 10 mila e i deportati non arrivarono neanche a 94. Si fucila a casaccio, senza processo, senza indagini… Il reclutamento è stato definito giustamente una tratta di bianchi: si arrestano, si seviziano le madri, le sorelle di ogni presunto refrattario e su di esse si sfrena ogni libidine …”.

Carlo Alianello, archivio privato, dall’anonima Cronaca degli avvenimenti di Sicilia del 1863: “Lo stesso deputato Crispi, nella susseguente tornata, movendo interpellanza sui fatti di Castellammare del Golfo, dice che il malcontento in Sicilia è gravissimo.“ L’altro deputato siculo D’ontes Reggio ripete le stesse interpellanze del Crispi e con rammarico accenna che cinque cittadini siano stati fucilati senza essere stati sottoposti a processo regolare…“ E nella stessa tornata l’anzidetto Crispi in replica aggiunge altre accuse per arresti arbitrari, uccisioni impunite, ecc. ecc.

“ Il deputato Cordova rivela i seguenti abusi:

1) Negli uffici delle dogane di Sicilia furono nominate persone idiote e analfabete.

2) In Palermo i doganieri rubano, ed in Messina gli impiegati sono uccisi, occupando il loro posto gli uccisori.

3) In Siracusa gli impiegati sanitari degli ospedali sono il quadruplo del numero degli infermi.

4) Gli impiegati in Sicilia sono enormemente moltiplicati e, sotto questo aspetto, era assai migliore il governo borbonico, il quale per la Luogotenenza spendeva novecentomilalire meno del governo piemontese.

5) Si danno tristissimi esempi al popolo e questo impara il male dai governanti…

l'impresa di garibaldi vista da un giornale torinese scritto il 13 settembre 1860, in un articolo intitolato “Il creduto prodigio di Garibaldi”. «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sinora così strane che i suoi ammiratori han potuto chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non havvi Cesare che tenga a petto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma il generale Nunziante e li altri ufficiali dell'esercito che, con infinito onore dell'armata napoletana, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico; i miracoli li ha fatti il Conte di Siracusa colla sua onorevolissima lettera al nipote; li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore prima; li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi. Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi dell'orbe terracqueo. E noi torinesi padroni del mondo!».

La recrudescenza della resistenza all’invasore nel Meridione fu tale che il giorno 11 settembre 1872 fu impartito il lapidario ordine ai militari italiani nel Sud: Atterrite queste popolazioni.

Generale Giuseppe Govone, tra i grandi piemontesi che fecero l’italia, viene mandato in Meridione a combattere nella val Roveto e nella valle del Liri il brigante Chiavone. Promosso generale di brigata ed eletto deputato il 30 giugno 1861, diede vita ad operazioni militari su vasta scala con dure repressioni contro i renitenti alla leva in Sicilia con famiglie e interi villaggi trattenuti in ostaggio, ai quali in certe occasioni interrompeva per rappresaglia l’acqua potabile, praticando incendi e torture per ottenere informazioni.

L’Italia nel 1860 e Giuseppe Garibaldi

Orlando Fico   

Il 1815 fu un anno cruciale per l’ Europa e per l’ Italia, poiché allora venne deciso a Vienna l’ assetto degli stati europei che era stato sconvolto dal terremoto napoleonico.

Dopo la dissoluzione dell’ Impero Romano avvenuta nel 476 d.C., l’ Italia perse la sua unità e nel corso dei secoli successivi ebbe una vita travagliata: infatti essa divenne oggetto di contese e di divisioni ad opera dei vari potenti che si affacciarono sulla scena europea fino all’avvento di Napoleone.

Sconfitto il Bonaparte a Waterloo dagli anglo-olandesi di Wellington e Blucher, già nel 1814 le potenze vincitrici avevano dato inizio al Congresso di Vienna, conclusosi poi l’ anno successivo, con il fine di mettere un po’ di “ordine” nel continente europeo.

Anche l’Italia subì le decisioni del Congresso e della Restaurazione e venne divisa in tanti stati indipendenti, ma influenzati dall’ Austria attraverso una rete di parentele ben disposta. La suddivisione della Penisola fu attuata per soddisfare soprattutto le pretese di principi o sovrani e non tenne quindi conto delle aspirazioni delle popolazioni.

Così l’ Italia risultò divisa nei seguenti stati: Ducato di Parma e Piacenza (Maria Luisa d’ Austria, moglie di Napoleone), Ducato di Modena e Reggio (Francesco IV d’ Asburgo d’ Este), Ducato di Massa e Carrara (Maria Beatrice d’ Este), Granducato di Toscana (Ferdinando III d’Asburgo-Lorena), Regno Lombardo-Veneto composto da Lombardia e Veneto, (un vicerè in rappresentanza di Francesco I d’ Austria, Trentino e Friuli erano governati direttamente dall’Austria), Regno di Sardegna composto da Sardegna, Nizza, Liguria, Piemonte e Savoia (Vittorio Emanuele I ), Stato Pontificio composto da Lazio, Umbria, Marche, Romagna e parte dell’Emilia (Pio VII), Regno delle Due Sicilie composto da Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia (Ferdinando I di Borbone).

Le reali condizioni di questi stati erano differenti, ma in contrasto con la storia ufficiale studiata a scuola. Molti documenti autentici, tenuti nascosti più o meno volutamente negli archivi o in scantinati e ricoperti di spesse coltri di polvere ( è passato più di un secolo …! ) venuti alla luce di recente, presentano situazioni del tutto diverse rispetto a quanto hanno sempre raccontato gli storiografi ufficiali. Così ad esempio risulta che alla vigilia del 1860, anno disastroso per il Regno delle Due Sicilie, il regno dei Savoia, cioè il Regno di Sardegna, era lo stato più arretrato e più povero della Penisola: si moriva di pellagra, una malattia tipica delle regioni settentrionali causata da carenze alimentari: la gente si nutriva prevalentemente di polenta, il cibo più comune. perché meno costoso e quindi più accessibile alle povere tasche di quelle popolazioni.

Il Regno delle Due Sicilie era, al contrario, il più ricco e avanzato: nel 1859 al Banco di Sicilia. Si dovette provvedere a rinforzare il pavimento su cui era collocata la cassaforte: era tanta la quantità di lingotti d’oro in essa contenuta che per il gran peso, c’era il rischio che il pavimento stesso potesse cedere! Naturalmente i soliti storiografi hanno raccontato, ma sfacciatamente a ruoli invertiti, la solita favoletta di un Sud povero e arretrato; e con questa favoletta purtroppo, in mancanza delle reali fonti occultate, intere generazioni sono state formate. E così è stato fatto loro credere ciecamente alle “gesta leggendarie” di Garibaldi, uno dei responsabili della rovina delle regioni meridionali. Il torto maggiore di Garibaldi per le disgrazie del Sud fu quello, fra l’altro, di rimanere ingenuamente fedele ai Savoia e di essere stato comunque il loro braccio armato, nonostante le sue perplessità, come si evince da una confidenza fatta al suo amico medico siciliano, Enrico Albanese. A questi confidò infatti:”Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il risorgimento italiano, vi troveranno cose da cloaca”.

Una frase da condividere parzialmente, perché quello che avvenne in seguito fu ancora peggiore per le popolazioni meridionali…

Garibaldi era sostanzialmente un avventuriero. Sul vocabolario alla voce “avventuriero” si legge: chi va in giro per il mondo cercando con ogni mezzo di fare fortuna, soldato di ventura, mercenario; chi girando il mondo cerca con ogni mezzo e non sempre onesto di fare fortuna. E questo egli fu veramente anche se i suoi fautori lo hanno chiamato pomposamente eroe dei due mondi, generale, invincibile, liberatore, dittatore; molte delle sue azioni apparse eroiche furono amplificate o del tutto inventate. Perfino il ritratto del suo aspetto fisico fu alterato, dissero che era un gigante alto otto piedi (più di due metri). In realtà non arrivava neppure a un metro e settanta, era tarchiato, con le gambe leggermente arcuate e corte, spesso avvolto con strati di sciarpe, perché soffriva di artrite cervicale e di reumatismi. Un giornalista francese, Maxime du Camp, che lo seguì nell’invasione del regno borbonico, lo definì “un babbeo”; per Denis Mack Smith, storico inglese alquanto di parte, era “rozzo e incolto”; Mazzini disse che “… quanto a coerenza è una canna al vento” cioè era volubile e credulone; per Montanelli era un “onesto pasticcione”. La retorica risorgimentale lo ha esaltato oltre ogni limite, forse non lo ha potuto santificare anche perché era un massone e un acceso anticlericale. Nel 1834 aveva partecipato al moto insurrezionale di Genova contro i Savoia, ma scoperto, fu condannato e costretto a scappare. Fuggì nell’America del Sud che allora era ritenuta una terra promessa e dove già avevano iniziato ad emigrare i suoi conterranei per cercare fortuna e sfuggire così alla disoccupazione e alla miseria diffusa nel regno sabaudo (nel Regno delle Due Sicilie il fenomeno dell’emigrazione era sconosciuto: la gente traeva sostentamento dalla propria terra e cominciò ad emigrare molto tempo dopo, per le pessime condizioni di vita nelle quali fu costretta dal processo di unificazione forzata e prematura dell’Italia. Infatti l’invasione garibaldina e piemontese determinò la trasformazione del Sud da paese tranquillo, sereno ed autosufficiente in un gigantesco cumulo di macerie!). In Sud America il “nostro eroe” partecipò a diverse azioni non sempre oneste, rubò anche dei cavalli e per questo subì un taglio all’orecchio destro: fu costretto così a coprire con i capelli lunghi questa macchia infamante. In Sud America il furto dei cavalli era ritenuto un reato grave e chi lo commetteva, veniva “marchiato” con un taglio all’orecchio. Spesso era squattrinato e per alcuni periodi visse grazie alla prodigalità di qualche amico. In uno degli scontri armati fu colpito e si salvò per un soffio. Ciò avvenne altre volte.

Infine stanco della sua vita temeraria, tornò in Italia. Qui entrò in contatto con le teste calde soprattutto piemontesi, che smaniavano per l’unificazione (allora la percentuale di italiani favorevoli all’unificazione era irrisoria, i tempi evidentemente non erano ancora maturi). Quindi, avute le garanzie che le cose sarebbero andate bene, decise di partire per la conquista del Regno delle Due Sicilie.

Le garanzie avute erano formidabili e consistevano essenzialmente nei punti seguenti:

1) l’Inghilterra era ormai impaziente per l’eliminazione dei Borboni, divenuti scomodi per gli interessi inglesi nel Mediterraneo.

2) c’era la disponibilità di un’ enorme montagna di soldi, in grandissima parte pure inglesi, per comprare le battaglie e tutto ciò che occorreva.

3) era stato assicurato l’aiuto della mafia in Sicilia e della camorra a Napoli, organizzazioni la cui esistenza venne così legittimata. Con premesse così valide, sarebbe riuscita nell’impresa anche una persona priva di grandi cognizioni militari. Il denaro però fu l’alleato più efficace per un capillare piano di corruzione, il grimaldello che aprì molte porte corazzate. Si cominciò con il corrompere a suon di quattrini gli alti comandi della Marina Borbonica, gli alti comandi dell’ Esercito Borbonico, dopo si passò a tanti altri (il denaro servì poi per corrompere anche alcuni dei combattenti della guerra civile, che con disprezzo venne chiamata “lotta al brigantaggio”: essa imperversò nelle regioni del Sud per dieci anni, con migliaia e migliaia di morti, incendi e distruzioni di ogni genere, dal 1860 al 1870, dopo che il popolo meridionale ebbe capito di essere stato ingannato e di essere divenuto in realtà oggetto di una vera e propria conquista a suo danno e non di una semplice unificazione al resto d’Italia ). Pertanto il viaggio dei garibaldini nel Tirreno e l’avanzata in Sicilia, Calabria e Campania fu caratterizzato da strani errori, ritardi, malintesi, ritirate di chi doveva fronteggiare invece un nemico invasore, insomma ci furono tanti tradimenti pagati a peso d’oro. Tradirono gli alti comandi, non i soldati, tanto che in un giornale satirico francese una vignetta raffigurava i soldati con la testa di leone, gli ufficiali con la testa d’asino e i generali senza testa e con le tasche piene di soldi. Si riportano di seguito e in modo molto sintetico tre episodi emblematici di tutta la vicenda. Lo sbarco a Marsala. Questa operazione venne agevolata da informatori in mare aperto e dalla presenza di quattro navi inglesi ancorate nel porto: i soldati borbonici non poterono intervenire efficacemente per non colpire le navi inglesi: l’Inghilterra non lo avrebbe tollerato, essendo in quel momento difficili i rapporti con il Regno di Francesco II. I volontari poterono così sbarcare… La “battaglia” di Calatafimi. Lo scontro poteva essere facilmente vinto dai soldati borbonici, perché meglio armati e in buona posizione strategica rispetto ai volontari e ai picciotti. Ma quando le cose stavano andando per il meglio, il generale borbonico ordinò la ritirata dei suoi soldati, permettendo così a Garibaldi di avanzare e di dichiararsi vincitore … Marcia in Calabria. In Calabria non si combattè neppure. Il generale Fileno Briganti non affrontò i garibaldini, si ritirò semplicemente: ma nei pressi di Mileto (Catanzaro) fu intercettato dai soldati, che, per l’evidente tradimento, lo finirono a fucilate. I volontari poterono così avanzare… Questi sono alcuni dei numerosi episodi “leggendari” di cui fu protagonista l’”eroe dei due mondi”. Premesso che l’unità d’ Italia è un valore ormai acquisito da non mettere in discussione, si vuole qui richiamare l’attenzione su alcuni fatti molto significativi accaduti recentemente.

(continua)

PER NON DIMENTICARE

AFFINCHE’ IL LORO SACRIFICIO NON SIA VANO

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