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Riforma gregoriana
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Quale
giudizio di può dare della RIFORMA GREGORIANA?
Rispondere a una domanda simile non è facile e richiede
un po’ di pazienza. Non c’è dubbio, infatti,
che esso si presenta complesso, perché diversi e molteplici
sono gli aspetti che questo movimento assomma in sé.
La riforma cluniacense
aveva insistito sulla libertà dei monasteri da ogni ingerenza
laica ed episcopale. Il movimento gregoriano aveva esteso questa
aspirazione a tutta la Chiesa, intendendo liberarla da ogni protezione
derivantele dallo Stato.
Ma quali furono i risultati dell’azione svolta dal movimento
riformista?
A mio parere furono risultati contraddittori.
Sul versante monastico, se è vero che i monasteri riconquistarono
la libertà di eleggersi l’abate o il priore; che
la disciplina monastica fu restaurata in tutta la sua purezza
e che si giunse ad una uniformità di osservanza, è
vero anche che si ottenne tutto questo a scapito dell’equilibrio
della giornata del monaco, quale derivava dalla Regola di Benedetto
da Norcia, a tutto vantaggio di una vita impostata prevalentemente
sulla oratio continua come forma di ascesi personale, e sulla
rinuncia accentuata ai beni della terra e sulla conseguente rinuncia
al mondo.
Tutto questo però
non impediva alle grandi abbazie, come Cluny, di possedere, anche
se in comune, grandi estensioni di terreno, sui quali i monaci
non solo non esercitavano ormai più il tradizionale labora
della regola benedettina, ma mantenevano anche tutti i legami
e i gravami di tipo feudale, contribuendo così a far scivolare
il nuovo monachesimo entro le strutture della compagine feudale,
la quale, per motivi e contingenze ben diverse, in altro tempo
era stata all’origine del sistema della chiesa privata e
del possesso delle abbazie da parte dei signori laici e dei principi
ecclesiastici.
Lo stesso ordine cluniacense si era organizzato internamente (dipendenza
di ogni monastero dalla abbazia madre e di ogni monaco dall’abate
di Cluny), ricalcando gli schemi di dipendenza personale e vassallatica
propri del sistema della commendatio.
Ma anche nel ristabilire la disciplina monastica i riformatori
inizialmente non si prefiggono altro che la “restaurazione
della disciplina tradizionale fissata in epoca carolina”,
per cui si riprendono i “canoni regolari fissati sotto Ludovico
il Pio, ad opera di Benedetto di Aniane, abate di Inde, nel Capitolare
monasticum del sinodo di Aquisgrana dell’817”.
Sotto questo aspetto non c’è originalità,
ma solo continuità.
Il movimento gregoriano, dal nome del suo maggiore protagonista,
riprenderà l’ideale della rinuncia al mondo, più
passivo, e lo trasformerà in quello della “conquista
cristiana del mondo”, molto più attivo.
Il programma che ne scaturisce, e che sarà alla base di
tutta l’azione di Gregorio VII°, porta in se anche i
“germi” della concezione teocratica “con il
suo fatale decadere verso le espressioni più tipiche del
temporalismo della gerarchia ecclesiastica”; non solo, ma
è anche premessa per una giustificazione,
sia pure religiosa, della guerra santa, cioè delle imminenti
crociate.
Ma la riforma gregoriana va giudicata anche da un punto di vista
più strettamente politico, e cioè della sua incidenza
sulla società del tempo, oltre che da quello ecclesiale
ed ecclesiologico.
Non c’è dubbio, a mio parere, che la lotta per le
investiture adombra, nelle sue giustificazioni più profonde,
uno scontro fra due ordinamenti sociali diversi, massima espressione
dei quali sono l’Impero, per il vecchio ordinamento ottoniano
che si vuole soppiantare, e il Papato per l’ordine nuovo
che si vuole dare alla cristianità occidentale.
Sarebbe tuttavia errato circoscrivere la lotta a questi due antagonisti:
essa infatti coinvolse gli orientamenti sociali e spirituali più
diversi; vide forze sociali antiche, chiuse nella difesa del potere
e dei privilegi da tempo acquisiti e consolidati, contrapposte
a ceti nuovi, alla ricerca di un proprio spazio autonomo all’interno
della società.
Divampò nelle campagne, tra feudatari laici ed ecclesiastici
e la plebe rurale, che tendeva ormai a uscire dagli stretti confini
del feudo; tra gli artigiani delle città, nelle quali si
andava formando il comune, e il clero, spesso corrotto, alleato
della piccola e grande nobiltà feudale; tra monachesimo
riformato e vescovi; “tra papato, risorto a una più
alta coscienza dei suoi doveri, e Impero, per il definitivo riscatto
della libertà della Chiesa e della supremazia del potere
religioso su tutti i poteri della terra”.
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