Relativismo etico

 

Tutti noi percepiamo  nel nostro intimo i “doveri morali” e siamo – chi più chi  meno - consapevoli che, rispettandoli, possiamo   contribuire – con i nostri comportamenti - al buon funzionamento della vita sociale, sia nella vita di famiglia, sia nella vita professionale.

 

 Quando ci sforziamo di  rispettare tali doveri ubbidiamo all’etica consuetudinaria o di senso comune, e così facendo  svolgiamo eticamente il ruolo sociale che ci compete. La nostra percezione dell’etica consuetudinaria  ci induce ad agire rispettando i codici di comportamento appresi fin dall’infanzia da genitori, maestri, e da tutti coloro che concorrono a  formare l’ambiente culturale a cui apparteniamo.

Le norme morali  che abbiamo assimilato nel corso della vita ci pongono talvolta di fronte al conflitto tra il dovere e l’interesse personale: tanto più  l’ educazione morale ha messo radici nel nostro essere , tanto più siamo capaci di comprendere il significato di  fortezza e  temperanza, le virtù che ci permettono di accettare il dovere e di respingere le lusinghe dell’interesse personale .

Nella quotidianità cerchiamo di superare il conflitto  tra il dovere e l’interesse personale,  anteponendo il primo al secondo e, in tal modo, sentiamo che il nostro stile di vita risulta conforme  all’etica  consuetudinaria;  in altri termini ci sforziamo di  comportarci  come una “una brava persona”, che agisce scegliendo  ciò che “è giusto” e non ciò che “piace”.

 

Ogni qual volta si verificano dei  cambiamenti sociali e /o culturali  siamo chiamati a modificare i nostri comportamenti, ma per fare ciò occorre una    scelta individuale.  L’etica consuetudinaria non basta più, serve un’etica riflessiva, quella che ci porta a rivedere - in modo critico – norme   divenute  inadeguate alla nuova realtà. Quando si passa dall’etica consuetudinaria all’etica critica,   si raggiunge una nuova maturità morale e si accetta di rivedere  le norme ricevute dalla tradizione  e di adeguare a nuovi criteri la nostra condotta personale.

In questo senso si fa ricorso ad una saggezza pratica che si traduce nella capacità di prendere le decisioni opportune al momento giusto. Tale capacità è in parte naturale e in parte conseguenza dell’esperienza.

 

Nella società attuale gli individui non sempre hanno una base comune di valori, anzi  spesso le loro  valutazioni  etiche sono  contrapposte: ciò che  morale per alcuni risulta a-morale o im-morale per altri ( la poligamia non è immorale per un musulmano. L’aborto, l’eutanasia, la convivenza tra omosessuali non sono ritenuti immorali per molti nostri concittadini).

 Oggi è diffusa l’opinione che  l’etica non sia un insieme di valori oggettivi (condivisi da un ampio gruppo sociale), ma sia un insieme di valori soggettivi ( ogni individuo si ritiene   libero di creare le  norme  che regolano i propri comportamenti privati).

Questa pluralità  di codici morali ha creato una “babele” di norme comportamentali e un’ incomunicabilità che ci fa sentite “moralmente stranieri” gli uni nei confronti degli altri ( la  convivenza come alternativa al matrimonio – oggi molto diffusa tra i giovani - è una scelta che  non rientra nei canoni etici di molte persone mature).

 

Stando così le cose si finisce per  accettare – o subire- un “relativismo etico” alquanto pericoloso, che  da un lato   esalta l’individuo, ma dall’altro  complica i rapporti sociali. I fautori del relativismo etico si dicono  ben contenti  d’ essersi liberati di un fardello inutile (i noiosi moralisti…), ma non offrono risposta alla seguente domanda: il relativismo non rischia di far scomparire l’etica?.

Alcuni infatti hanno già  sostituito l’etica con la sociologia.

La sociologia – scienza importante e molto utile – ha  fini completamente diversi dall’etica , infatti essa registra –osserva- il comportamento degli individui, ma non indaga sulle ragioni che li determinano. Il sondaggio d’opinione - strumento  dei sociologi -  quantifica gli usi,  i gusti, le tendenze della società, ma non si pone l’obiettivo  di indagarne  le motivazioni razionali.  Poiché l’uomo per sua natura tende ad accettare per “vero e giusto” ciò che lo è per la maggior parte dei suoi simili,  c’è il rischio che i comportamenti dominanti vengano percepiti come etici, c’è il rischio quindi di confondere  la morale  con la moda,  passando  dal livello razionale a quello  emulativo ( se  la percentuale di coloro che  evadono il fisco è alta,  allora evadere il fisco diventa lecito)

 

Per ridare vigore all’etica – dal momento che molti fortunatamente ne sentono ancora il bisogno – si  devono definire  norme condivise di comportamento finalizzate al raggiungimento del benessere e dell’autonomia dell’individuo.

Ma qui c’è un primo ostacolo: chi  definisce  tali norme, se ognuno rivendica la “libertà” di  auto - regolarsi?

 Secondo ostacolo: su quali principi e su quali valori condivisi si può definire un’etica normativa che - partendo da  principi e  valori  si traduca in etica applicata in grado di affrontare  casi concreti  ( la pena di morte, l’aborto, l’eutanasia…)?.

Alcuni,  ritenendo  che l’etica applicata debba appellarsi al principio di utilità il cui fine  consiste nell’ aumentare il benessere – fisico o materiale – del maggior numero di persone,   propongono  lo strumento del  “referendum” – che  è il modo istituzionale di fare un sondaggio d’opinione -  e, così facendo,  si confondano  etica e sociologia..

 Qui sorge un ulteriore ostacolo:  nell’etica applicata  i principi a cui essa si riconduce  possano  ammettere eccezioni ? ( il divorzio, l’aborto, l’eutanasia sono - in alcuni casi-  accettabili ?).

 Le eccezioni sono inevitabili,  come dimostra l’esperienza comune, e vengono ammesse anche dagli assolutisti. A ognuno di noi è capitato di non assolvere  un dovere per “cause di forza maggiore”“  (se  una persona   sta male  il dovere di soccorrerla  è prioritario rispetto al altri impegni anche importanti).  

L’etica applicata dunque non può prescindere dalle eccezioni, occorre però che esse siano ben definite, valide per tutti e per ognuno.

Riusciremo a superare il relativismo etico e a ritrovare quei valori comuni e condivisi che permettono a ciascuno di noi di vivere in libertà, ma non in solitudine ?

Riusciremo a fare in modo che l’etica torni ad essere un “bisogno dell’uomo”  e non venga relegata nei dibattiti filosofici?

 

 

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