BIBLIOGRAFIA MUSSOMELESE
-------------
Recensione
del romanzo giallo
Non crescere troppo
di Roberto Mistretta
(Mussomeli - Caltanissetta - Sicilia)
--------------------------------------------

 

LA BARBARIE DI MISTRETTA

 

Patrizia Danzè

 

Il giallo dei nostri tempi già postapoca­littici, nei quali non fa più differenza se si uccide o si ama, lotta chisciotte­scamente contro l'indifferenza etica che indice la perdita di valori e significati. Un giallo da consumarsi velocemente, con una lettura di poche ore, dopo la quale anche il turista casuale, o inten­zionale, che frequenta questo genere non può fare a meno di provare simpatia per il commissario-maresciallo di turno vo­tato alla sua lotta contro il crimine. Anche nel romanzo di Roberto Mistretta Non crescere troppo c'è un maresciallo, Saverio Bonanno, circondato da una folla di personaggi (in tutto quarantasette) con i quali condivide una storia nella quale lo spurgo umano sembra raggrumarsi in quel “pattume immoto”, in quel “puzzo acre del putridume mischiato al tanfo della morte” che si annuncia sin dall'incipit del rac­conto.

“L'autocarro comunale marciava fiacco ed impestato” come impestati sono “l'aria che casca a pezzi ammorbata e putrida” o il “fetore rancido di malo campare” oppure le “zaf­fate pungenti e il tanfo irrancidito” che chiasticamente risol­vono il cibo in vomito-spazzatura, la fame-voracità in sazietà ributtante. La silhouette ben connotata del maresciallo Bo­nanno, protagonista di una quadrilogia che lo serializza alla pari di altri illustri colleghi, spicca in una galleria di ritratti ai­scrologici ai quali corrispondono gli attanti della vicenda. Che è di morte e di violenza, di miseria ed ignoranza di una Sici­lia-mondo, vecchio e sterile, dai cui spazi desolati non può nascere altro giallo se non di gente che si nasconde e si tra­disce. Anche in quello di Mistretta, come nel giallo classico, c'è un morto, gettato in prima scena, ma presentato e rac­contato con un linguaggio ibridato di e­spressioni dialettali, volutamente defor­mato e anacolutico. Un morto verso il quale la pietas naturale che tocca a chiunque sia vittima viene impedita da una sensa­zione di barbarie che, complice l'ambien­tazione scatologica (viene trovato in una immonda discarica, luogo-protagonista di tutto il racconto), diviene, col procedere della vicenda, onnipervadente. La ragione è presto spiegata: il morto ammazzato, la cui non certo nobile vita viene abilmente ricostruita attraverso il veloce procedi­mento mimetico del racconto che squa­derna un'ordinaria disonestà, è anche il responsabile di un incestuoso atto di vio­lenza nei confronti di sua figlia, è l'animale dai turpi occhi pe­losi che sì muove nella storia altra e comprimaria della prin­cipale che legittima il titolo stesso del romanzo. Una storia-incubo che recupera analetticamente il tempo della violenza che genera altra violenza, raccontata in un presente atempo­rale che la attualizza, in un italiano che, col suo stile fintamente liricato, non ingentilisce la pagina ma, al contrario, vuo­le, parimenti all'idioma mescidato di calchi dialettali, inten­zionalmente sporcarla, giacché sporca è la storia stessa. A que­sto racconto tutt'altro che digressivo, infilato in quello princi­pale, che innerva con la sua novità, costituendo ulteriore e­lemento di suspense, è affidata una duplice funzione, struttu­rale e morale: di stratagemma narrativo col quale offrire gli indizi indispensabili alla risoluzione dell'indagine e di spazio ideologico nel quale riaffermare l'umanità pur attraverso il cinismo, la spietatezza, lo strazio.

(Stilos quindicinale di cultura del quotidiano La Sicilia, 8 gennaio 2002)

Opere e Recensioni On-line

Roberto Mistretta - Tutti i lavori


AUTORI M
HOME PAGE