BIBLIOGRAFIA MUSSOMELESE
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NON CRESCERE TROPPO
(romanzo)
di Roberto Mistretta
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Quando non c'è nessuna appartenenza

la mia normale la mia sola verità

è una gran dose di egoismo

magari un po' attenuata

da un vago amore per l'umanità.

 

G.Gaber

 

I

 

L’autocarro comunale marciava fiacco e impestato. Tanino Rizzo guidava raggiante lungo la stretta e accidentata carrozzabile che da Villabosco conduceva a borgo Raffello. Fischiettava una vecchia canzone, la sola di cui rammentava la corretta sequenza di note e ritmo. Né le sfumature della primavera, né il fetore della montagnola di monnezza trasportata parevano procurargli la minima reazione. Guidava e fischiettava soddisfatto.

"E basta con questo scassamento di marranzano, stamani ce li ci stai stonando coi controcristi. Ci sei con me Ciccio?"

"Al cento per mille compare. Tanino la notte fa festa con l'amica di Bonanotti e noialtri la mattina appresso ci dobbiamo sopportare i suoi sfoghi canterini."

"Secondo me -ripigliò Cola- di sfogarsi non se ne parla proprio. Quando l'uccello canticchia vuole dire che non bagna becco e perciò..."

La scoppola arrivò dritta tra scapola e collo e gli strappò un'imprecazione soffocata. Tanino non ammetteva che si canzonasse la sua virilità.

Cola lo fissò torvo, quasi offeso. Ciccio l’appoggiò in quella sceneggiata. C'erano riusciti. Tanino smise di fischiare e stava attaccando bottone, declamando le doti nascoste del fringuello accucciato tra i pantaloni. E quando cominciava a ragionare di quell'argomento, non la finiva tanto presto.

Era una arieggiata giornata di maggio. Il vento soffiava da tramontana a scuotere i mandorli carichi di frutti e titillava le rigogliose spighe di frumento in una corsa senza tempo, immota come quei luoghi antichi. La Montanvalle in fiore vestiva di seducente bellezza. Le rondini volteggiavano garrendo nell'azzurro, puntini neri di vita a ricamare il verde smeraldo dei fianchi collinari.

L'immondezzaio si annunciò con zaffate pungenti e tanfo irrancidito che pigliava al gargarozzo. Sorgeva a due passi dall’area archeologica di Raffello. Popoli antichi, navigando su quello che un tempo era stato un ampio corso d'acqua, si erano insediati, secoli e secoli prima, sul vicino promontorio, fondando un villaggio di cui rimanevano preziose vestigia e tombe saccheggiate. A sapere quali riguardi gli eredi avrebbero loro riservato, forse gli antichi visitatori avrebbero portato le loro ossa a biancheggiare altrove. Lontano dai ladri irrispettosi e dall'aria impestata dalla putrefazione delle immondizie.

Tanino, continuando a esaltare il turgore e l'energia dell'amichetto ciondolante, infaticabile compagno di intime ricognizioni negli umidi anfratti femminili, si inerpicò col camion per la polverosa stradina di accesso e raggiunse la scoscesa fossa della discarica. Cola e Ciccio saltarono giù dalla cabina e si piazzarono ai lati dell’autocarro, per assisterlo nella manovra. Tanino doveva procedere in retromarcia nell'accidentato perimetro prima di scaricare i quintali di robaccia.

La manovra esigeva movimenti misurati e attenti, pochi centimetri di differenza e le ruote invece che la stradella, avrebbero abbracciato il vuoto, cacciandosi nella sottostante scarpata.

"Forza, ancora un paio di metri, così Tanino, ancora, adagio, vai avanti adagio, ecco ci sei quasi, forza fai finta di stare con Cettina, avanti e senza pigliarti di spavento, facci vedere quanto mascolo sei, e dai non farti pregare, forza spingi in dentro, così ecco così....... Oh bottana della miseria bottana.”

Cola sbiancò e sacramentò. Le gambe si spiegazzarono e si ritrovò sbracato sul tappeto ripugnante.

"Che fu, che successe?" domandò ansante Ciccio, sorpreso dall'improvviso malore del compagno di lavoro.

Anche Tanino, agitato, arrestò l’autocarro e con un agile balzo raggiunse i colleghi.

Cola scoloriva a vista, pareva avesse visto il diavolo sbucare fuori dal pattume dove si originavano combustioni spontanee e fetide. Era stravolto. Con la mano tremolante indicò un punto nella discarica e riuscì solo a impappinarsi :"là, là.”

Poi si accasciò privo di sensi tra le braccia nerborute dei due.

 

 

Il maresciallo Saverio Bonanno stava sorbendo il terzo caffè della mattinata. Bello fumante e scuro come piaceva a lui. Appena assaggiato imprecò. Da quando aveva deciso di mettersi a dieta la vita era diventata uno schifo. Per smaltire i chili superflui che si affacciavano sui fianchi, a ricordargli l'ingordigia di cui pativa per le leccornie nostrane, degustare il caffè non costituiva più quel momento magico e cerimoniale che precedeva un altro rito: attizzarsi una superba cicca aspirandone il forte aroma. Niente da fare, il caffè amarognolo proprio non gli andava giù.

"Steppani" ruggì Bonanno.

"Comandi maresciallo.”

"Si può sapere di chi fu la bella pensata di rifilarmi questa porcheria senza sapore?"

"Da due giorni lei gonfiò a tutti quanti i santissimi insistendo con quella camurria, picciotti da stamani sto a dieta ci disse, e quando uno si mette a stecchetto, il caffè se lo piglia senza zucchero."

"Da questo preciso momento chiuso con questa brodaglia che sa di veleno."

"Come comanda, provvedo subito. Un cucchiaino di zucchero ci basta?”

"Pure uno e mezzo. In avvenire però ci riforniamo di bustine dolcificanti, intesi?"

"Agli ordini maresciallo.”

Stava gustando il nuovo caffè con un'espressione beata e i pensieri che vagavano sonnolenti per pendii e valli, senza controllo alcuno. Liberi cavalli persi nella pianate della Montanvalle. Steppani si intromise molesto in quel mondo incantato. Quello che riferì gli mandò per traverso l’espresso. Non era cosa. L'oroscopo lo aveva pure anticipato. Giornata tesa. Rogne nel lavoro. Mantenete la calma e attenti alla linea.

 

Cola ripigliò colorito. Il verde stinto dell’incarnato stava lasciando posto al purpureo del sangue che gli montava alla craniata. Non intendeva ragioni.

"Io là sotto non mi ci addentro manco sparato. Accomodatevi da soli, dritto di fronte a voi, sulla dritta, si distingue pure di qua. Non potete sgarrare. Tra fetenzie e monnezza, spuntano due scarpe ancora attaccate a dei pantaloni chiari. E tutto il resto. Da qua pare un cristiano, ma non ci giurasse. Dio santo che rimescolio alle budella. Bedda matri che impressione. Da domani io mi piazzo in malattia. Lo scanto che mi pigliai mi causò una botta di sangue. Mi rimontarono le callarate, peggio delle femmine."

Bonanno ci mise poco a lasciare scantonare la poca pazienza che ancora conservava dopo la corsa in auto. Dieci chilometri di curve. Quando guidava Steppani, le viscere risalivano in gola e non c'era verso di farle atterrare tanto presto. Gli rimaneva attaccata addosso per ore voglia di smadonnare e vomitare. E di fucilare alle spalle il subalterno.

"Se non muovi subito quel culo lardoso e ci porti dove si trova quello che dici di aver visto in mezzo a quel mare di merda, ti tengo tutto il giorno a disposizione dell'autorità e se mi gira, pure la notte. Perciò vedi di non fare lo spiritoso.”

"Ce lo mostro io il morto maresciallo. Venisse con me." disse conciliante Tanino, l'autista.

Il maresciallo, tallonato da Steppani, dagli altri sottoposti del Nucleo Operativo e da quelli della Radiomobile, principiò ad arrancare per la stradella contorta. Discendere lungo la scarpata non fu agevole. I rifiuti sprigionavano un fetore da muggire e si ficcavano negli stivaletti, sotto i pantaloni d'ordinanza. L'aria cascava a pezzi, ammorbata e putrida.

Il morto c'era, nascosto tra monnezza e vestiario. A prima vista il cadavere sembrava appartenere ad un uomo di 55-60 anni. Alto e robusto.

"Avete avvertito il Comando?" si informò Bonanno.

"Come no, ce lo abbiamo comunicato a lei direttamente maresciallo rammenta?"

"Il capitano, Steppà, intendevo dire se avete informato il comandante di Compagnia. Questo qua è morto sul serio. Forza diamoci una mossa, avvisiamo il magistrato e rintracciatemi il medico legale."

"Lacomare hai finito con le foto?"

"Ancora un paio maresciallo, giusto per avere tutte le angolazioni."

"Lo metto in posa Lacomà?"

Steppani non si smentiva. I cadaveri gli mettevano allegria, movimentavano la routine. Lo intrigavano. Bonanno celò una smorfia di disgusto.

"Brigadiere capo Steppani, a te l'onore di perquisirlo. Controlla se tiene documenti addosso."

"Perquisire il defunto? Chi io?"

"No tuo nonno."

 

Bonanno era impegnato al telefono cellulare del suo sottoposto. Detestava quegli affari squillanti.

"Niente dottor Panzavecchia, nessun documento. Zero totale. Lo ripulirono per bene. Non siamo riusciti ancora ad identificarlo. Possiamo però con ragionevolezza escludere che fosse un locale. I tre operai della nettezza urbana sostengono di non averlo mai visto prima. E pure a me la sua faccia risulta forestiera. Si, il medico legale è arrivato ma c'è un problema: si rifiuta di scendere nell'immondezzaio.

Se lei ci autorizza a rimuovere il cadavere tutto diventa più semplice. Abbiamo già allertato i vigili del fuoco. Sono sul posto. Portarlo su non sarà una scampagnata ma almeno ci leveremo di qua. Il fetore ci sta impestando tutti. Si magari il capitano sta arrivando. Era ....fuori sede, ha avuto un problema con la macchina. Ci metterà un paio d'ore a raggiungerci. D'accordo dottor Panzavecchia, ci aggiorniamo più tardi. Certo ci faccio sapere. A prima vista non pare presenti altre ferite, a parte la testa spaccata a melone. D'accordo a più tardi."

Chiuse la comunicazione. "Forza voialtri fatevi sotto, imbracatelo e tiratemelo fuori da questa fogna."

Pompieri e carabinieri si adocchiarono con aria disgustata. Bonanno si voltò dall'altra parte e fece finta di non sentire gli insulti.

 

"Ci avevo azzeccato dottor Panzavecchia, nessuna ferita da arma da foco né da taglio. Il medico legale, il dottore Paternò, sostiene che a causare il decesso cento a uno che fu una botta che ci dettero in testa. L'assassino deve averlo colpito con un arnese pesante e con molta energia” riferì Bonanno al magistrato.

“Il colpo lo calarono da dietro, alle spalle. Ci misero tanta forza che ci fracassò il cranio. Il dottore Paternò non si vuole sbilanciare prima dell'autopsia, ma pare che ci arrimase secco sul colpo. Il morto lo puliziarono, soldi, documenti, oggetti di valore se ne aveva. Tutto quanto si pigliarono. Forse si trovava da queste parti, ha offerto un passaggio a qualcheduno e poi vai a sapere che capitò...

Ho già organizzato dei controlli in tutto il territorio e dei posti di blocco ma secondo me perdiamo tempo. Comunque stiamo cercando a Villabosco e nei paesi confinanti. D'accordo ci faccio sapere.”

Chiuse la comunicazione e lasciò che le montagnole in lontananza, rilucenti di rigagnoli turchini, in gli colmassero gli occhi spossati da tanta sozzura. “Diamoci una mossa” si disse sfumazzando e sentendo il tossico incenerirgli i polmoni.

 

"Allora ripigliamo da capo.”

Tanino, Cola e Ciccio, i tre netturbini non ne potevamo più. Convocati in Centrale dai carabinieri, pativano da due ore, ripetendo la stessa storia. Gli sbirri non si decidevano a lasciarli tornare a casa.

"Insomma finiamola con questo scassamento di sacramenti, e poi vi lamentate che la gente non collabora. E per forza, con questa grandissima rottura di coglioni chi vi dovesse avvisare a voialtri di quello che capita? La prossima volta giriamo i tacchi e chiudiamo gli occhi pure noialtri, così imparate a trattare degli onesti cittadini come delinquenti.”

"Stia calmo, continui a cooperare e tutto si risolverà presto" lo rimbeccò il brigadiere  Steppani.

"Appena rientra il maresciallo, parlerete con lui e potrete andare a casa.”

"Ancora? E questo un supplizio è, io voglio il mio avvocato.”

"E finiscila di fare il coglione Cola, che non è cosa."

"Minchia che mala giornata.”

"Appunto. E che fetore."

"Chissà chi era quel povero cristo."

"Vai a saperlo. E che mala morte. Non solo ammazzato ma pure scatafasciato in mezzo alla monnezza. Che bastardi. E che spavento mi pigliai."

"Brigadiere allora che dobbiamo combinare, si può sapere o no?”

Steppani mostrò l'occhio feroce delle occasioni speciali. Non aveva ben chiaro che caspita intendesse il maresciallo quando gli aveva raccomandato di raccogliere le testimonianze, allegarle agli atti ed attendere il suo ritorno.

E così, per evitare di fare infuriare Bonanno, che si vedeva non era confessato, aveva pensato bene di allegare agli atti non solo le testimonianze ma anche i compari.

 

 

II

 

"Maresciallo pure lei ci si mette ora? Non bastò la tortura di stamattina? Si può sapere che schifio volete ancora da noi?"

"Vediamo di stare calmi che già mi trottano per conto mio, chiaro?”

Erano le cinque di pomeriggio. A Bonanno fumavano come le maccalube di Aragona. A leggere le testimonianze trascritte da Steppani non ci pensava neppure. Dopo aver concesso ai tre sventurati netturbini di tornare a casa per rifocillarsi, li aveva riconvocati in caserma. Per rendere l'invito più esplicito, aveva inviato Steppani a prelevarli dalle abitazioni con l'auto di servizio.

Non sapeva che i suoi uomini avevano attivato la sirena a tutto spiano e si erano presentati con esagerato stridore di gomme. Una volta fatti salire i tre, Steppani era ripartito a razzo, manovrando alla sua maniera. Nei quartieri si era sparsa la voce che gli sbirri avevano arrestato i tre spazzini. Che qualcosa fosse successo ne ebbe il sospetto non appena vide la faccia strabuzzata dei tre. La conferma l’ebbe quando gli  telefonò l'amico Tonio per cavargli qualche ragguaglio succulento da spartire con gli amici al bar.

"Allora Cola Turco, Tanino Rizzo e Ciccio Vullo, vediamo di non perdere tempo e rispondete a tono, ci siamo intesi?"

"E che fu, manco se lo avessimo ammazzato noialtri a quel povero cristo. A proposito maresciallo, si seppe poi come trapassò?"

"Ci spaccarono la testa. Qualcuno che ci voleva bene ci dette un colpo e buonanotte.”

"Minchia poverazzo.”

"Chi mala fine.”

"E chi ce lo diceva che non avrebbe più visto levarsi il sole a quel poveraccio."

"Vediamo di non perderci in ciance e torniamo a noi. Quante volte al giorno andate a scaricare?"

"Due volte maresciallo, qualche volta tre, ma solo quando c'è mercato."

"Di mattina o di pomeriggio?”

"Quasi sempre di mattina."

"A che ora effettuate il primo viaggio?"

"Tra le nove e le dieci, poi un altro verso l'una e quando c'è il mercato uno di pomeriggio."

"La discarica nel frattempo resta chiusa? La sorveglia qualcuno del Comune?"

"Che vuole scherzare? Che ci mettiamo a sorvegliare la monnezza? E chi la deve rubare?"

"Il maresciallo ci piglia in giro, si vede che ci piace buffoniare."

"Sentite picciotti, o la finite o mi incazzo sul serio. A due passi da quella fogna ci stanno gli scavi archeologici. Un incendio può fare più danno dei tombaroli. Nelle vicinanze ci stanno pure agri coltivati a frumento, fave e pomidori, perciò rispondete e vediamo di finirla."

"Non la controlla nessuno."

"Manco di notte?"

"E nemmanco nei festivi e prefestivi marescià."

"E io la faccio sequestrare."

"Mizzica non scherzassi, chi ce lo dice ora al sindaco..."

"Non me ne fotte una pipa."

"E noi dove scarichiamo la monnezza?"

"Nelle corna che tenete in testa."

 

Il nuovo caffè trangugiato con furia, fece a Bonanno l'effetto di un diuretico. E mentre scaricava fiotti di urina, cercava di non pensare alla rogna piovutagli sul groppone proprio quando aveva programmato di concedersi una breve vacanza. Non era destino. E chi la sentiva Vanessa. Doveva trovare le giuste parole per dirglielo. Conoscendola, sapeva già come sarebbe andata a finire.

Di lasciare la faccenda nelle mani del capitano non se ne parlava. Da quando pizzicava pelo fimminino, la sua presenza in caserma era diventata facoltativa e.le assenze usuali.

Lo sentiva a naso. Era una rogna tutta sua. Lo sapeva. Mise da parte le questioni personali e si ritrovò a accapigliarsi con se stesso e con la sua natura sensibile per non lasciarsi pigliare da altri pensieri. Non voleva immaginare un uomo dietro quel corpo offeso buttato nella spazzatura. Un uomo che aveva smesso di respirare per sempre, lasciando affetti e interessi per mano di un assassino o di più assassini, che gli avevano tolto la vita, massacrandogli il cranio. Chi sa chi era poveraccio.

La vita e la morte nel suo mestiere andavano a braccetto. E quando la seconda arrivava violenta e inattesa, toccava a loro. Scendevano in campo pronti a tutto, servitori di uno Stato lontano e distratto. Cacciatori di fantasmi assetati di sangue. La giustizia reclamava i suoi guardiani.

 

"Allora maresciallo che novità?"

"Signor capitano, rientrò. Stavo in pensiero, non credevo ce la facesse per oggi. Risolta la questione al macchinario?"

"Si roba da poco, un problemino alla marmitta. Ma sa come sono i... meccanici, mi hanno trattenuto più del previsto prima di consegnarmi di nuovo l'auto."

"E già" annuì comprensivo Bonanno.

Al posto del meccanico vide materializzarli l’appariscente vedova che si avviluppava stuzzicante alle gambe dell'ufficiale e sistemargli, a modo suo marmitta e spinterogeno. Dannose erano le femmine di Sicilia. Il capitano se ne sarebbe accorto presto.

"Fimmina chi t'abbrazza e strinci o t'ha tinciutu o cerca mi ti tinci.” I proverbi raramente fallavano. Lo sapeva per esperienza diretta.

"Allora mi dica Bonanno,. a che punto sono le indagini?"

"Stiamo lavorando. Ecco quello che abbiamo. La vittima fu rinvenuta stamani da tre netturbini. Erano le 10.10. L'ultimo viaggio alla discarica il giorno precedente, quando a Villabosco ci sta il mercato, lo fecero alle 18 circa. Poi la discarica resta incustodita per tutta la nottata. Chiunque può raggiungerla e scaricare quello che ci aggrada, pure morti ammazzati. Secondo me l'assassino o gli assassini completarono il servizietto favoriti dal buio. Stamani i tre spazzini al primo viaggio, avvistarono il corpo e ci chiamarono.”

"Tracce?"

"Su quella trazzera? Vuole babbiare."

"Chi è il magistrato titolare dell'inchiesta?"

"Il dottore Panzavecchia."

"Ottima persona.”

"Già.” Uno che non rompe i cosiddetti, pensò Bonanno.

"Dell'autopsia che mi dice."

"Nulla di più di quello che già si supponeva. Il poveretto fu colpito con qualcosa di pesante. Il primo colpo dietro la tempia probabilmente lo stordì. Il secondo invece, assai più violento del primo, gli spaccò l'osso occipitale ed il parietale destro, i pezzetti delle ossa si ficcarono nel cervello e provocarono una copiosa perdita di sangue che ne causò la morte in poco tempo. Non sono state riscontrate altre ferite. Il decesso avvenne 12-24 ore prima del ritrovamento."

"Quali sono le sue deduzioni maresciallo?"

Bonanno squadrò l’ufficiale. Nella collottola di Basilio Colombo spiccavano violacei e purpurini i baci infuocati della vedova. Lo prese la rabbia.

"Ancora è prematuro per formularne qualcuna di convincente. In ogni caso...escluderei il suicidio volontario" concluse provocatore.

"Mi trovo perfettamente d'accordo con lei."

Minchia, la faccenda era ancora più grave di quanto supponesse. La vedova oltre alla pelliccia gli stava mungendo pure le cellule grigie, capacità di ragionare compresa. Non era il caso di tirarla per le lunghe.

"Sono portato a credere che lo fecero fuori in un altro luogo. E poi durante la notte  si sbarazzarono del peso. Rimane da capire per quale schifio di motivo l’ammazzarono. La rapina potrebbe essere un valido movente, ma perché mi domando e dico, rischiare di farsi scoprire trasportando poi il cadavere sino alla discarica? 

E qua siamo alla seconda ipotesi: ci troviamo di fronte a un regolamento di conti. Sul corpo però non sono state riscontrate lividi, se si escludono delle graffiature alla faccia. Ma potrebbero essere stati dei cani randagi mentre frugavano alla ricerca di cibo nella discarica.

Oppure ancora, terza ipotesi, si tratta di un avvertimento, un ammonimento nel significativo linguaggio dei siciliani, spedito a qualcuno che pestò i piedi negli appalti per lo smaltimento dei rifiuti. Qua si fanno affari d'oro pure con lo sterco di cane. Appena lo identifichiamo ne sapremo certo di più. Per ora ci dobbiamo accontentarci di poche congetture..”

"Testimonianze? Qualcuno lo ha notato in giro?.”

"Capitano senza offesa, ieri era giornata di mercato, Villabosco era strapiena di forestieri. E poi che caspita mostriamo le foto del cadavere?"

"Ha ragione Bonanno. Allora dica, come stiamo procedendo?"

"Al solito. Pigliammo le impronte digitali e allertammo tutte le Stazioni. Chiesi pure al Comando di verificare se nelle altre città denunciarono qualche scomparsa. Finora  niente, ma non dispero."

"Bene bene. Allora restiamo in attesa di sapere se ci sono novità."

Bonanno decise di tentare una carta disperata.

"Signor capitano, col suo permesso, considerato che tutto sommato non mi pare che trattasi di un caso di estrema gravità, ci ricordo che fra pochi giorni io dovessi partire in licenza e se lei potesse evitare viaggi lunghi fuori sede con la sua macchina... sa com’è, con la marmitta che si guasta spesso..."

"Non se ne parla neanche Bonanno. Questo è un tipico omicidio siciliano, lo ha detto lei stesso. Lei conosce questi luoghi ed i suoi corregionali meglio di chiunque altro, lei è persona as-so-lu-ta-men-te indispensabile alla Compagnia in momenti come questi. Per la licenza ci sarà tempo dopo."

Bonanno maledisse la sua linguaccia e le congetture della madonna. Tentò ancora. Non aveva voglia di affrontare la furia di Vanessa.

"Potrebbe occuparsene il brigadiere capo Steppani.”

"E' lei la persona giusta per questo genere di cose, niente discussioni. Le affido le indagini, so che non mi deluderà. Contento?"

"Una pasqua.”

 

Chino sulla macchina da scrivere, Steppani era concentrato a riformulare le testimonianze dei netturbini. Gli era bastava una sola occhiata del maresciallo per intuire che forse nella sua trascrizione qualcosa non andava.

Bonanno si chiuse nella sua stanza a rompersi la testa su come impostare la questione con Vanessa: la settimana di vacanza a Ustica, era sfumata un’altra volta. L'avevano fissata da tempo, una settimana di evasione dal mondo, a contatto con la natura per godere di acque incontaminate e gustare pesce appena pescato. 

Preferì concentrarsi sul caso e rimandare la questione.

Un uomo tra i 55-60 anni viene ammazzato con un colpo alla testa. Lo trovano nell'immondizia. L'autopsia non evidenzia altre ferite. A parte dei graffi sul volto ed una vecchia cicatrice sul petto. Forse un intervento chirurgico o una vecchia ferita. Chissà. Che nasconde quel carcame? Chi era? Da dove veniva?

Per quanto si sforzasse non riusciva a pensare, l'unico volto che continuava a pigliare forma davanti ai suoi occhi, contornato da nuvolaglie fumogene, era quello del capitano. Lo massacrò senza poco alla volta, smontandolo pezzo per pezzo. Solo la vedova si sarebbe preoccupata della sua scomparsa.

Balzò in piedi di botto. Come una furia irruppe nella stanza del subalterno.

"Steppani" muggì.

Fu travolto da un rovinoso rumore di sedie. Steppani ruzzolò all'indietro. Nella foga trascinò appresso la macchina da scrivere.

"Comandi maresciallo.”

"Quando ti rialzi inoltra copia di questa foto a tutti i Comandi provinciali. Poi attaccati al telefono e informati se presentarono denunce di persone scomparse. Subito.”

"Ma abbiamo già mandato una nota informativa, ci faranno sapere loro qualcosa. Mi sono appositamente raccomandato."

"Attaccati subito a quel minchia di telefono.”

"Comandi.”

 

Trentasette minuti dopo, con dipinto sul volto il sorriso dei serafini, Steppani bussò con tocco leggero nell’ufficio del suo comandante di Nucleo Operativo, nonché vicecomandante di Compagnia pressoché in servizio permanente.

"Posso entrare?"

"Mi sfotti Steppà?"

"Fosse mai maresciallo, non mi permetterei."

"Allora per quale motivo stai a fare tante cerimonie? Entra e sputa. Prima che parli però ti do un consiglio Steppà, se non vuoi fare un altro volo, levati quel risolino da gioconda."

Il brigadiere ubbidì all’istante. "Ci siamo. Una signora di Cefalù ha denunciato la scomparsa di tale Pietro Cannata. Manca da due giorni. Dalla descrizione fornita ai colleghi sembra proprio che si tratti del nostro uomo.”

"Minchia.”

"Salute maresciallo.”

 

 

 

 

III

 

La bambina sgambetta spensierata nei boschi. Ha piovuto da poco. L'afrore che sale dalla terra gonfia le nari. Un profluvio di umori si sposa ai colori rugiadosi dell'alba. La bambina ha lunghe trecce fulve legate con nastro turchese. Indossa un vestito leggero ed una giacchetta  rossa per proteggersi dall'umidità. Corre e ride. Ode gli uccelli cantare e dentro le scoppia la gioia.

La vita le sorride dalla cima degli alberi e dai picchi innevati. Nella sua terra la felicità è fatta di piccole cose. Il paesaggio circostante è uno di essi. La bimba osserva i colori che si riverberano sui picchi lontani e ne traggono bagliori rossastri sfumati nel rosa. E’ una giornata d'autunno. I primi funghi fanno capolino nel bosco. La bimba ama addentrarsi tra felci e arbusti, scostare le ferule e chinarsi sugli ombrelli carnosi. La sua mamma è tanto brava a cucinarli.

La bimba corre ancora e ancora ride felice. Il paesaggio cambia. E non più boschi e funghi, ma lunghe spiagge grigie. Il mare muggisce sotto il maestrale. Le onde si increspano a riva, versando spuma sui solchi di rena, come sale sulle ferite.

La bambina sente un dolore trafiggerle la schiena. Spilli la pungono. Si volta. Nessuno. L'inquietudine prende forma nell'aria, diventa presenza fisica. Occhi accesi la stanno osservando nascosti dietro le dune. Occhi di fuoco. La bimba avverte il pericolo, e fugge via. Non ha più voglia di cantare. Scappa lontano. Sulla rena rimane il cestino rovesciato ed un nastro turchese.

Vorrebbe tornare indietro, recuperarli. Gli occhi pelosi attendono acquattati. La bimba indugia, non vuole dispiacere la mamma. Ansima, il respiro le abbassa e solleva la piccola gabbia toracica. Adesso ha caldo, sbottona la giacchetta rossa. Il collo è una vampa umida.

Negli occhi acquattati balenano scintille multicolori. Osservano e aspettano. Si nutrono dell'indecisione della piccola, percepiscono la sua paura, se ne cibano.

La bambina muove un passo in avanti. Poi ancora un altro. Ed ancora un altro.

Gli occhi acquattati diventano più accesi. La lingua ispida lascia un fiume di fetida saliva sul labbro superiore.

La bimba si ferma, ha avvertito di nuovo la presenza nell'ombra. Ora sta correndo. Non si volta indietro. Arriva a casa, entra e si tuffa nelle braccia sicure della mamma.

                                                  * * * * * * * * * * * * * *

 

Bonanno indugiò a lungo prima di decidersi a smontare dalla Punto. Affrontare Vanessa gli provocava un garbuglio alla bocca dello stomaco, non sapeva mai come prenderla e rimandava la baruffa trasformando l'abitacolo dell'utilitaria in una camera a gas. Nel posacenere le cicche si ammonticchiavano contorte. Sentiva la bocca amara e impastata. I denti sfibrati dal troppo fumo. Spezzò il circolo vizioso con una mentina.

Smontò, consapevole della battaglia impari che si preparava ad affrontare. Salì i pochi gradini della scala ed aprì il portoncino.

"Sei tu Saverio?"

"Si mamà."

"Mi stavo pigliando di spavento, si fecero le otto. Sto aspettando da un'ora."

"Feci tardi, ci fu lavoro in caserma."

"Per quel morto ammazzato che trovaste in mezzo all'immondizia?"

"Come lo sai?"

"Lo dissero alla televisione."

"Questi giornalisti... e che panzane si inventarono, sentiamo."

"Che dovevano dire, parlarono del morto ammazzato, fecero vedere l'immondezzaio e dissero che l'Arma indaga. E magari che volete arrestare i tre spazzini. Ma che fecero quei mischini? Si misero nei guai?”

"Bona mamà non ti agitare, ci fu un quiproquo."

"E parla come mangi figlio mio.”

 "Niente, mamà, si trattò di un poco di confusione, nulla più. Pigliarono informazioni col capitano che impegnato tra macchine e meccanici non sapeva bene com'era andata la storia e buonanotte ai suonatori.” 

" Volessi dire che quelli alla televisione ci contarono fesserie? E contami tu allora come fu il fatto."

"Lasciamo perdere. Vanessa non è rientrata?"

"Aveva lezioni di catechismo. Finisce tra una mezzorata. Apparecchio?"

"Che si mangia stasera?"

Ditali con frittella di fave fresche e pecorino pepato. Non aspetti Vanessa?"

"Se non mangio subito, capace che non mangio più. Si prepara aria tinta."

"Non ti mittisti a dieta?"

"Bonanno non rispose. Si tuffò sulle fave calde calde, li condì con abbondante ricotta salata e per qualche minuto si conciliò col mondo intero.

Il rumore della porta che si apriva lo fece trasalire. E gli rovinò la digestione.

"Vado in bagno."

" E noi qua siamo, Saverio."

 

Vanessa dapprima non disse nulla. Rimase come intronata. Bonanno si pigliò di spavento. Forse aveva esagerato a comunicarle così, a bruciapelo, che la vacanza era sfumata. Poi i peluche cominciarono a svolazzare per la stanza, seguiti da strilli e pandemoni. Bonanno si tranquillizzò. La furia della bambina coinvolse un vaso di plastica, diversi libri, una pila di giornali. Alla fine della sfuriata le lacrime fuggirono via e si buttò sul letto singhiozzando.

"Lo sapevo, lo sapevo" piagnucolò.

Solo allora Bonanno uscì dal bagno. Si avvicinò al divano. Si sedette e le carezzò i capelli, porgendole un fazzoletto.

"Mi dispiace piccola, stavolta non è colpa mia. Credimi piccola le provai tutte, ma non ci fu verso. Ti prometto che......"

L'urlo di Vanessa lo sorprese. Lo fece traballare. Bonanno indietreggiò, soccombendo sotto gli epiteti che lo travolsero come una valanga. Quando Vanessa sfogò la rabbia e gli passò sopra, puledro selvaggio e ferito, di lui non rimase che uno straccio d'uomo.

"Se pesco quella vedova, gli infilo la marmitta dove dico io" pensò prima di ritirarsi nella sua stanza.

Di dormire non se ne parlò per buona parte della notte. Sua figlia aveva ragione. Quando sarebbero riusciti ad avere di nuovo alcuni giorni liberi a maggio per andare in vacanza? Le elezioni provinciali non si tenevano mica ogni anno. E le scuole continuavano a chiudere a giugno.

Si girò e si rigirò Si alzò. Bevve dell'acqua dal frigo ed accese l'ennesima sigaretta. Cincischiò col telecomando. Dal video ammiccavano manze sculettanti e mandrilli allupati. In sovrimpressione numeri telefonici che a comporli e farsi spilluzzicare per dieci minuti, si giocava un quarto di stipendio.

Spense con fastidio. Tornò a letto. Il volto tumefatto del morto ammazzato gli ballonzolava davanti. Provava pena per quel cadavere offeso dalla morte e dal putridume. Non aveva ancora imparato, nonostante vent'anni di servizio nella Benemerita, a trattare i morti ammazzati per quello che erano. Appunto dei morti ai quali, quando ci riusciva, poteva assicurare la pace della memoria, mettendo i ferri ai macellai che li avevano fatti fuori.

Ma non sempre aveva successo. E quello sembrava un caso rognoso. Non riusciva neanche a lasciare da parte i pensieri che circondavano ogni morte. Un difetto del quale si vergognava. In pubblico non ne parlava mai, né dava sentore di quella  debolezza. Ma quando si ritrovava da solo, nel buio della stanza, steso tra le coltri, incapace di fingere, i fantasmi  accantonati in un angolino durante il giorno, sbucavano fuori.

Ed allora i morti ammazzati prendevano vita. Li vedeva camminare lungo viali alberati scherzando coi figli o al cinema a gustare scene romantiche e pop corn o al mare a sbucciarsi la pelle al sole bruciante dell'isola.

Odiava la morte violenta che privava un essere umano del suo diritto alla vita. Odiava la violenza. Ne soffriva. In silenzio. Sentimenti che solo chi ha rispetto della vita era capace di provare.

Si alzò di nuovo. Raggiunse la camera della piccola. Dormiva avvinghiata alla papera parlante. Un angioletto arrabbiato. Dolce e indifeso. Poggiò le labbra sulle guance inerti e le sfiorò con un bacio. Rientrò. Si rimise a letto. Si girò e si rigirò ancora.

Quando prese sonno, l'alba già orlava di rosso le nubi gonfie. Il giorno si annunciava caldo e lungo.

 

La sveglia suonò due ore dopo. Si levò insonnacchiato. Raggiunse la doccia e si tuffò sotto, affidando al getto freddo il compito di schiarirgli il cervello appannato. Il primo caffè lo trangugiò bollente. Bello zuccherato. Evitò con cura di avvicinarsi alla bilancia. Accese la prima sigaretta. Col telecomando cercò in tivù le pagine con l'oroscopo. Pessime previsioni.

La faccia di Vanessa ancora immusonita, confermò che l'astrologo non mentiva.

"Dormito bene principessa?"

Silenzio. La piccola imburrò una fetta biscottata.

"Vengo a prenderti a scuola più tardi?”

Nessuna risposta. Sulla fetta biscottata Vanessa stese uno spesso strato di marmellata all'albicocca.

"Sei ancora arrabbiata con me tesoro di papà?"

La fetta biscottata saettò verso di lui.  Bonanno la scansò per poco.

"Ci siamo spiegati a meraviglia,. come non detto" capitolò.

La tentazione di far fuori la vedova assatanata che si stava succhiando lentamente il capitano, lasciando lui a gestire rogne varie, fu così forte che lo fece sbandare. Si accese un'altra sigaretta per smaltire il nervoso. E bevve un nuovo caffè.

La giornata cominciava proprio bene.

 

Arrivò in ufficio già pigliato dai sette turchi.

"Si può sapere che schifio significasse quello che stai cianciando? No ci sto capendo  una minchia. Steppà vediamo di non rovinarci la mattinata. Del capitano abbiamo notizie?"

"Maresciallo ho controllato di persona. Le notizie sono certe. La donna ha riconosciuto l'uomo scomparso dalle foto. Non ci sono dubbi. Si tratta di Pietro Cannata, anni 57, nativo di Sciacca, residente a Porto Empedocle. Ex marinaio, poi commerciante all'ingrosso di pesce. Sposato con Maria Crocifissa Coticchio di anni 55. Padre di tre figli. Una femmina di anni 32 e due maschi di 26 e 16. Incensurato. Scomparso dalla sera del 10 maggio."

"Ottimo lavoro. Bravo Steppani.”

"Si ma qualcosa non quadra?"

"Ah no?"

"No."

"E che schifio fosse questa cosa?”

"L'uomo risiedeva con la famiglia a Porto Empedocle, ma la denuncia per scomparsa è stata presentata alla caserma dei carabinieri di Cefalù."

"E allora Steppani, che ne facciamo un caso di geografia? A noi che ce ne impipa? La vedova è liberissima di andare dove ci pare a sporgere denuncia. "

"Ecco maresciallo, questo è il punto. A presentare la denuncia non è stata propriamenti la... moglie, tale Maria Crocifissa Coticchio."

"Ah no?"

"No."

"E allora chi caspita fu?"

"Un'altra donna che non teneva nessuna parentela ufficiale col morto, esclusa quella che lei può facilmente immaginare. Si chiama Giuseppina Malacasa, detta Rosina, di anni 34. Di professione parrucchiera. Nubile."

"Minchia.”

"E buona salute maresciallo.”

 

 

 

IV

L'aria era secca, rispettosa dei luoghi solitari e benedetti dove le spoglie degli uomini riposano dopo i travagli della vita. Sapeva di fiori marciti e tombe non del tutto sigillate. I cipressi immobili si allineavano malinconici sul viale di ingresso. Bonanno nutriva una sana allergia per i camposanti. Il custode sembrava uscito da un sepolcro.  Si avvicinò zoppicando ad aprire la porta dell'obitorio.

Steppani lo guardò torvo. Lo zoppo rispose con un ghigno da raccapriccio. Steppani distolse lo sguardo con disinvoltura.

Poco distante, Maria Crocifissa Coticchio in gramaglie, affidava ad un fazzoletto stinto dolore e lacrime. Era una donna piccola e triste, gravata dal peso della ferale notizia. Una donna disfatta, invecchiata troppo presto. Accanto a lei due armadi ambulanti. I figli Nico e Pino.

Bonanno si avvicinò con volto teso. Il dolore degli altri non riusciva a scivolargli addosso, gli restava attaccato ai vestiti. Penetrava nel derma e se lo portava dietro per giorni.

"La signora Coticchio? Sono il maresciallo Bonanno.”

"Buongiorno" rispose una voce stentata, arrochita dal pianto, tendendo una mano bianchiccia.

"Salutiamo maresciallo" fecero eco gli armadi.

"Siete pronti?"

"Si" risposero gli armadi.

"E allora coraggio, procediamo."

"Mi faccia strada, ci vengo appresso" disse Pino, il più grande. Poi rivolto al fratello: "rimani qua, fai compagnia alla mamma."

Steppani si accodò. Il custode era voltato, Steppani ne approfittò per fargli le boccacce. Entrarono nell'obitorio. Sul marmo scuro, il corpo senza vita dell'uomo  pareva una statua oscena. Era coperto da un lenzuolo sporco. Il puzzo di morte stagnava nell'aria. Bonanno aveva voglia di vomitare.

Il custode sollevò il lenzuolo. Il giovane armadio per un attimo barcollò. Riprese subito il controllo. Respirò forte e profondo.

"Si, è lui. Mio padre. Pietro Cannata."

Bonanno fu il primo a proiettarsi fuori. Inspirò a fondo l'aria che sapeva di cipressi. Steppani lo imitò. Il custode sorrise commiserandoli mentre si chiudeva la porta alle spalle.

Il giovane si avvicinò alla madre. La fissò dritto negli occhi e l'abbracciò forte. Maria Crocifissa lanciò un urlò senza forza e si strinse al figlio minore. Divenne ancora più piccola e nera.

Bonanno pensò che a volte i nomi non portano fortuna. Scacciò quel pensiero e si diede dello stupido.

"Steppani aspettami in macchina."

"Comandi maresciallo."

Si avvicinò ai tre. Non sapeva da che parte cominciare. Prese tempo accendendo una cicca. Steppani avviò il motore e lo mandò sotto shock con due colpi d'acceleratore da formula uno. Anche il lampeggiatore luminoso prese ad inviare inquietanti bagliori rossastri. Bonanno scagliò lontano la sigaretta e si ripeté di stare calmo.

"Signora ci domando scusa, capisco che non è il momento, ma ci ho bisogno di parlare con lei. Poche formalità."

"Quando possiamo portarlo a casa?"

"Non ci sono problemi per questo, mi premurerò personalmente... contatterò il magistrato per sollecitare la restituzione della salma di suo marito."

La signora ebbe un lieve cedimento. Gli armadi la sostennero.

"Mia madre non è cosa di parlare, maresciallo.”

"Capisco, ma si tratta di alcune formalità, roba di poco conto. Ci sbrigheremo in poco tempo.”

"Maresciallo, mia madre non è cosa. Ci posso essere d'aiuto io?" insistette Pino Cannata. Pronunciò quell'ultima frase con fermezza, puntando su Bonanno occhi duri. Saette che dicevano tutto.

"Nessun problema. Ci presento di nuovo le mie condoglianze signora."

L’ululato improvviso sirena fece sobbalzare tutti. Bonanno per poco non si strozzò con cicca e fumo e fucilò Steppani all’istante.

 

Nell'ufficio la temperatura era abbastanza fresca.

"Lo gradisce un caffè? Cacici due stretti e forti per piacere."

"Sentiamo maresciallo che altro ci serve sapere?"

Bonanno avvertì la nota infastidita nella voce del giovane. Sotto la massa di muscoli tesi, Pino Cannata tratteneva a malapena il furore. Un vulcano pronto ad eruttare. Era una partita condotta sul filo del rasoio. Decise di passare all'attacco.

"Stammi bene a sentire giovanotto, se non sai manco dove sta di casa l’educazione, manco io mi faccio cruccio di usartela, e quindi vediamo di chiarire subito un punto. Qua dentro, ti garba o no, io rappresento la legge, tuo padre fu ammazzato come un animalo da qualcuno, non so ancora chi e sto cercando di beccarlo, ma mi servono informazioni. Per ora so solo che tuo padre si allontanò di casa almeno 24 ore prima che qualcuno ci spaccasse la testa.

Ora, invece di denunciare la scomparsa sua moglie o i suoi figli, com'era naturale,  alla caserma di Cefalù si presenta una gentildonna che ancora non ho il piacere di conoscere. Tale Giuseppina Malacasa detta Rosina. Di vent'anni più giovane di tuo padre buon'anima. Giovanotto è chiaro ora quello che voglio sapere da te?"

Pino Cannata cangiò colorito.

"Io non sono tenuto a risponderci."

"E io non sono tenuto a sopportare la tua cafonaggine, fuori di qua, vediamo se tua madre saprà dirmi qualche altra cosa. Caciciiii "

"Maresciallo che fu? Pigliò a foco la caserma?"

"Accompagna questo baldo picciotto fuori dai cosiddetti."

"Aspettasse maresciallo......ci domando scusa."

"Scusa non basta. Allora chi mi rappresenta questa Giuseppina Malacasa, detta Rosina, di anni 34, parrucchiera?"

Pino Cannata avvampò, le vene del collo si dilatarono, divennero torrenti blu. I muscoli saettarono. Abbassò la testa.

"Posso?" chiese indicando le bionde.

Gli allungò una cicca. Nella stanza il fumo salì denso. Attraverso di esso, Bonanno vide tramutarsi la faccia di pietra dell'armadio. La maschera dura del bullo cascò a pezzi.  Lasciò posto ad un giovane ventenne. Bonanno congedò Cacici, ricordandogli i caffè.

"Rosina era la sua troia. Quella grandissima e fitusissima buttana. Ci aveva fatto la fattura, mio padre si era ammammaloccutu.Ò E' tutta colpa di quella schifosa bagascia."

Per farsi perdonare il colpo di sirena al cimitero, Steppani si era premurato di sostituire Cacici. Entrò proprio in quel momento coi caffè.

"E salute" disse posando sulla scrivania due bicchierini di carta e altrettante bustine di dolcificante. Bonanno lo incenerì con occhi di fuori. Steppani fece rapido dietro front.

"L'avevo sospettato. Sua madre non sa niente vero?" riprese il maresciallo.

"Quando mai... è una donna all'antica, casa e chiesa. E' tanto buona mischina, magari troppo. Credeva a tutto quello che quel porco ci impapucchiava, non aveva sospetti. Quando lui stava via per tre quattro giorni, ci diceva che andava a Mazara o a Sciacca a trattare acquisto di pesce d'alto bordo. Mia madre non aveva motivo di sospettare. Lo schifoso dopo che aveva fatto i suoi porci comodi tornava sempre a casa. Povera mamma non meritava  pure questo."

"Suo padre veniva spesso da queste parti?"

"Non lo saccio.”

"Sa se conosceva qualcuno o aveva affari da sbrigare quaggiù.”

"Noni."

"Non la metteva al corrente dei suoi spostamenti?"

"Maresciallo non ci siamo spiegati... io e mio fratello con lui ci parlavamo appena. Travagliamo nella pescheria di famiglia, ci occupiamo della vendita al minuto. Mio padre....quell'uomo, stava poco e niente con noi, sempre perso dietro alle sue femmine o via per affari. Non aveva tempo per parlare coi suoi figli. Mio fratello ne ha risentito molto, lui è ancora un ragazzino, meritava un padre migliore."

"Suo padre teneva qualche nemico?"

"Non ci siamo intesi, io della sua vita privata non so una minchia. Per me era tale e quale un estraneo. Quando eravamo picciriddi stava imbarcato e non lo vedevamo...quasi mai. In casa, quelle poche volte che c'era, si mangiucchiava in silenzio guardando la televisione e poi via. In pescheria ancora peggio. Si e no ci parlavamo quattro cinque volte al mese, per concordare il prezzo del pesce, fare qualche conto e cose di questo genere. Ma con le femmine... eccome se parlava."

"Una famiglia unita" si sorprese a sottolineare Bonanno.

Il giovane scostò il caffè con gesto infastidito. Indossò lesto la maschera. Bonanno intuì di essere stato troppo istintivo.

"Ti domando scusa.... non volevo essere sgarbato, anch'io tengo i miei problemi in casa. Scusami, sono stato un villano cafone. Si fa presto a parlare degli altri, a giudicare. E’ che a volte quando nelle famiglie succedono cose così, io ...m'incazzo, ecco. Accetta le mie scuse."

"Io non so perché lui era venuto qua. Per me poteva trovarsi pure al Polo Nord o da qualunque altra parte di questa porca terra. Era un fantasma. E se proprio vuole che  ci additi un suo nemico, eccolo qua davanti a lei maresciallo. Che fa mi vuole arrestare?"

 

Bonanno fissava senza vederli i documenti sulla scrivania, scartoffie che doveva completare per il Comando. Odiava stendere i rapporti, avrebbe pagato per non farlo. Davanti ai suoi occhi si agitavano altre immagini. Al volto del morto ammazzato si sovrapponevano quelli dei figli e della moglie. Nell'ombra restava Rosina. La pettinatrice di Cefalù. Che aspetto aveva? Provò a figurarselo, ma la fantasia non l'aiutava. Si rappresentava attrici, giornaliste, soubrette e poi all'improvviso comparve la sua ex. Fascinosa e crudele come sempre. Si ritrasse subito dall'immagine e si rifugiò nella realtà. Le scartoffie da completare erano sempre lì.

"Steppani."

"Comandi maresciallo."

"Quello che combinasti stamani al camposanto fu .....inconcepibile, ecco. Come ti venne in mente di sparare un colpo di sirena in quel sacro loco?"

"Mi scappò la mano."

"Te la dovessi tagliare, te la dovessi."

"Maresciallo.."

"Che c'è Steppà?"

"Ce li riempio io quelle carte?"

"Per stavolta non te la tagliasse."

 

 

 

V

Con indosso jeans chiari, camicia a quadri e giubbotto di renna, il capitano aveva l'aria di uno scanzonato studente universitario piuttosto che di un militare di carriera, con alle spalle seri studi all'accademia. La vedova gli stava snaturando il sangue, si disse Bonanno, che già intuì l’aria che tirava quando se lo vide presentare nell'ufficio. Basilio Colombo tirato a lucido, feteva di dopobarba. I capelli impastati di gelatina tirati all’indietro e gli occhiali da sole completavano il travestimento.

"Buongiorno maresciallo, novità?"

"I familiari hanno riconosciuto la vittima, si tratta di un pescivendolo che commerciava all’ingrosso. Era nativo di Porto Empedocle, rispondeva al nome di tale Pietro Cannata. Ho già parlato col dottore Panzavecchia per la restituzione del corpo alla famiglia. Stiamo verificando la denuncia di scomparsa. La presentò una parrucchiera di Cefalù. Il figlio sostiene che trattasi dell'amante."

"Ah bene, come al solito vedo che segue attentamente il caso. Il segugio è in azione eh? Se ha stilato un primo rapporto lo firmo."

"Se ne sta occupando il brigadiere Steppani."

"Ottimamente. Allora lo visionerò più tardi."

"Con comodo capitano."

"Maresciallo, anche stamane.devo allontanarmi per ...diciamo così esigenze personali...lei capisce vero? Ho grande fiducia in lei e negli uomini del suo Nucleo, mi può sostituire senza problemi. Ormai il caso è quasi risolto e quindi....."

Bonanno soffocò un mugghio. La marmitta del capitano pretendeva un’altra regolatina. Ingorda gioventù. Mentre lo vedeva andar via, per vendetta personale, aggiunse "vasa vasa voccuzza di meli, tu si bagascia e iu sugnu mugghiera.”

Il senso del proverbio era ben diverso ma non si fece scrupolo e l'adattò allo scopo. A lui le incombenze ed al comandante di Compagnia il sollazzo. Si rodeva. Pure a lui sarebbe piaciuto avere un meccanico personale.

"Che osteria sto dicendo? Mi sono amminchionutoÒ . Mettiamoci al lavoro va prima di fondere il motore scassato che tengo."

"Come dice maresciallo?"

"Nulla signor capitano, nulla, vada tranquillo. Regolasse marmitta, freno a mano e magari la frizione che tanto qua provvedo a tutto io.”

 

"Steppaniiiii."

Trafelato il brigadiere entrò nell'ufficio. Aveva le mani nere.

"Che combinasti? "

Il brigadiere si guardò smarrito torno torno.

"Dove?"

"Alle mani intendo."

"Il nastro della macchina da scrivere."

"Tu e la tua voglia di scarabocchiare..."

Steppani lo sotterrò sparandogli un’occhiata assassina.

"Sentimi bene Steppà, attaccati al telefono e piglia contatto coi colleghi di Cefalù. Domanda del maresciallo Liborio Spanò è un mio buon amico. Dicci che vogliamo conferire con madamigella Rosina comesichiama. In qualità di persona informata dei fatti, la voglio sentire domani alle dieci. Loro la convocano in caserma e noi ci  sorbiamo questo bel viaggetto. Voglio vedere che ci conta e che faccia ha una che si  fa chiamare Rosina.

Poi ti riattacchi al telefono e chiami pure i colleghi di Porto Empedocle. Voglio sapere tutto del morto, chi era il suo commercialista, in quali banche si serviva, se aveva altri .....interessi. Insomma tutto."

"Agli ordini maresciallo.”

" Torrisi e Brandi rientrarono?"

"Ancora no."

"Li chiamaste via radio?"

"Si."

"E allora?"

"Niente. Zero assoluto."

"Steppà qua il tempo passa, quello pensa a sistemare marmitta e spinterogeno e noialtri ancora non sappiamo se questo disgraziato si trovava in questo schifio di posto o da qualche altra parte quando ci spaccarono la cocuzza. Che vogliamo fare?"

"Corro a telefonare."

 

Ruggiva peggio di un leone sciancato. E pensare che poteva trovarsi a Ustica, a scialarsela con vassoi stracolmi di stuzzicante pesce appena pescato che sapeva di mare e tanto leggero che non dava noia al colesterolo. Ed invece eccolo alle prese con le rogne e, per colmo, il morto trafficava col pesce. Cose da turchi. E come se non bastasse Vanessa non gli rivolgeva la parola. La vita era una torta di vacca rinsecchita. Quel caso non gli dava pace. Se ne occupava con un moto di fastidio e la sensazione di sbirro che pizzicava. Forse si sbagliava, ma poteva mettere la mano sul foco che scavando avrebbe trovato più merda di quella dove l'avevano rinvenuto.

Il centralinista Vito Cantara, gli squillò.

"Maresciallo il sindaco in linea."

"Parlava bono o chiccheggiava?Ò"

"Chiccheggiava e sputacchiava.”

"Allora agitato è. Ci domandasti che caspita vuole?"

"Accennò alla discarica sequestrata."

"E tu che ci dicesti?"

"Che il maresciallo si trovava fuori sede per lavoro."

"Bravo."

 

Steppani entrò raggiante. Bonanno si mise in appagno.

"Fatto maresciallo. Domani alle dieci la signorina Rosina è convocata in caserma. Il maresciallo Liborio Spanò si rivelò ottima persona e carabiniere di razza. Mi disse di salutarla tanto."

"Tu ricambiasti?"

"Con tanta affettuosità. A che ora partiamo domani? Penso che in un'ora e venti ce la facciamo. Senza spingere naturalmente."

Bonanno gli regalò un’espressione stranita. La frenesia di Steppani di scatenarsi alla guida dell'Alfa 155 era evidente. Non tutti i giorni aveva l'occasione di lasciare liberi i cavalli della berlina su tracciati lunghi e dritti e larghe corsie. Per arrivare a Cefalù dovevano abbandonare la Montanvalle, imboccare l'autostrada Palermo-Catania, proseguire per alcune decine di chilometri, immettersi sull'autostrada Palermo-Messina e tornare indietro per un tratto, prima di abbandonare il paesaggio interno di campi e colline. Ce n'era più che abbastanza per eccitare le fantasia da pilota pazzo di Steppani. Bonanno ricordò la sensazione delle budella in bilico tra lo stomaco e le tonsille. Decise seduta stante.

"Domani serve qualcuno per rimpiazzarmi in caserma."

"Incarico subito il collega Passalacqua."

"Passalacqua si maritò tre giorni addietro."

"C'è il maresciallo Marcelli."

"Steppà non ci siamo spiegati. Tu resti qua. Domani mi accompagna Cacici. A Cefalù ci voglio arrivare vivo."

La smorfia sul volto del brigadiere capo fu evidente persino al quadro del presidente della Repubblica fissato alla parete.

Pennellò Bonanno con odio feroce e lo servì con lo stesso metro: "il Comando provinciale ha richiesto di integrare due vecchi rapporti. Li vuole al più presto. Ce li metto subito in evidenza sulla scrivania. Ci auguro buon lavoro maresciallo.”

 

Davanti la scuola sostavano auto in doppia fila e genitori in attesa. I vigili urbani disciplinavano il viavai questionando coi genitori ritardatari che non trovavano posto. Nello spazio di poche decine di metri quadri, ogni giorno a quell'ora,  prendevano forma due autosaloni ben forniti di vetture di ogni tipo e colore. Scatolette di carne viva.

Bonanno lasciò la Punto distante. Parcheggiò come si conviene ad un servitore delle Stato e si avviò a piedi verso la struttura. La divisa riluceva al sole di maggio, gli alamari riverberavano i raggi. Avanzava imponente e massiccio. La dieta era ben lungi dal sortire gli effetti desiderati. Lo salutavano tutti con riverenza. Non capiva se per via della divisa o della mole.

La campanellina d'uscita non si fece attendere. La ciurma vociante di gambette e visi rubicondi si tuffò fuori in un tripudio di colori. Lo spiazzo fu invaso dai bimbi. La marea vociante dilagò. Si diluì in rivoli. Alcuni seguivano i genitori. Altri assaltarono il bus scolastico.

Bonanno si fece avanti. Sul volto stampò il suo miglior sorriso. Mosse la mano in segno di saluto. Vanessa lo degnò appena di uno sguardo infastidito e proseguì come se niente fosse, mimetizzandosi tra gli altri compagni. Salì sull'autobus e prese posto.

Bonanno sentì un pugno colpirlo direttamente alla bocca dello stomaco. Il calore si irradiò cattivo fino al volto. Vide rosso.

Sebastiano Caramazza, autista del bus, da sette anni al servizio dell'amministrazione comunale, dopo aver controllato che i bambini fossero a bordo, azionò il comando di chiusura degli sportelli. Le portiere sfrigolarono e produssero un rumore sordo. L'autista si voltò con la bocca spalancata ad osservare il maresciallo che, bloccando col piede le due ante, salì baldanzoso a bordo.

"Vado via subito, nessun problema ragazzi."

Percorso il corridoio afferrò Vanessa per un orecchio e la trascinò di peso sino all'auto.

Sulla Punto, quelle che sino ad allora erano state le proteste di una bambina che chiedeva di essere lasciata in pace, si trasformarono in uno strillo lancinante, l'ululato di una bestia ferita. Insopportabile. La cinquina si abbatté sulla faccia di Vanessa, un treno in corsa che stampò una galleria di dolore. Quando Bonanno menava, teneva le dita belle larghe, così da prendere in pieno tutta la guancia, che adesso appariva rosseggiante e gonfia.

Vanessa si azzittì all'istante, sorpresa: suo padre non l'aveva mai colpita.

"Ora possiamo andare. Fino a prova contraria signorina, un padre ancora ce l'hai. E se non ti piace, quando cresci mi spari in testa, ma fino ad allora, guai a te. Io trasparente ancora non ci addiventai."

Vanessa non fiatò.

 

 

 

VI

 

Giuseppina Malacasa detta Rosina, era come ci si aspetta che sia una donna che il buon Dio ha voluto dotare di tutte le sante cose al posto giusto. Alta quanto basta, sotto la camicetta occultava forzieri colmi nei quali il morto ammazzato di certo aveva trovato di che arricchire le sue piratesche scorrerie. I fianchi erano monti rotondi, pieni e cedevoli, a giudicare da come farcivano la poltrona dove si era accomodata. Portava i capelli alla moda, color rame acceso, che scendevano in lunghi boccoli sul collo roseo e tenero.

Bonanno salutò educatamente, intimorito di fronte a tanta grazia di Dio apparecchiata davanti a lui. E immaginava come il morto ammazzato se ne fosse servito fino a ingozzarsi. Se non fosse stato per gli occhi gonfi e le labbra tumefatte dal gran pianto della femmina sparapanzata davanti a lui, avrebbe avuto qualche difficoltà a non perdere di vista il vero motivo della sua trasferta a Cefalù.

"Permetta che mi presenti, maresciallo Bonanno, comandate del Nucleo Operativo di Villabosco, località dove è stato rinvenuto il corpo senza vita di tale.."

"La prego maresciallo... mi risparmiasse i dettagli. Lei venne fino a qua perché vuole sapere che rapporti tenevo con Pietro giusto? E io sono qua per dircelo. Pietro e io siamo...eravamo fidanzati, volevamo maritarci. Lui era un uomo meraviglioso, quello che ogni donna sogna di incontrare nella vita."

Bonanno pensò di avere  inteso male.

"Signorina, scusasse la domanda impertinente, ma lei lo sapeva che il signor Cannata era sposato e magari padre di due figli?"

"Tre figli maresciallo, due maschi e una femmina. Tutto sapevo. Lui sin troppo sincero era con me. Non mi nascondeva nulla, maresciallo, nulla. Uno specchio d'uomo ma tanto sfortunato e ora...pure questo."

"Si spiegasse meglio signorina Giuseppina."

"Rosina se non ci dispiace."

Lo disse accavallando le gambe con gesto naturale e provocante. Bagascia era la fimmina. A Bonanno venne in mente una famosa attrice, di cui non ricordava mai il nome, che si produceva nella stessa seducente scena in un film davanti ad altri sbirri, sudaticci al suo stesso identico modo.

"D'accordo...Rosina. Ci dispiace essere più chiara?" ripigliò allentandosi il nodo della cravatta.

"Ci siamo conosciuti tre anni addietro. Alla fiera campionaria Maremonti di Palermo. Lui esponeva dei magnifici pesci surgelati, di quelli presi in alto mare, così giganteschi che noi non siamo abituati. Cose impressionanti. Mai viste. Io ero andata con un'amica a fare un giro tra gli stand. Mi avevano parlato di un padiglione dove si trattava merce per acconciatori. Volevo tenermi aggiornata per non perdere colpi. Qua da noi la concorrenza diventò spietata, negli ultimi tempi ci si è messa pure la Finanza coi controlli e.... basta, me lo trovai davanti. Mi aveva seguita. In mano teneva un fiore, nell'altra un biglietto da visita. Mi disse che se volevo gustare del buon pesce, e non solo surgelato, potevo chiamarlo quando volevo. Lui sarebbe corso, in qualunque momento del giorno e della notte. Io e la mia amica ci mettemmo a ridere. Ma lui insistette."

"In che senso?"

"Nel senso che ci marciava maresciallo, sapeva di essere un tipo che piaceva alle donne e ci provava.”

"Ho capito, poi vi siete rivisti e ..insomma il pesce lo cucinaste insieme."

"Più o meno. Mi disse subito che aveva moglie, ma era così tribolato con quella strega accanto. Non ci dava tregua, lo torturava, lei e quell'altro bel tipo del figlio. Povero Pietro, che mala fine. Non lo lasciavano in pace, specie dopo che lui parlò di rifarsi una vita con me. Lo ricattava quella strega e ora ce l'hanno fatta pagare a Pietro mio, sono riusciti a seppellirlo."

La donna nascose gli occhi nel fazzoletto. Mostrava pudore del dolore. O fingeva a meraviglia. Con una come quella, bisogna guardarsi.

Bonanno distolse gli occhi a calamita dal seno di Rosina che pareva animato di vita propria, si alzava ed abbassava ritmicamente, e sprigionava un alito di calore profumato che si spandeva attorno. Ne era ubriacato. Attese alcuni secondi prima di ripigliare a parlare con voce apparentemente quieta.

"Signorina Rosina, come mai fu proprio lei a denunciare la scomparsa di Pietro Cannata?"

"Oh bella, questa è veramente da contare. E secondo lei che dovevo fare la bella statuina? Io e Pietro avevamo appuntamento, la sera non si è presentato, al cellulare non mi rispondeva e a casa sua non c'era. Lei che avesse fatto al posto mio?"

"Telefonò a casa sua?"

"Per l’appunto, mi presentai come una cliente. Quella strega rispose che Pietro si trovava fuori per affari. La bottana mi pigliava pure in giro mi pigliava."

"Quando lo vide l'ultima volta?"

"La settimana scorsa. Ma ci sentivamo tutti i giorni, magari due tre volte."

"Ricorda l'ultima telefonata?"

"La mattina della sua ....insomma ha capito. Dovevamo vederci la sera. Si trovava ad Agrigento, mi telefonò per dirmi che mi aveva comprato un regalo, credo fosse un paio di scarpe che mi piacevano tanto, nere con la fibbia dorata ed il tacco lucido.  Disse pure che doveva incontrare un tale, non ricordo il nome. Mi pare un commerciante di cereali. Aveva un affare da sbrigare, forse faceva tardi Era sereno, tranquillo come sempre ed invece..... povero Pietro, povero amore mio.”

 

"Un'ottima attrice la nostra esperta di pelame. E notasti le cosce? Colonne di marmo fino. Che mi dici Saverio?"

Il maresciallo Liborio Spanò stava sparapanzato sul divano. Si tuffava nella coppa colma di granita di fragola sormontata da un cielo di panna e due invitanti brioche che facevano venire l'acquolina in bocca solo a guardarle.

"Siediti e fammi compagnia. Questa è roba tua" disse allungando a Bonanno un vassoio da tremila calorie.

Bonanno soppesò Spanò con disgusto. Dai tempi del corso sottufficiali era peggiorato. Adesso portava come minimo taglia 64. Pensò con timore che poteva diventare sproporzionato come lui se non raggiungeva subito un compromesso con le proprie papille gustative, sempre pronte a mettersi in movimento. Magari fuori orario.

"Mangia che è roba fresca, non ti preoccupare, offro io, quando capito dalle tue parti vuol dire che ricambi con tre chilate di cannoli alla ricotta."

Si sacrificò. Dopo le prime cucchiate di panna, della dieta non gliene importava più niente. Quando assaporò la granita, pure la taglia dei pantaloni non lo riguardava più. Le brioche erano soavi e morbide, la panna leggera come nebbia all'alba. Scendevano che era un piacere.

"Che te ne pare della cara Rosina? Bella puledra, ma pericolosa. Quella un uomo se lo spolpa vivo parola mia e dacci oggi dai domani, alla fine aveva trovato il fesso che la manteneva e le permetteva di fare la vita della signora. E si che la gioia nostra ne conosce di mascoli focosi e maturi stalloni. La sai come la chiamano a Cefalù e dintorni? Rosina la potente. Ma poi trovò quello ricco e mise la testa a posto. Ci è andata male però e un poco mi fa pena."

"Spanò si può sapere che minchia ti inventi? Non fa la parrucchiera?"

"Savè svegliati... qua a Cefalù siamo, che ti pare Milano? Rosina la conoscevano tutti e tutti la evitavano. Pure i mascoli, almeno all'apparenza. L'hai vista pure tu, di fimmina fimmina si tratta, e perciò puoi immaginare. Certe cose racchie che di  fimmine non tengono manco segno, ci portavano invidia di quella nivuraÒ e ci tenevano la nomina. Rosina tirava avanti qualche mese facendo la messa in piega alle turiste, ma il resto dell'anno contemplava da dove mina il vento.

Povera figlia che doveva fare? Si passava il tempo con qualche amico generoso. Poi arrivò questo maturo lisciapelo. L'amico nostro sganciava e fotteva. Lei se lo lavorò bene per bene. L'hai vista bona no? Mi pare che un palmo d'occhi pure tu ce lo lasciasti addosso. A una femmina come quella ci vuole poco per tirare su di giri un cristiano, pure se è un poco avanti negli anni. E beneditto dio se ci sa fare...girava voce che si dovevano maritare. Nessuno qua sapeva che lui era già maritato. Te lo disse come fecero conoscenza?"

"Alla fiera. Lui ci offrì un fiore.”

"Vero è, ma ci aveva attaccato un anello da tre milioni e con l'altra mano, mentre ce lo dava, ci maniava il didietro. E Rosina, che è fimmina intelligente e capisce al volo, pigliò l'anello e sulle natiche ci portò pure l'altra mano. E ce la lasciò stare.”

 

Cacici guidava placido. L'auto filava silenziosa. Bonanno fumava. Il suo cervello, quando pensava intensamente, reclamava nicotina in abbondanza e lui si premurava di non fargliene mancare.

Girava a vuoto. Gira e rigira tornava al punto di partenza. Il quadro si complicava. Rosina non aveva motivo di mentire sul fatto che la vittima avesse parlato in famiglia della loro relazione. E quindi, se la moglie era al corrente della relazione adulterina, allora aveva mentito il figlio.

Ma in fondo queste erano e questioni di corna familiari. A lui non gliene fotteva niente, e manco ne voleva più sentire parlare. Ma perché quello era andato a farsi ammazzare proprio dalle sue parti? Non bastavano i soliti scassamento di contrabasso, pure questa ci voleva.

Ormai era andata e Bonanno non aveva il dono di riportare i morti in vita. Gli sarebbe piaciuto essere il Padreterno per un giorno solo. Eccome se lo sapeva quel che c'era da mettere a posto in quel porco mondo. Altro che orazioni e candele ardenti in chiesa con la minaccia dell'inferno...ce lo avrebbe dato seduta stante l'inferno a chi diceva lui. Pure alla sua dannata ex, che in quello stesso momento che lui si arrovellava a cercare di decifrare l'omicidio del pescivendolo, si divertiva in qualche parte del mondo col suo acrobata da quattro soldi. Bottana della miseria.

Il cinismo però non era materia con la quale Bonanno era impastato. Attizzando la centesima sigaretta, ritornò al caso. Dopo la conferma di Rosina, si andava convincendo che l'omicidio era avvenuto in zona.  Nessuno trasporta un cadavere  per centinaia di chilometri per poi scaraventarlo in una discarica. Se volevano farlo sparire avrebbero trovato altri sistemi.  

Dei ladri? Forse. La vittima era stata ripulita per bene. Ma perché portarlo fino all'immondezzaio? Qualcosa non quadrava. Qualcuno che voleva lanciare un messaggio a qualcun altro? E allora perché ripulirlo di tutto, documenti compresi?

Aveva solo una debole traccia da seguire: Da quel che aveva detto a Rosina prima di farsi ammazzare, Cannata aveva in programma un incontro con un commerciante di cereali. Visto il luogo del ritrovamento del corpo, il commerciante forse abitava nella Montanvalle. Non era granché ma pur sempre meglio di niente.

"Qui Bonanno. Centrale, mandami Steppani a rapporto. Passo."

"Ricevuto, provvediamo, passo."

La radio continuò a gracchiare. Bonanno udì la voce di Steppani.

"Steppà, parla Bonanno, devi procurarti l'elenco completo di tutti i commercianti di cereali della zona. Noi arriviamo tra due ore. Lo voglio trovare sul mio tavolo. Passo.”

"Uh, passo e chiudo.”

Steppani ce l'aveva ancora con lui. Bonanno non faticò ad intuirlo. Benedetto ragazzo. Non glielo avevano spiegato che con le auto non si scherza? Manco per idea. Quando vedeva una vettura ammattiva. Bonanno pensò che doveva essere malato. Lo immaginò al volante di una fiammante spider lungo i tornanti della Montanvalle, a dare di clacson e frantumare i limiti di velocità con le ruote che sibilavano.

Il pensiero lo fulminò improvvisò, si accese una fastidiosa lampadina che gli rovesciava all'orecchio una caterva di male parole.

"Osteria” sbottò menandosi una gran pacca sulla zucca.

"Che fu maresciallo, pigliai una scaffa?" si nformò Cacici preoccupato.

Non rispose, stava già afferrando di nuovo la radio.

"Bonanno a centrale, Steppani subito a rapporto passo."

"Ricevuto, provvedo immediato maresciallo, passo."

"E che ci pare che sono Nembo Kid? L'elenco manco l'ho cominciato a stilare...."

"Azzittisci e ascolta. Controllasti con che auto viaggiava il morto?"

“Auto? Che auto?” Mezzo secondo dopo Steppani realizzò.

"Per la miseria maresciallo.”

"Steppà impiccati e la corda che ti arrimane mettitela per fasciacollo. Scopri con quale schifio di macchina venne a farsi ammazzare e ordina controlli a tappeto in tutta la Montanvalle. Allerta magari le Stazioni e quelli della Radiomobile. Se troviamo la macchina sappiamo almeno da dove cominciare."

"Passo e chiudo maresciallo.”

Non rispose neppure. Col mozzicone che teneva in mano, Cacici lo vide accendere, un'altra sigaretta. Tossì rassegnato. Quando si arrabbiava, il maresciallo fumava il triplo.

 

 

 

VII

 

La bambina ha sciolto i capelli al vento, trotterella sul bagnasciuga. L'onda del mare le lambisce i piedi scalzi. L'acqua fresca le piace. Cammina e sorride alle barche tirate in secco. Le conchiglie portate a riva dalla marea risplendono al sole.

Ha in mano un secchiello, si china a raccogliere le più belle. Il sole si specchia sulla distesa azzurra traendone bagliori meravigliosi. Appena sotto la superficie verdazzurro, si scorgono i profili di migliaia di pesci multicolori. Guizzano veloci. La bimba li saluta con la mano. E corre con loro nelle profondità nel gigante liquido, là dove il mondo assume contorni arrotondati e i colori sfumano nel grande grigio. 

Occhi voraci la seguono da lontano. Le orbite si riempiono di rosso. Attorno una foresta di peli, lunghi, ispidi. La bava fetida cola sul collo.

La bambina ha riempito il secchiello. Con le conchiglie costruirà una cornice per impreziosire il disegno che stanno colorando in classe. Domani è la festa della mamma. Ha raffigurato la sua mamma dentro casa, davanti ai fornelli, mentre cucina la torta di ciliegie. L'osserva dalla finestra. Adornerà il quadretto con le conchiglie bianche e rosa del suo mare e glielo consegnerà con un bacio. E poi insieme stenderanno la farina sul tavolo, faranno un grande buco al centro e lo colmeranno d'acqua tiepida e impasteranno, riempiendosi le mani di pasta appiccicaticcia e dolciastra. E rideranno.

Gli occhi pelosi si sono mossi, avanzano. La bambina ha un sussulto. Sente le vampe perforarle la schiena. Non si volta nemmeno, istintivamente corre.

Le conchiglie ballano nel secchiello, molte rotolano giù, seppellite dalla sabbia, rapite dal mare. Il cuore accelera i battiti, il sangue pulsa veloce, nelle orecchie, in gola. La bambina inghiotte saliva e paura. Paura antica, di preda innocente, di sacrificio millenario. Corre a perdifiato. Scappa via, lontano dall'ombra della sua stessa vita.

Gli occhi pelosi si sono fermati. Adesso sono fessure anguste. Osservano la piccola in controluce, un puntino scuro che si sfalda in lunghi raggi obliqui. Allunga il muso come un mirino, il puntino sta tutto lì, racchiuso in pochi centimetri. Le fessure si serrano. Il puntino non c'è più. Gli occhi pelosi stanno ridendo. E aspettano.

 

                                                 * * * * * * * * * * * * * *

 

Non ci poteva pace. Gironzolava avanti e indietro dandosi mille volte dell'idiota. Non si faceva capace. Come, come aveva potuto essere così insensato? Due, dicasi due i chili presi in tre giorni e di chi era la colpa? Mannaggia a lui. E mannaggia pure al collega Spanò, sottospecie di dottor Balanzone, con la trippa a sfondare la divisa. Lui e le sue stramaledette brioches di Cefalù.

Fumava peggio di una marmitta intasata. Si levò le scarpe e risalì sulla bilancia  nascosta nell'armadietto. Niente, la lancetta implacabile segnava lo stesso peso di prima, forse qualche etto in meno, ma pur sempre una stazza considerevole di oltre 90 chilogrammi per un rinoceronte di un metro e settantacinque scarsi.

Mannaggia a lui. Da oggi stesso dieta rigida, pane e acqua. Forse qualche frutta. E il caffè amaro. Solo mezzo cucchiaino di dolcificante. Pasta e pane manco a parlarne. Eliminati del tutto. Pure quelli integrali? Magari quelli...per ora. Mannaggia.

Cacici bussò. Gli rispose un "avanti" da far paura.

"Maresciallo è arrivato questo fonogramma.”

"Cosa importante ci rappresenta?"

"Non sapessi."

"Leggi Cacì. Questo lo sapessi fare?"

"Comandi maresciallo. Ecco qua. Ce lo manda il sindaco. Pare arrabbiato, anzi se permette è proprio inzabbubulato. Sentisse quello che ci manda a dire. Ce lo leggo. Al comandante della Compagnia di Villabosco e per conoscenza a sua Eccellenza il Prefetto di Caltanissetta.

Io sottoscritto Totino Prestoscendo, sindaco di Villabosco, non riuscendo a mettermi in contatto coi responsabili dell'ordine pubblico locale, al fine di meglio chiarire gli estremi della chiusura a tempo indeterminato della discarica di contrada Raffello, con la presente, vestendomi dell'autorità di Ufficiale di Governo che la carica elettiva di sindaco conferitami dalla cittadinanza compendia, convoco per questo pomeriggio alle ore 16 presso la Sala Giunta del municipio, la SS.LL. al fine di trovare immediata risoluzione al problema che, se dovesse perdurare, con l'avvento della stagione estiva, comporterebbe serissimi problemi di igiene e di ordine pubblico. Firmato il sindaco di Villabosco Totino Prestoscendo.

Cacici espose tutto d'un fiato il fonogramma. Terminata la lettura, porse il foglio spiegazzato al maresciallo.

"Ci dobbiamo rispondere qualche cosa?"

"Cacì tieni un fazzoletto a portata di mano?"

"Ci serve a lei? Ce lo procuro subito.”

"Non mi serve personale, tu ce l'hai o no?"

"Come no, lo tengo proprio nella tasca di dietro." Cacici tirò fuori una confezione di fazzolettini di carta.

"Pigliane uno Cacì.”

"Ecco qua. Tiene urgenza? Ci abbisogna per subito?"

"Cacì non mi abbisogna. Allargalo per favore.”

"Così?"

"Bravo. E ora avvicinalo al naso e soffia forte."

"Marescià io non devo soffiarmi propriamente niente, respiro che è una bellezza."

"Cacì li vedi questi binari? Significa che qua comando io e se ti dico di soffiare tu soffi, magari se il naso ce l'hai pulito come il culetto d'un marmocchio dopo il bagno e la strofinata finale di borotalco da parte di mammà. Chiaro il concetto?"

"Frrrrrrrrrrrr"

"Più forte Cacì, non sento bene."

"FRRRRRRRRRRRRRR"

"Ora si ragiona e finiscila di soffiare. Visto che abbiamo concluso, impacchetta tutto e mandalo al sindaco, con tanti saluti da parte mia. E non ti azzardare più a scocciarmi per queste minchiate."

Cacici lo fronteggiò giusto un attimo. Quello che lesse negli occhi di Bonanno gli consigliò di defilarsi lesto. Se ne uscì con la testa fumante e gli occhi lacrimosi per lo sforzo.

"Steppaniiiiii.”

"Hanno aperto una pescheria in zona o sono le orecchie a fischiarmi?"

Bonanno non raccolse. Era troppo infuriato per litigare con Steppani, avrebbe finito col fargli male sul serio.

"Lavoro per il tuo talento di scrivano. Informa la magistratura che la discarica di contrada Raffello a parere nostro è fuorilegge: sorge a ridosso di un insediamento archeologico e il percolato raggiunge i terreni a valle, tutti coltivati a frumento e pomodori. Per non parlare dello smaltimento dei rifiuti che avviene a mezzo distruzione previo incendio. Chiedi un ordinanza di sequestro a tempo indeterminato.

Ah, già che ci siamo, denunciamo il sindaco per mancato adeguamento della discarica ed inquinamento ambientale."

Steppani mostrò l’occhio interrogativo. Bonanno accese un'altra sigaretta. Steppani s'avvide della bilancia occultata nell'armadio e capì che non era giornata. Provò lo stesso a rovinarsi.

"E se aspettassimo il capitano prima di procedere? Forse sarebbe me..."

La sigaretta fumante gli passò a pochi centimetri dalla folta criniera.

"Inoltro subito l'istanza al dottor Panzavecchia."

 

Che non era giornata Bonanno l'aveva capito di buon'ora. Vanessa, con un occhio leggermente scuro e la guancia tumefatta, non gli rivolgeva la parola da due giorni. Sua madre lo squadrava con aria da rimprovero, come se quando lui era stato piccolo e pestifero, non gliele avesse suonate di santa ragione, utilizzando il battipanni a mo' di ventilatore. Ricordava ancora come gli fiammeggiava il fondoschiena quando la madre lo pettinava col battipanni di legno. Ora però, si era coalizzata con Vanessa. Cose da raccontarle al prete in confessione.

Aveva trangugiato in fretta il caffè che gli fece venire l'acidità di stomaco ed era uscito di casa senza salutare. A naso sentiva che se sbirciava l'oroscopo, sarebbe stato peggio, e perciò decise di evitare quella consuetudine mattutina.

Arrivato in caserma il piantone in servizio, un novizio romano che ancor non sapeva quanto pericoloso fosse avvicinarsi al maresciallo quando fumava in quel modo, con sorriso ruffiano gli lesse ad alta voce l'oroscopo. E il cielo che a stento ancora non si era abbattuto su Bonanno, si schiantò di colpo. Se gli occhi del maresciallo fossero state pistole, del piantone non sarebbe rimasta che carne maciullata. Il malcapitato se la cavò col quotidiano sequestrato e un cazziatone da levare il pelo.

"Evitate di mettervi in contrapposizione, non capirebbero le vostre ragioni e sareste strapazzati. Non date ragione a una persona che fa di tutto per apparirvi nella luce migliore." Una volta letta la sentenza giornaliera del suo segno zodiacale, buttò il giornale nella spazzatura e decise di uscire. Doveva risolvere e subito quel dilemma che gli gravava sull'animo lacerato. Il dubbio era atroce.

Raggiunse la farmacia Cusumano. L’aggraziata struttura, da poco rimessa a nuovo, si affacciava su una delle quattro piazze di Villabosco. Il suo vecchio amico Tonio vi lavorava da vent'anni. Era il factotum del principale, l'anziano ma arzillo dottore Pietro Cusumano, vedovo e senza figli, coi nipoti attaccati dietro la porta. Non vedevano l'ora di spartirsi la torta ma di guadagnarsi il pane nella farmacia manco a parlarne.

Andò dritto al bancone.

"Tonio dove l'avete messa?"

"Saverio ti senti bono? Tieni una faccia..."

"Dimmi, dov'è per piacere.”

"Savè se non mi dici che minchia cerchi, mi spieghi come minchia faccio a dirti dov'è che è."

"La nuova bilancia elettronica, quella che pesa magari i cento grammi. Mi serve subito una consulenza professionale."

"Ho capito, siamo alle solite. Vieni, accomodati."

Le maledizioni soffocate che giunsero all'orecchio di Tonio, furono ben poca cosa rispetto a quelle che mentalmente Bonanno scagliò contro l'intero ciclo produttivo di beni alimentari. Uscì stravolto dal colloquio con la bilancia. Si avvicinò depresso al bancone.

"Il solito, Tonio."

"Ci potevo scommettere. Ecco qua, confetti alla prugna e compresse mangia e gonfi. Ti daranno il senso di sazietà per molte ore al giorno. Ma per piacere, non esagerare e assaggia qualcosa. Ricordi l'ultima volta? Dopo tre giorni ti inventasti che eri diventato sonnambulo per giustificare con tua madre l'attacco improvviso di voracità alle tre di notte. Savè ma tu veramente pretendevi che il profumo di aglio oglio e peperoncino non svegliava magari le anime dei morti?"

"U pitittu è pitittu."Ò

"E l'aglio è aglio. Perciò datti una regolata e non farmi stare in pena."

"Cambiamo discorso che è meglio per tutti."

"D'accordo Savè, che mi dici di quel morto? Come vanno le indagini? Ho saputo che era forestiero, meschino. Chi pena mi fece."

"Magari a me. Ci ruppero la testa e lo scaricarono come sacco di monnezza in mezzo alla merda. Ancora però non c'è niente. Teneva un'amica a Cefalù. Ci fotteva allegramente e pare fosse intenzionato a maritarsela. Ma teneva pure moglie e figli a Porto Empedocle. Quello che sto cercando di capire è che minchia ci faceva qua. Stiamo seguendo una pista, ma ancora siamo lontano. Tu invece che mi dici? Immagino le chiacchiere in paese.. a quest'ora ci stanno dando sotto che è un piacere."

"Lo sai com'è Savè, ognuno dice la sua, chi la vede in un modo chi in un'altra e si passano il tempo. Però c'è una voce che gira insistente."

Bonanno drizzò le orecchie. Lo sbirrume che gli scorreva nel sangue pizzicava.

"E allora?"

"Carte Savè, gioco di azzardo. Pare che in un paio di paesi qua vicino, circolano soldi a palate. E qualcuno con le carte ci ha rimesso pure la dote della moglie. Si dice che l'amico nostro, era uno di quelli che puntava forte. Forse ha perso e non ha potuto pagare. E qualcuno si pigliò qualcosa di assai più prezioso, tanto per dare l'esempio. Lo sai come funziona.”

"O magari aveva vinto e qualcuno se lo puliziò per bene."

 

Uscendo dalla farmacia Bonanno venne avvicinato da Lillo Coglio. Da quando tre anni prima, grazie al generosissimo contributo elargito dallo zio sindaco aveva pubblicato un libro di versi ermetici ed incomprensibili, in paese era diventato il poeta. Lillo Coglio, faccione da palla addobbato da pallida pappagorgia esordì: "Se permette maresciallo le dovrei parlare un minuto secondo."

"Dimmi pure giovanotto."

"Transitando sullo slargo, ho udito casualmente il senso del suo discorso col farmacista medesimo."

Bonanno fece sparire lesto il lassativo in tasca. Che schifo di paese.

"Forse posso esserle d'aiuto. Non ne sono alfin sicuro, ma mi parve di aver già scorto quell’infelice che cotale assurda morte trovò tra pattume immoto e putrida tomba al cielo levò."

Bonanno principiò a sentire le budella aggrovigliarsi.

"E quando l'avesse visto?.”

"Se non piglio abbaglio e la memoria non falla, credo il giorno innanzi l’empio misfatto."

"Cristo santo. E dov'era?.”

"In una traversa di Agrigento, osservava un negozio di scarpe. Mi trovavo nella città di Pirandello a presentare il mio ultimo libro di liriche. Come lei ben sa, io compongo. A proposito, ha letto il mio libello? Maresciallo ma dove va?"

Bonanno non rispose, mise in moto e sparì in fretta, prima che la tentazione di scendere e bucargli la pappagorgia diventasse incontrollabile.

Manco un regalo all'amante un povero cristo poteva permettersi senza che qualcuno non ci mettesse il becco.

 

Ò rimbambito

Ò rimbecillito

Ò balbettava

Ò nera

Ò L'appetito è appetito.

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Gentile lettore, se sei arrivato a leggere fino a quà,
significa che il romanzo è stato di tuo gradimento
e di questo ti sono grato.
Sono Roberto Mistretta, l’autore di “Non crescere troppo”,
e mi auguro che anche grazie al tuo aiuto, “Non crescere troppo”,
cresca molto e presto, come mi hanno augurato persone di buon cuore.
Se vuoi conoscere il seguito e il finale del romanzo puoi:
inviare una e-mail a
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oppure telefonare a Terzo Millennio Editore
(0934/595563-595558, fax 0934/595414).
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(disponibilità immediata presso La Sherlockiana di Tecla Dozio a Milano e presso la Libreria Duomo di Bologna).
Il romanzo sarà presente alla Fiera del Libro di Torino
(16-20 maggio 2002).
Se vuoi comunicare con me via e-mail l’indirizzo è il seguente:
roberto.mistretta@ediset.it
(Mussomeli, Caltanissetta, Sicilia).

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