Considerata irrinunciabile ai giorni nostri, la trazione elettrica dovette fare una lunga e difficile anticamera

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L'INTRODUZIONE DELLA TRAZIONE ELETTRICA

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   Lo sviluppo della rete minore del Lazio aveva prodotto, nel secolo XIX, due linee tranviarie ed una ferrovia: le prime collegavano Roma con Tivoli e con Marino via Portonaccio-Ciampino (entrambe gestite dalla "Società per le Tranvie e le Ferrovie Economiche di Roma, Milano, Bologna, etc", chiamata dai romani “la Belga” per via dell'origine dei proprietari: i belgi ebbero un ruolo primario e non del tutto pulito nello sviluppo delle linee secondarie, e non solo nel Lazio): la ferrovia, in sede propria, muoveva da Albano e portava a Nettuno passando per Cecchina, Campoleone e Aprilia, successivamente prolungata a Roma nel 1889 sfruttando l'itinerario della tranvia Roma-Marino nel tratto Bivio Mandrione (oggi Stazione Casilina)-Ciampino (quello stesso itinerario sul quale, nel tratto Capannelle-Tavolato, correranno in seguito i tram della STEFER per Capannelle, Genzano e Velletri). La "grande rete", volendo intendere con questa definizione le linee che ancora oggi costituiscono il sistema ferroviario delle FS, iniziata con le due linee pontificie per Frascati (1857), e Civitavecchia (1859), fu ampliata dopo la presa di Roma con le linee Viterbo-Attigliano (1886), Roma-Tivoli-Sulmona (1887), Velletri-Terracina (1892), Roma-Viterbo (1894), Capranica-Ronciglione (1894), nonché a mezzo delle successive diramazioni dalle linee principali, ovvero la Pontegalera (oggi Ponte Galeria)-Fiumicino (1878), la Palo-Ladispoli (1887), la Velletri-Segni (1892), e la connessione trasversale Sparanise-Formia del 1898: mancano nell'elenco la direttisima Roma-Napoli via Formia e la Civitavecchia-Orte, aperte all’esercizio negli anni ’20.

   Come si vede la rete ferroviaria statale era già allora quella che opera ancora oggi, salvo successivi rimaneggiamenti o chiusure che non hanno intaccato il disegno a suo tempo tracciato, ed andare oltre non era ragionevolmente possibile. Per comprendere appieno qual’era questo limite che la rete ordinaria non volle superare abbiamo già detto che non si mise mai mano alla costruzione della più volte proposta ferrovia Roma-Corese-Rieti.

   Salta immediatamente all'occhio la scarsa iniziativa privata che si riflette, del resto, sulla generale situazione dell'intera penisola italiana. La grande rete ferroviaria, ancora suddivisa nelle quattro realtà che diedero poi vita, nel 1905, alle Ferrovie dello Stato, contava su 12.643 Km di fer- rovia a doppio e semplice binario contro 3.246 Km di linee "concesse all'industria privata" e 3.595 Km di tranvie. La superiorità di queste ultime non sorprende certamente il lettore attento, dal momento che  abbiamo già detto che fu il tram a dover far fronte nell'ultimo trentennio del secolo XIX a quei precari collegamenti a scarso traffico che la ferrovia non poteva permettersi, nemmeno nella veste semplificata che era andata assumendo lungo le direttrici minori, ma desterà forse più di una sorpresa l'apprendere che gli unici collegamenti su rotaia che funzionavano con la trazione elettrica in quel periodo erano solo 507 Km di tranvie, e quasi tutte a livello urbano. Nel momento in cui l'infrastruttura ferroviaria ne avrebbe avuto maggiormente bisogno l'elettrificazione era ancora un obiettivo irraggiungibile, e non tanto per l'iniziale impreparazione quanto per una diffidenza alimentata ad arte dalle fiere battaglie degli ecologisti ante-litteram, che pure si scagliavano contro l'impatto della ferrovia su di un ambiente staticizzato da una quiete plurisecolare. Oggetto del contendere era il filo aereo di contatto, considerato inammissibile all'interno delle città, delle quali avrebbe irrimediabilmente deturpato l'estetica, ma concorrevano anche tutta una serie di problemi di carattere tecnico dal momento che l'evoluzione dei sistemi asserviti ai convogli ferroviari aveva inizialmente tenuto conto soltanto della trazione meccanica a vapore.

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   La trazione elettrica consentiva l'installazione di una potenza maggiore in presenza di una macchina ben più semplice, ed anche di massa molto minore rispetto alle pesanti loco a vapore in esercizio ed in via di sperimentazione: a circa mezzo secolo dall'esperienza del Giovi e dei suoi leggendari "mastodonti" la necessità di macchine sempre più potenti, capaci di trainare convogli che le accresciute esigenze del movimento merci e viaggiatori rendeva sempre più pesanti, indirizzò la ricerca verso una forma di trazione alternativa nel momento in cui apparvero evidenti i limiti della macchina a vapore, ma seppure apparve evidente che solo il conduttore a filo aereo di contatto avrebbe risolto i problemi la sua applicazione pratica dovette fare non poca anticamera. Oltre al conduttore aereo vennero considerati il conduttore sotterraneo, gli accumulatori e i cosiddetti plots, piastre di contatto poste a livello della sede stradale, ma si dovette anche risolvere il problema di alimentare un crescente numero di rotabili da un unico conduttore, al quale era richiesta una sempre maggiore possibità di emissione parimenti al numero delle motrici circolanti.

     
 

Le motrici 1 e 2 dell'esperimento Cattori riprese, sembrerebbe, all'interno di Villa Massani, campo di prova e rimessa di questi primi esperimenti, e la 3 sul tronco dimostrativo di Villa Borghese. Nella prima foto si nota l'impianto aereo del cosiddetto telefero, di cui si parla nella didascalia di un immagine a seguire.

 
   
     
   
     

   In “La costruzione e l’esercizio delle Tranvie” Antonio Viappiani,un autore che avremo ancora modo di incontrare in queste pagine, ricorda un primitivo esperimento della Siemens del 1881, realizzato a Parigi, attuato a mezzo di “…due conduttori formati da tubi cavi di ottone con una fenditura longitudinale che permetteva il passaggio dei conduttori flessibili della vettura trascinati da questa durante la marcia…”. Umberto Mariotti Bianchi, che cita questo esperi- mento in "Binari sulle strade intorno a Roma", si domanda - e non a torto - se sia nata da qui l'idea di chiamare cavi i conduttori a filo aereo, tra l'altro di un sistema che anticipa "in modo ingombrante" il bifilare filoviario.

   Si trattò, in ogni caso, di un sistema evidentemente di scarsa praticità, ben presto abbandonato, come anche quello che fece muovere a Roma, nel 1890, il primo tram elettrico dell’Europa continentale.

   Questo primo tentativo di trazione elettrica delle motrici  fu attuato ad opera di un certo Michelangelo Cattori, una curiosa figura di inventore del secolo XIX, che si autodefinisce capitano e inventore, collegato con un impresa di origine inglese, la "The Series Electrictal Traction Syndacate Ltd". Il sistema proposto e realizzato consisteva in un perlomeno bizzarro tentativo di superare i limiti poc'anzi citati del conduttore aereo alimentando le motrici in serie tra loro, attraverso un complicato sistema che suddivide la linea di contatto in tratte distinte e che già era stato senza successo applicato dapprima in Inghilterra - alimentando una teleferica - indi sulle linee tranviarie di Denver, nel Colorado, elettrificate con tale sistema nel 1886. La stessa società aveva impiantato una breve linea a scartamento ridotto di un metro a Northfleet (GB), linea elettrificata non a filo aereo bensì con il conduttore sistemato in un canale sistemato sotto una delle rotaie ma che ebbe sempre vita molto breve. Il promotore del "Sindacate", un certo Carl Von Buch, che si dice coinvolto in molte attività e non del tutto pulite, esportò la sua idea in Italia dopo aver visto sfumare ogni altra possibilità, affidando al capitano Cattori la promozione delle sue idee forse proprio a causa di un passato che non lo rendeva affidabile.

   Si potrebbe spiegare soltanto così il ruolo  esatto del Cattori in questo primo tentativo di trazione elettrica in Italia, tentativo che fece la fine di tutti gli altri per la complicazione intrinseca di questo perlomeno singolare sistema di alimentazione: il principio adottato era quello utilizzato negli impianti di illuminazione, dove al posto delle lampade erano le motrici ad essere collegate in serie lungo una linea di contatto suddivisa in tratte con appositi dispositivi di sezionamento azionati dal passaggio del trolley.

   Complicazione che si evince non solo dai dati tecnici, ma anche dalle spiega- zioni che lo stesso Cattori espone in una pubblicazione successiva al fallimento dell'impresa, spiegazioni che val la pena di riportare testualmente:

 

"... Veda? Se ella non si offendesse io vorrei prima di tutto fissar bene le idee su ciò che è un lavoro in derivazione, e su ciò che è un lavoro in serie. Supponga diversi molini alimentati dall'acqua di un canale a questo modo, che l'acqua del canale passi nel molino e poi dal molino si riversi in un corso sottostante. Ecco un lavoro in derivazione. Maggiore sarà il numero dei molini, e maggiore sarà la quantità d'acqua occorrente.

 

   Un lavoro in serie, invece, si può paragonare ad un piccolo corso d'acqua, che vien giù dall'alto di una ripida via. Quest'acqua passa in un primo molino collocato al posto conveniente, perché la quantità d'acqua avvalorata dall'altezza di questa prima caduta, ossia dalla pressione, sia in grado di compiere nel molino il lavoro dovuto. L'acqua del primo molino s'incanala per un secondo, che si colloca più in giù del primo, perché la stessa acqua, avvalorata dalla seconda caduta, possa compiere un secondo lavoro, e cosi via finché si hanno molini, servendosi sempre della stessa acqua.

 

   Nel caso nostro la quantità d'acqua è la quantità di corrente elettrica, e le diverse pressioni d'acqua non sono che la tensione di questa elettricità.

 

   Vuol dire che in un caso, nella derivazione la quantità di corrente che occorre sarà tanto maggiore, per quanto maggiore sarà il numero delle carrozze da far muovere, e nella serie la quantità di corrente sarà sempre la stessa, qualunque il numero delle carrozze e sarà la quantità di corrente necessaria ad una carrozza sola, questo sempre nell'ipotesi che la sezione del conduttore resti costante.

 

   Ora, lasciamo da parte ogni considerazione di fatto, che il lavoro occorrente a vincere la resistenza di un conduttore, per farvi circolare diverse quantità di corrente, è in ragione diretta del quadrato della quantità di corrente che si vuol far circolare, in modo che con la serie il lavoro che si deve compiere per questo fatto è una costante, mentre con la derivazione cresce nella ragione dei quadrati della quantità di corrente; lasciando da parte, come dicevo, ogni considerazione che si riferisce a questo fatto, che ha come effetto delle conseguenze assai notevoli, come economia di funzionamento, io vengo solo a esaminare ciò che può arrecar molestie al pubblico la trazione in derivazione, e ciò che può arrecar molestie al pubblico la trazione in serie..."

   In queste spiegazioni emerge chiara l'amarezza dell'inventore, che ha visto fallire il suo esperimento e si ostina a mantenere in esercizio le quattro motrici su un tronco dimostrativo impiantato dentro Villa Borghese (smantellato nel 1897), ma anche le complicazioni di questo sistema, laddove - come si è detto - la linea è suddivisa in tratte distinte. Su ognuna della tratte poteva essere ammessa una sola motrice alla volta, cosicché la linea di contatto non era sottoposta ad un eccessivo assorbimento, ma il punto debole era anzitutto il motore della vettura, che doveva funzionare secondo una tensione variabile entro limiti anche particolarmente distanti, e quel collegamento in serie delle motrici, nel quale lo scarrucolamento del trolley di una porta all'arresto di tutte le altre (parimenti alle luci dell'albero di natale, anch'esse alimentate con lo stesso sistema).

    Si potrebbe discutere all'infinito sui motivi che spinsero la SRTO, Società Romana Tramways Omnibus (che fu la prima grande azienda Romana dei trasporti pubblici prima della fondazione dell'ATAC nel 1909), ad accettare di elettrificare la tranvia a cavalli della via Flaminia con questo sistema. La spinta venne certo dall'assemblea degli azionisti del 1888, cui non sarà ora inutile accennare. La SRTO esponeva allora un bilancio sociale del tutto insoddisfacen- te, nel quale a fronte di un totale di 1.684.845 lire per spese complessive di esercizio, ben 1.185.254,12 lire erano per foraggiamento (652.669,68), stallag- gio (176.038,43), e ferratura (32.993,56)  dei cavalli. A fronte di un totale di 2.161.474,10 lire di proventi totali dell'esercizio si aveva un utile di 476.629,10 lire, che ci si proponeva di aumentare eliminando il pesante mantenimento dei cavalli. L'esercizio tranviario aveva già dato buoni frutti per la possibilità di trasportare fino a 50 persone con una sola vettura, ed infatti troviamo che la produttività economica del servizio era di 1,33 lire per ogni corsa di omnibus e ben 2,39 lire per ogni corsa di tram.  

   L'inaugurazione di questa prima linea, da Porta del Popolo a Ponte Milvio lungo il rettilineo della via Flaminia, destò comunque un interesse non di maniera dal momento che addirittura il Re Umberto I° volle essere  presente alla prima partenza del 6 luglio del 1890, ma come è logico aspettarsi soltanto pochi mesi dopo si tornò alla trazione a cavalli, mantenuta anche durante l'esercizio delle motrici elettriche. Questo primo esperimento favorì grandemente i nemici del filo aereo, i quali continuarono a mantenere il sopravvento anche quando fu aperta all'esercizio la tranvia Termini-San Silvestro, alimentata col sistema usuale ancor oggi adottato. Il 21 dicembre 1895, a poco più di tre mesi dall'attivazione della linea (19 settembre), la SRTO  chiese al Comune l'autorizzazione ad elettrificare le numerose linee a cavalli allora in esercizio ma l'autorizzazione non fu concessa per le pressioni degli estetisti, che fecero propendere per l'impiego di ben altri sistemi di trazione.

   L'autorizzazione alla generale applicazione del filo aereo fu data dal Ministero dei Lavori Pubblici l'11 giugno 1900 ma la sua applicazione pratica venne ostacolata con manifestazioni di piazza, più che altro guidate dalla potente lobby dei vetturini e dalle poche ditte private che ancora eserciscono linee di omnibus (che scompariranno addirittura nel 1921), additando il deturpamento dell'estetica cittadina secondo quella stessa motivazione ipocrita che spinse i cosiddetti ambientalisti di "Italia Nostra", ovviamente foraggiati, a chiedere lo smantellamento delle linee filoviarie per liberare il cielo dall'ancora più brutto (ed è anche vero), bifilare del filobus.  Prima ancora che il Sindaco di Roma, Principe Prospero Colonna, spiazzasse ogni protesta con l'abile mossa politica di affermare che il filo aereo avrebbe avuto soltanto un carattere temporaneo e sperimentale, l'affermazione definitiva del sistema fu ulteriormente ritardata da un esperimento di alimentazione a contatti superficiali, detti alla francese Plots, in quanto derivati dagli stessi identici sistemi che già erano falliti in varie città d'Europa, particolarmente a Parigi dov'erano stati ideati: con questo sistema un pattino ad azione magnetica sistemato sulla vettura alimenta il contatto superficiale al passaggio della stessa, alimentazione che viene da una cassa sotterranea, togliendo la stessa alimentazione dopo il passaggio, ma come avvenne anche altrove i plots provocarono un ecatombe di cavalli rimanendo sotto tensione o arrestarono il servizio nel momento in cui al passaggio del pattino non corrispondeva l'alimentazione del contatto.

   E' soltanto dal 27 settembre del 1902 (attivazione della trazione elettrica tra San Pietro e via dei Due Macelli), che si generalizza senza ulteriori ostacoli l'applicazione del filo aereo di contatto, ed infatti soltanto dal 1903, all'inaugurazione del primo servizio urbano della STEFER, la trazione elettrica si afferma nell'usuale sistema di alimentazione in parallelo anche a livello extraurbano e soltanto per le linee minori, dal momento che le Ferrovie dello Stato inziano questo tipo di esercizio soltanto dal 1911.

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Una realizzazione romana del Cattori: il telefero di Villa Massani, una sorta di seggiovia in cui le seggiole erano trainate, a gruppi di cinque, da una sorta di locomotive aeree, anch'esse azionate secondo il sistema di alimentazione in serie. Sullo sfondo si notano le al ture di Monte Mario.

 
   
     
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   La trazione elettrica si affermò praticamente dappertutto, forse in una misura inferiore alle aspettative, più che altro nel sistema a corrente continua ma con non rare preferenze delle FS per il più complicato sistema trifase, che richiedeva un bifilare simile a quello del filobus, inizialmente applicato più che altro sulle linee di montagna: il rapporto tra vapore ed elettricità si mantenne ancora per molti anni in favore del primo e la sua totale scomparsa risale addirittura alla fine degli anni '60, spesso sostituito dall'alimentazione diesel sulle tratte rimaste non elettrificate.

   Lungo le linee della rete minore del Lazio la trazione elettrica fu utilizzata soltanto a partire dal 1903 (la già accennata apertura all'esercizio del primo servizio urbano della STEFER che avremo modo di approfondire), ed unicamente sulle linee costruite dopo tale anno: rimase con la trazione a vapore la tranvia Roma-Tivoli mentre le FS provvidero all'elettrificazione della più parte delle proprie linee soltanto dopo il 1920. Vi fu una riluttanza generale, a livello nazionale, nei confronti dell'elettrificazione delle ferrovie economiche e delle tranvie a motivo dei costi (30.000 lire dell'epoca per Km nel 1904), ma anche per la necessità di rivedere gli atti di concessione, laddove il proprietario del suolo avrebbe certamente modificato in proprio favore gli oneri a carico dell'esercente. Si dovette inoltre tenere nel debito conto la maggiore potenza di trazione cui si è già accennato, le maggiori velocità che si ottenevano con materiale più snello e leggero rispetto ad una pesante e goffa loco a vapore, la maggiore lunghezza dei convogli ed anche il più rapido avviamento degli stessi, indubbi vantaggi che dovevano però fare i conti col diretto attraversamento che le linee del la rete minore operavano nel cuore di piccoli e grandi abitati posti lungo un itinerario che li tagliava perpendicolarmente, rasentando i marciapiedi ed interferendo direttamente con la circolazione di animali e pedoni. Le aspettative che la trazione elettrica non lasciò deluse fecero passare in secondo piano le delusioni e le deficienze che le furono perdonate ai suoi esordi, complice una iniziale impreparazione che diede quasi mano libera a chi, in buona fede o per interesse, ostacolava la sua diffusione, cosicché furono poche, e quasi di circostanza, le lamentele che salirono quando al conduttore aereo si dovettero sacrificare, tanto per fare un esempio, le chiome della splendida olmata lungo la strada che va da Ariccia a Genzano; chiome che non furono sacrificate all'ancora esistente, e stupenda, "galleria di sotto" tra Castelgandolfo e Albano, costituita da splendidi lecci e che forse lo sarebbero state (vedi la foto ad inizio pagina), se si fosse proceduto all'elettrificazione della Mandela-Subiaco, stante la necessità di ridimensionare le chiome fuori sagoma che ben si vedono nell'immagine.

 

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