Accadeva, in altre parole, che pur
essendosi presentata sulla scena come una risorsa industriale e
commerciale, la ferrovia si tradusse ben presto in un fatto sociale: della
strada ferrata se ne fece da subito un uso indiscriminato con l'unica
giustificazione dell'inesistenza di altri mezzi competitivi. Vi fu una
fretta minata dall'iniziale non consapevolezza dei formidabili sviluppi
cui la strada ferrata sarebbe andata incontro, e nell'ultimo cinquantennio
del secolo XIX si assiste ad un proliferare davvero tumultuoso dei binari:
l'industria ferroviaria inizia ben presto a guardare non soltanto agli
itinerari redditizi ma a spingersi anche verso obiettivi che potremmo
definire secondari, magari a riscoprire per il passeggero le vestigia di
un passato che si inizia a valorizzare con la rimozione di vegetazione
secolare cresciuta attorno a piccoli e grandi ruderi sperduti nelle
campagne, certamente a collegare piccoli e grandi centri abitati non
necessariamente ubicati sull'asse delle vie principali allora esistenti ma
anche, ed è forse il punto più dolente, attestandosi laddove non esiste un
centro abitato o un industria ma si tratta di destare un immenso deserto
da un torpore plurisecolare col solo fine di colonizzarlo per imprenditori
e uomini di buona volontà che verranno. |
Al proliferare delle linee ferroviarie
concorre certamente l'iniziale curiosità che caratterizza tutto quanto è
nuovo, o si presenta comunque come capace di rivoluzionare dall'oggi al
domani abitudini magari consolidate da secoli, ma gli imprenditori
dell'epoca fiutano nel nuovo mezzo un investimento capace al lungo periodo
di produrre un buon guadagno: la strada ferrata ha bisogno non soltanto
che si armi un binario e si estenda, se previsto, il conduttore aereo
dell'energia elettrica, ma anche di un terreno su cui allestire la sede
- che deve passare di proprietà all'esercente o a quest'ultimo dev'essere
concesso senza limitazioni - di muratori che costruiscano ponti e
stazioni, di minatori che scavino le gallerie, di operai generici,
manovalanza che deve attenersi alla guida scrupolosa dell'ingegnere che
ponti e gallerie viene chiamato a progettarli, dell'architetto che infonde
uno stile magari unico alle stazioni, e tutto questo movimento di uomini e
capitali promuove la nascita di numerose ditte specializzate, attira
l'attenzione di decine di investitori stranieri - qui nel Lazio
soprattutto dei belgi - ma si pone anche il problema di formare il
personale di guida e di controllo, di trovare uomini che abbiano il
"coraggio" di mettersi ai comandi di un convoglio lanciato alla "folle"
velocità di 20 o 25 Km/h o che aiutino la gente comune a prendere
confidenza col nuovo mezzo. |
Attorno alla ferrovia si sviluppa, in
altre parole, tutta un industria parallela all'impresa ferroviaria in se
stessa, perlopiù indirizzata a garantire tutta una serie di servizi e di
realizzazioni che saranno fondamentali alle grandi imprese che porteranno
alla nascita della grande rete quale quella oggi esistente e di tutta
quella serie di linee secondarie. estranee ai grandi traffici, lontane dai
principali interessi ma che si riveleranno al lungo periodo fondamentali
per lo sviluppo economico e sociale dei territori che avrebbero in seguito
costituito la regione denominata "Lazio". |
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La stazione della ferrovia
Roma-Frascati appena fuori Porta Maggiore, in un dipinto dell'epoca. |
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Nella ferrovia si ravvisa da subito una funzione sociale dove, come spesso
accade, i sentimenti e le passioni di parte, gli interessi elettorali
degli enti locali e dei Parlamentari eletti nel collegio, l'esigenza già
sottolineata di affrancare popolazioni rinchiuse nella cerchia delle
proprie mura e che magari danno uno sguardo sconsolato al panorama della
grande città visibile nel fondovalle, ne provocano un uso indiscriminato,
improprio, nella sola consapevolezza che al momento non esiste un altro
mezzo in grado di competere con le prestazioni del treno: la ferrovia,
però, è un infrastruttura costosa sia nell'impianto che nell'esercizio, e
se anche si era presentata all'inizio in forme più che elementari, la
tendenza a mantenere una parte di queste semplificazioni non incide
granché sul costo finale di realizzazione, cosi che a prescindere dalla
sua classificazione (1°, 2° o 3° ordine, complementare, secondaria,
economica, locale, minore), non si arrivò ad una grande differenziazione
dei costi mentre sull'altro fronte i ricavi direttamente provenienti
dall'esercizio avrebbero fin troppo ricalcato l'iniziale classificazione
della linea in ragione del traffico previsto e prevedibile di viaggiatori
e di merci. Ai non pochi vantaggi che questo sistema indubbiamente
introduceva, primo fra tutti la possibilità di spostare grandi masse con
un unico convoglio, non si volle affiancare un oculata programmazione nei
bilanci dei pesanti oneri che ancora oggi porta con se: ai costi di
impianto e di esercizio si affiancarono quelli altrettanto elevati per il
personale, ma la ferrovia doveva farsi carico anche dei costi di
interferenza con l'ambiente circostante, un ambiente che veniva
improvvisamente sconvolto da un torpore plurisecolare e che giustamente
richiedeva il rispetto dovuto pur facendo salvo il diritto delle
popolazioni locali ad usufruire liberamente del nuovo mezzo che il
progresso aveva loro messo a disposizione. |
Un progresso che si identificava allora proprio con la ferrovia, e questo
nonostante non pochi tecnici, come già detto, manifestavano non pochi
dubbi sull'aderenza effettiva tra le superfici metalliche delle ruote e
delle rotaie, ma le successive applicazioni dimostrarono che la forza
dell'attrito consentiva la composizione di convogli sempre più lunghi, si
che aumentava proporzionalmente il peso complessivo della massa
trasportabile. Fu allora che i costi di impianto ed esercizio delle linee
e gli oneri derivanti da quest'ultimo - pur se alti - si rivelarono
convenienti nel rapporto con le possibilità di spostamento delle persone e
delle merci. Il poter trasportare anche centinaia di tonnellate di merci,
oltre che un gran numero di persone, con un unico convoglio, con due soli
incaricati alla guida (macchinista e fuochista), e magari un capotreno per
il controllo dei titoli di viaggio, contro le numerose carrozze fino ad
allora necessarie per rifornimenti magari minori, è la caratteristica che
ancora oggi mantiene inalterata la validità del vettore ferroviario, la
sua irrinunciabilità in presenza di una pur rilevante percentuale di merci
che ancora viaggiano su strada. |
I soggetti interessati alla costruzione delle ferrovie non potevano
certamente ignorare le istanze che salivano un pò ovunque, fin dal più
piccolo paese arroccato sulle montagne, ma in assenza di qualsiasi valida
alternativa l'unica soluzione praticabile era quella di ridurre i costi di
costruzio ne ed esercizio delle linee, a mezzo di tutta una serie di
esemplificazioni rispetto alla complessità che andava assumendo la linea
destinata alle grandi comunicazioni: la prospettiva di un ricavo che
neanche al lungo termine sarebbe stato in grado di ripianare gli oneri e i
disavanzi di bilancio, unita agli ostacoli della natura, che aumentano le
spese per la necessità di ricorrere alla costruzione di ponti e gallerie,
orienta gli imprenditori dell'epoca verso una soluzione che si può
definire una via di mezzo tra la ferrovia quale oggi la conosciamo, quella
ordinaria destinata alle lunghe percorrenze, e quella economica ancor oggi
presente lungo l'asse di linee minori che vivono in gran parte di
sovvenzionamenti pubblici (ma non poche tratte della ferrovia cosiddetta
“ordinaria” sono oggi economicamente controproducenti). |
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Al suo presentarsi sulla scena il "tramway" semplifica in parte le cose,
complicandole forse soltanto nella teoria. Il tram condivide con la
ferrovia il principio di funzionamento, ma al suo esordio, e ancora per
parecchi anni a venire, il suo utilizzo fu rigorosamente limitato alla
movimentazione dei passeggeri all'interno della cinta urbana della città,
magari puntando con estrema timidezza verso il confine delle mura per
collegare le stazioni ferroviarie che sorgevano allora appena "for de
porta" come quelle della Roma-Frascati, attestata appena al di fuori di
Porta Maggiore, e della Roma-Civitavecchia, che partiva dalla primitiva
stazione di Trastevere ancora esistente in P.za Ippolito Nievo, poco oltre
Porta Portese. |
Come sia effettivamente nato il tram non è dato di sapere dal momento che
perfino l'etimologia di questa parola è tuttora incerta: un ipotesi è
quella che derivi dal nome di un tale Benjamin Outram, un tecnico
minerario che apportò numerose migliorie alle ferrovie minerarie inglesi,
che presero il nome di "Outram way", ovvero "la strada di Outram", ma c'è
anche chi sostiene che derivi dal latino "trahere" (trainare), riferito
alla trazione animale dei suoi esordi (1), italianizzato
poi dapprima come tramvai o tramvia e dopo, più correttamente, tranvai e
tranvia. Il punto di partenza è sempre lo stesso, ovvero l'impossibilità
di far muovere un veicolo su di una strada ordinaria, ed è forse dalla
intrinseca semplicità delle primissime "ferrovie" urbane, alle quali
null'altro è richiesto che una sede adatta all'impianto delle rotaie, che
nasce e si afferma la tendenza ad affidare a questo nuovo mezzo quel ruolo
di serie “C” che la ferrovia ordinaria (principale o economica che sia),
proprio non può permettersi. |
Si tratta di quelle passioni derivanti dalla finalità sociale della
ferrovia, laddove i sentimenti più nobili degenerano in atti che di nobile
spesso presentano ben poco, cosi che la politica dell'epoca (non meno
corrotta dell'attuale, benché di più facile e modesta contentatura), deve
in qualche modo coprire le forti spese che si affrontano con imprese
ferroviarie che troppo spesso non hanno alcuna evidente utilità pratica ma
servono più che altro a far vedere agli elettori che il progresso non si
ferma neanche davanti al plurisecolare isolamento caratteristico di un
epoca che si vuole superare accelerandone oltremodo i tempi. Il tram si
concretizzò nella pratica come un idea per gravare il meno che fosse
possibile sulle casse dell’erario, magari andando anche oltre la
definizione di "economiche" che si è data a tutte quel le ferrovie che la
Legge ormai già definisce "in concessione all'industria privata", quelle
che si inventano a seconda delle opportunità politico-elettorali in
dispregio a qualsivoglia previsione economica quando - è il caso della
nostra Roma-Fiuggi-Alatri-Frosinone, ancor oggi attiva nel tratto Roma
Laziali-Pantano Borghese - non è addirittura l'interesse privato di un
imprenditore a far si che una linea venga costruita anche per consentire
il trasporto di materiali prodotti lungo l'itinerario di cui si chiede la
concessione. |
La tranvia presenta inizialmente una caratteristica che lo differenzia
notevolmente dalla ferrovia economica. All'interno della città il tram
penetra profondamente in essa, arrivando anche in quelle strade dove oggi
l'impianto di un binario appare impensabile, ma nel momento in cui ardisce
superare il confine delle mura per avviarsi verso abitati prossimi alla
grande città, ancorché ancora lontani com'erano quelli attorno a Roma,
circondata nei suoi immediati dintorni da un immenso deserto, continua a
seguire la strada abbandonandola soltanto in quei tratti in cui la scarsa
aderenza del mezzo ferroviario impone l'armamento di tratti lunghi e
costosi. A differenza della ferrovia economica non ha bisogno di stazioni,
se non ai due tratti estremi della linea, si ferma dove effettivamente
serve, anche attraversando direttamente l'abitato dei paesi che incontra:
si può dire che disimpegna un servizio alla buona per utenti la cui
pazienza non è messa alla prova soltanto dalla "brevità" di un viaggio
alla "folle" - e per quei tempi lo era davvero - velocità di 20, 25 Km
orari: percorrenze di una trentina di chilometri richiedono tempi di
viaggio che variano dai 60 agli 80 minuti, un tempo che può apparire
esagerato ai nostri occhi ma che, in fondo, poco o nulla differente è con
quello dei “moderni” autobus che vanno a perdersi nel traffico delle vie
consolari che si irradiano da Roma, specie quando l'introduzione del
vapore e poi dell'elettricità rende le tranvie progressivamente più
aggressive. I limiti sono ancora più evidenti ma l'enorme vantaggio
economico che questo sistema presenta in termini di costi di costruzione e
di esercizio - addirittura un terzo della ferrovia - li fanno passare in
secondo piano ed ignorare, superando di fatto quel confine che la ferrovia
economica ancora non si permetteva di oltrepassare. |
Il Legislatore non perde tempo nello spianare la strada alle tranvie nel
momento in cui il loro campo d'azione è ormai andato oltre la cinta urbana
della città, e lo fa con tutta una serie di provvedimenti che non
comportano alcun impegno finanziario: gli esercenti non pagano l’esproprio
dei terreni necessari per l'armamento del binario e quest'ultimo deve
essere allestito in modo che non ne rimanga intralciata la circolazione
degli altri veicoli, cosicché la strada rimane tale pur in presenza di un
veicolo la cui guida è vincolata dal binario e del quale si deve tollerare
financo il movimento contromano. |
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La funzione delle tranvie e delle ferrovie economiche, indirizzate
com'erano entrambe ai collegamenti secondari lungo itinerari a scarso
traffico, vennero di fatto separate nel momento in cui entrambi i sistemi
tendono a confondersi per il vantaggio che anche le ferrovie economiche
trovano nell'installarsi sulle strade. Alle ferrovie economiche non furono
inizialmente concesse le stesse facilitazioni ora descritte, ma la legge
consentì loro di percorrere la strada a condizione che entrambe le sedi
fossero separate in soluzione di continuità da uno sbarramento concreto
quale potrebbe essere un muretto, una recinzione di tipo solido, una siepe
e via dicendo. Al contrario della tranvia, che deve lasciarne 4, la
ferrovia non può occupare la sede stradale se non lascia almeno 5 metri
alla viabilità ordinaria, ma le viene concesso di effettuare fermate
intermedie tra le stazioni, a mezzo di una semplice pensilina attrezzata
sul binario. Pur correndo lungo la strada la ferrovia ne rimane
indipendente, e pur essendo economica - ovvero semplificata nella
struttura e nell'esercizio - tale rimane con tutto ciò che ne consegue in
termini di stazioni presenziate, personale presente lungo la linea,
composizione di convogli e orari stabiliti dal concessionario, ed ancora
velocità commisurate ai mezzi di trazione salvo che nei tratti
direttamente interferenti con la viabilità coesistente. |
Questo almeno finché le solite convenienze politiche, ed anche la
riluttanza dell'infrastruttura ferroviaria ad adattarsi supinamente ad
ogni situazione, non portò col passare del tempo ad un attenuazione delle
differenze, a tutta una serie di concessioni e di provvedimenti che di
fatto consentirono anche alla ferrovia economica di fare un uso illimitato
della strada, financo all’interno dei centri abitati, perfino rinunciando
alla separazione che il primitivo ordinamento prevedeva. |
La giustificazione dell’inesistenza di altri sistemi competitivi non regge
nel momento in cui si pretende di utilizzare veri e propri convogli
ferroviari con la stessa disinvoltura con cui si incammina nella strada un
tram, ma l’accumularsi di provvedimenti legislativi spesso contraddittori,
ognuno indirizzato più ad un determinato interesse del momento che al
miglioramento della situazione al breve o lungo periodo, fa si che non
poche linee che sono in tutto e per tutto ferroviarie vengano classificate
come tranvie, al solo scopo di ottenere contributi economici più
consistenti e quelle facilitazioni cui abbiamo accennato, con l’intento
evidente di incamminarle ovunque ce ne sia un bisogno effettivo, sia esso
reale o… elettorale, di fatto facendone un uso similare a quello di un
autobus che ancora non esiste e che anche quando nascerà rimarrà a lungo
una creatura incapace di reggersi sulle proprie gambe. Anche ai treni
viene permesso di scorazzare liberamente lungo le strade, quindi,
interferendo spesso pesantemente con la coesistente circolazione stradale
a trazione animale, e non pochi incidenti vengono provocati dai cavalli
che si spaventano al passaggio dei convogli essenzialmente a causa delle
locomotive a vapore impiegate quando la trazione elettrica ancora non era
pronta, che sbuffano rumorosamente getti di vapore e incutono timore
financo negli uomini col movimento ritmico delle bielle che trasmettono il
moto alle ruote. |
Conseguenza di questa mole di contraddizioni sarà, nel Lazio, una tranvia
che tale è solo nella classificazione, incamminata perlopiù in sede
propria e con caratteristiche di tipo ferroviario (la Portonaccio-Marino),
e una ferrovia economica che non solo corre lungo le strade senza alcuna
protezione, ma effettua numerosi servizi di tipo tranviario e vede i
propri convogli passeggeri e merci - questi ultimi composti anche da più
di 15 carri – transitare come se nulla fosse all’interno dei centri
abitati (la Roma-Fiuggi-Frosinone). Lungo la Portonaccio-Marino esistono
delle vere e proprie stazioni presenziate, e le locomotive a vapore ivi
impiegate – per quel poco che è dato di sapere di questa linea – erano in
tutto e per tutto di tipo ferroviario, caratteristiche che corrispondono
ad un'altra tranvia extraurbana che fu anche la prima ad essere attivata,
quella Roma-Tivoli che con la linea per Marino condivideva un tratto in
comune di circa 3 Km lungo la via Tiburtina. Le ferrovie “vicinali” –
dizione che identificava allora la ferrovia Roma-Frosinone e diramazioni –
ebbero per contro fin dall’inizio materiale rotabile che non solo
somigliava in qualche particolare alle motrici impiegate sulle tranvie
urbane, ma di queste ultime ricalcava anche qualche caratteristica
tecnica, che veniva utilizzato indifferentemente, e spesso in composizione
al materiale appositamente costruito, lungo le tratte urbane ed
extraurbane della rete. |
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Convogli della ferrovia Roma-Fiuggi-Frosinone: una ferrovia posata
sulle strade all'interno della città e lungo le strade, senza quelle
protezioni che pure la legge prescriveva per la fer- rovia economica
installata sul corpo stradale. |
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(Collezione G.R.A.F.) |
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Prima ancora, questo inseguirsi disordinato di interessi più o meno
puliti, siano essi economici o elettorali, reali o inventati secondo
esigenze che si esauriscono nello spazio di un mattino, ritarda
notevolmente la pratica realizzazione delle linee, affidando agli archivi
una mole enorme di progetti più o meno realizzabili ma tutti destinati a
rimanere sulla carta; e mentre la grande rete ferroviaria, che costituirà
poi l’insieme delle linee oggi delle FS, è già operativa per gran parte
dell’aspetto ancora esistente nel Lazio al 1 gennaio 1900, l’iniziativa
privata alla stessa data ha prodotto ben poco. |
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Agli inizi del XX secolo la ferrovia ordinaria si era ormai avviata senza
possibilità di ripensamenti verso quelle caratteristiche di particolare
complessità che fanno alzare sempre di più l’onere economico di
costruzione ed esercizio: i treni diventano sempre più pesanti, con medie
di un centinaio di tonnellate per le locomotive e di 50 per le carrozze a
pieno carico di passeggeri e bagagli, e questo richiede anzitutto una sede
sempre più adatta a sopportare questa mole di carico, specie in presenza
di velocità che vanno via via aumentando non soltanto sui rettilinei, ma
anche in curva, dove la resistenza del binario è messa a dura prova dalla
tendenza del convoglio a seguire la bisettrice esterna della stessa.
Rotaie e traverse devono quindi adattarsi progressivamente a questo
aumento, specie quando la trazione elettrica consentirà da un giorno
all’altro di aumentare fino a valori impensabili poco tempo prima il peso
dei convogli e la velocità di marcia. L’armamento ferroviario (ovvero il
complesso delle rotaie, delle traversine e della sede che li ospita),
diventa necessariamente più costoso: se nelle sue prime applicazioni con
la trazione a cavalli la rotaia non supera i 50 Kg per metro lineare ed è
una sorta di lettera “L” rovesciata, adatta a guidare delle normali ruote
a superfice liscia per il trasporto di piccoli carichi, già dalle prime
applicazioni dell’ing.
Trevithick ha assunto la
forma tipica a fungo che oggi conosciamo, composta da una base d’appoggio,
un gambo che si restringe e quindi il fungo vero e proprio, la superficie
lungo la quale poggiano ruote di nuova concezione, con dei bordini che
premono sulle facciate interne della rotaia stessa ed impediscono lo
sviamento. |
Diventa più costosa la rotaia, il cui peso per metro lineare aumenta
sempre di più, ma anche il costo delle traverse pretrattate con vari
prodotti per impedire che il legno marcisca: a prescindere dal legno usato
non differisce di molto il grado di resistenza alla pressione esercitata
dal convoglio lanciato ad alta velocità, e troviamo già dalla fine
dell’800 traverse che non pesano meno di 60 o 70 Kg, per essere in grado
di assicurare un ancoraggio sempre più forte alle rotaie. Necessariamente
e doverosamente più complesso diventa il tracciato delle linee. Dovendosi
aumentare la velocità si supera il problema delle pendenze ricorrendo a
complesse e costose opere come le trincee (un passaggio a cielo aperto
scavato tra le asperità del terreno), le gallerie, i ponti, e già si tende
– pur non ponendosi ancora massicciamente il problema – ad evitare se
possibile i passaggi a livello, il punto critico di incontro/scontro tra
la circolazione stradale e quella ferroviaria, ricorrendo a soprapassaggi
e sottopassaggi alle strade, specie se in prossimità dei centri urbani. |
Ferrovie
economiche e tranvie extraurbane, destinate a raggiungere interessi e
località dove l’iniziativa ferroviaria pubblica non poteva arrivare,
dovevano necessariamente ricorrere ad espedienti in grado di assicurare un
risparmio effettivo, e tra i tanti quello di incamminarsi lungo il
tracciato delle strade esistenti, abbandonandole solo in quei tratti –
brevi o lunghi che siano – dove il tracciato stesso non potrebbe essere
seguito senza affrontare costi maggiori che aggirarlo. Seguire la strada
consente di diminuire notevolmente l’onere economico dell’esproprio dei
terreni nei casi previsti, spesso non necessario perché il binario va a
posarsi sulla proprietà stessa del corpo stradale, ma anche di
approfittare delle opere d’arte di cui la strada stessa è già dotata
(ponti, gallerie, etc), e senza starsi troppo a preoccupare se l’andamento
di queste ultime è tormentato come la Casilina – specie tra Cave e
Genazzano – o la Tiburtina prima della salita finale verso Tivoli. Non si
prevedono, in fondo, grosse velocità d’esercizio, un po' per i limiti dei
sistemi di trazione, inizialmente previsti a cavalli o a vapore, un po'
per l’esiguità della domanda prevista e preventivabile (valori che si
riveleranno spesso infondati), che consente di contenere fin dall’inizio
gran parte delle spese necessarie e di ricorrere all’espediente dello
scartamento ridotto, utile ad occupare meno spazio fisico, specie lungo
gli itinerari montani delle strade, ma poco adatto a sopportare velocità
di esercizio superiori ai 40 Km orari. |
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(1)
Uno studio più recente di Silvio Gavagnini sostiene che la parola tram
derivi dal sostantivo tedesco “Tromen” che “già dal secolo XVI indicava
un vagonetto da miniera circolante su tavole, che in Inghilterra fu
pronunciato “tram”, da cui la locomotiva prese poi il nome di
“tram-engine” e la strada a rotaie percorsa “tram-way” (strada del
tram, n.d.a.), parola già usata anche in america nella prima metà
dell’ottocento” - Formigari-Muscolino, “Tram e Filobus a Roma –
Storia dalle Origini”, pag. 4 |
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