MARCO PONTI, IL PATRONO DI SANTA MARADONA


Debutto da regista per l'aviglianese che scrive film e ama Zidane
Riprese a Torino, nel cast l'attore del momento: Stefano Accorsi

di Ugo Splendore
 

ARGINATA l'emozione del primo ciak, Marco Ponti si sta letteralmente impadronendo di "Santa Maradona", il film che segna il suo debutto da regista e che tiene set a Torino fino a metà giugno. Sta provando a dirigerlo, nel senso di indirizzarlo, verso il regno della qualità. Ovvero verso l'unico luogo dove un film e un regista, buoni, diventano grandi. Se "Santa Maradona" farà la grazia, avremo nell'ordine: un film al bacio con Stefano Accorsi, un regista in più che circola con licenza di stupire, un aviglianese in meno che trovi una scusa incredibile per non vedere il Palio cittadino, tipo «sono a Roma a parlare con un produttore».

Chi è Marco Ponti. Appassionato di calcio e Formula 1, viaggiatore con la testa giusta, Marco Ponti, 33 anni, era fino a ieri uno sceneggiatore. Quelli che scrivono i film e poi li propongono a produttori, attori e registi. Tra i suoi registi preferiti ci sono Jean Luc Godard, Tim Burton, Lars Von Trier, Quentin Tarantino, Emir Kusturica e Zinedine Zidane. Giocando a calcetto indossa talvolta una maglia della Lazio per fare in modo che Juan Sebastian Veron gli somigli un po'. Di attori anche se ne intende. Considera Pippo Inzaghi un rispettabile stunt-man, mentre secondo lui Stefano Accorsi e Libero De Rienzo sono i migliori giovani in circolazione. Guarda caso, li dirige nel suo film "Santa Maradona".

Laureato in semiologia, Ponti ha scritto un saggio sul cinema di Tarantino, esploso con Pulp Fiction. Nel 1996 ha frequentato alla Scuola Holden di Alessandro Baricco un corso di sceneggiatura. "Santa Maradona" nasce in quell'anno, la prima di 11 stesure. La sua insegnante Lucia Moisio gli dice: mandiamola al premio Solinas, per vincerlo. Dal Solinas gli dicono che non vince, ma si può consolare con una borsa di studio in Sardegna dove in una settimana vacanziera si impara a progettare un film. Serve.

Intanto Ponti trova un'agente, Gioia Levi, che crede ciecamente, pure lei, in quella sceneggiatura. La sottopone a diversi produttori, fino a che uno, Roberto Buttafarro della Harold, prende Ponti e gli dice: ok, facciamolo. E tu lo dirigi. Nel frattempo, il Ponti quello che Veron gli somiglia sempre più, ha vinto, con un cortometraggio dal titolo ‘Amsterdam' di cui è protagonista l'attore torinese Michele Di Mauro, un premio a St.Vincent. A una rassegna di corti, Stefano Accorsi, l'attore del momento, apprezza l'opera di Ponti e gli chiede di "mandargli qualcosa". Gli arriva questo benedetto "Santa Maradona". Per mesi non si fa vivo. «Quasi non ci credevo più - racconta Ponti - Pensavo non gli fosse piaciuta». Invece no. Proprio nel momento critico, quando il ministero cultura-spettacolo nega il contributo economico al film, Accorsi dice sì e due giorni dopo Rai Cinema apre i cordoni della borsa. "Santa Maradona" ora esiste. La Mikado, proprietaria di molte sale in Italia, entra come co-produttore e distributore. Telepiù fa un pre-acquisto dei diritti per la pay tv. Nel precipitoso vortice degli eventi, Marco Ponti si scopre regista senza quasi rendersene conto. Aspetti anni, e poi tutto scoppia in un amen.

La vita sospesa tra un ciak e l'altro

TORINESE per eccellenza, "Santa Maradona" ha fatto un blitz fuori città. Il cinema è andato al cinema, a Beinasco, nel nuovo mega-complesso del Warner Village che comprende nove sale. Qui sono state girate alcune scene in interno e anche all'esterno, di sera, tra la curiosità dei passanti e il passaggio dei curiosi. In tutto, circa nove ore di lavoro dalle 18 alle 3 di notte. 

Cronaca. Scene in interni. Una trentina di persone "circondano" regista e attori. Tecnici luci e audio, costumisti, truccatori. C'è una donna che pizzica in continuazione i boccoli neri di Anita Caprioli, vestita di semplice, di fucsia, con sopra un golfino giallo. La gonna è a fiori, scarpe color panna con i tacchi alti. Lei ha pelle candida e occhi dolci. La chiamano sotto i riflettori, un tecnico prende una specie di metro da sarto e misura la distanza tra la macchina da presa e il volto dell'attrice. C'è brusio ma niente caos. Ognuno controlla il proprio lavoro. La Caprioli ripassa le battute, sembra che attacchi bottone con il primo che le capita a tiro. Bisbiglia fino a pochi istanti dal ciak. 

Ponti dov'è. Ponti è là in mezzo, tra l'aiuto regista Fabio Tagliavia, il direttore di produzione Diego Cavallo, e Giulia Botto, coordinatrice di produzione. C'è anche Luca Bianchini, un pubblicitario aspirante romanziere che ha fatto la comparsa in uno dei primi ciak e ora continua a seguire le riprese. Non che le ostacoli, ma qui si chiedono com'è che entra dappertutto pur non c'entrando nulla con il film. Parlano di inquadrature, luci, movimenti. Cercano di ottenere il massimo dalla scena, dai dettagli. E' ora. Tutti ai posti. Tutti invocano il silenzio. Il più esigente è il fonico, che aggrotta le ciglia anche al minimo rumore proveniente da Oulx. Motore. Azione (Ponti). C'è Accorsi che corre dalla Caprioli, dialogo (uno spasso), poi entrano in una sala di proiezione. Stop. E' l'ora dei consulti. Su un mini-monitor si rivede la scena, si colgono i difetti, Ponti annuisce, Accorsi annuisce, altri annuiscono. Vuol dire che è andata bene. Infatti la rifanno altre due volte. Perfezionisti al massimo, professionisti incorreggibili. Ponti: «Sono davvero bravissimi, con uno staff così non puoi che lavorare bene». 

E quelle scarpe dove la hai prese?

«Eh?» 

Le scarpe che indossi, quelle specie di babbucce rosse, tutte Nike con la sigla SM. Dove le hai prese?

«Me la ha regalate Claudia, vengono dall'America». 

Niente, è solo che mentre i tecnici-mostri allestiscono il set da un'altra parte, qualche dialogo così ci può scappare. E' la vita che torna a defluire dove può tra i ciak, dove la realtà si sospende un attimo, due, tre. Scorre il pubblico che in coda ha atteso la fine delle riprese per accedere alla sala 2, dove danno "Il ritorno della mummia", il film su Bierhoff. A staccare i biglietti c'è una del Village. Sono tutti vestiti uguali, con una brutta, davvero brutta, tuta blu e gialla da meccanico autorizzato. Gli altri hanno fatto ripartire le casse, da dove proviene un rumore di Mc Donald e dove si comprano i pop corn a secchi, taglia da muratore. 

E' pronto un altro giro di riprese. Il tempo si sospende in quei metri di pavimento sui quali Accorsi e Caprioli si dirigono, tra qualche inconveniente, verso l'uscita. Ponti è seduto su una sedia da regista moderna, di quelle sulle quali non c'è scritto "regista" e ti vien da dire che non ci sono più i film di una volta. Nel limbo tra set e mondo reale, l'assistente alla regia tiene lontani i curiosi e zittisce gli esclamativi. Un ruolo difficile. Lei è alta e fa la cattiva. Appena ci riesce, diventa antipatica. Ponti è più simpatico, ti chiede che ne pensi della scena, certo dopo averlo domandato a tutti quelli che contano. Ma vuoi mettere, la soddisfazione. 

LA SCHEDA di SANTA MARADONA
DURATA: 1h45'
FORMATO: 1:2,35
formato speciale, molto rettangolare, usato in genere per film spettacolari
MONTAGGIO: fine luglio
USCITA: entro fine anno

Che cos'è "Santa Maradona"? Una commedia. Ha per protagonista Andrea (Stefano Accorsi), che fa il suo ingresso nel mondo degli adulti attraversando momenti belli, unici, demenziali, sconfortanti. La sua spalla è Bart, uno sboccato dalla faccia di bronzo. E che c'entra Diego Armando Maradona, e poi perché Santa? «Il titolo l'ho messo alla fine della prima stesura - spiega Ponti - ed è una bella canzone dei francesi Mano Negra (il più noto s'è staccato, è Manu Chao nda). In questa canzone si mescolano musica, cori da stadio, urla, cronache di partite di calcio. E' un modo particolare di rendere epico, mitologico, il calcio. Maradona diventa un santo protettore, uno che vegliava su Napoli e che ora non c'è più. Lo hanno chiamato Santa come per metterlo sul calendario».

E quindi? «Quindi ho trovato una somiglianza con la mia sceneggiatura, dove la vita diventa qualcosa di epico. I suoi aspetti, come l'innamorarsi di una donna o essere lasciati da lei, sono vissuti dai protagonisti in modo esagerato. Ne fanno un'esaltazione pazzesca, o una tragedia infinita...».

Ma c'è un influsso autobiografico o cosa? «Non proprio. Diciamo che i protagonisti talvolta parlano e agiscono come io avrei tanto voluto fare almeno una volta nella vita. C'è una scena in cui uno ruba un computer: certo, io non riuscirei a rubare neanche un libro al Salone del libro, ma pensa che sensazione sarebbe scappare a tutta velocità da un negozio con un computer sotto braccio. Bart, ad esempio, ha battute prontissime e faccia tosta da vendere. Andrea in un caso manda a stendere il titolare di un'azienda che lo potrebbe assumere. Pensa all'adrenalina...».

Alla fine, "Santa Maradona" è un film movimentato o scandito dal dialogo? «Io credo molto nel valore dei testi, delle parole. Mi piace il cinema americano ma non mi piacciono le americanate. Per essere spettacolari non c'è bisogno dei botti. Bastano anche solo due persone che parlano e dicono cose interessanti».

E questi attori, Stefano Accorsi, Picchio De Rienzo, Anita Caprioli, l'indiana Mandala Tayde, sono interessanti? «Io di meglio non potevo chiedere. Sul serio. Ho il migliore attore giovane italiano, che è Stefano Accorsi. Famoso, bravo e soprattutto pieno di idee. E' un piacere lavorare con lui. Rende le battute sempre migliori di quello che ti aspetti. De Rienzo è un nuovo Accorsi. In Francia è più conosciuto che in Italia, ma fra un anno garantisco che tutti faranno a gara per averlo. E' un fenomeno. Anita Caprioli è un'attrice molto brava, anzi bravissima. Mi piace come interpreta il personaggio che lo ho affidato. Mandala Tayde mi ha colpito in un provino. Nel suo ruolo inizialmente vedevo una cinese, lei mi ha fatto cambiare idea».

Che cosa si prova a gestire non solo attori, ma anche miliardi? «Strana».

Potevi andare a girare questo film dove volevi. Perché hai scelto Torino? «Per affetto, per orgoglio e anche perché Torino offre spazi gratuiti a chi fa film».

Andiamo avanti alla Marzullo o alla Bart? «Fa lo stesso»

In Santa Maradona faresti recitare una squadra di pallone intera? «Sì, ma l'hanno sciolta. E' la Danimarca che ha vinto gli Europei nel '92. Quelli sì che hanno fatto qualcosa di epico, da film. Erano già tutti al mare quando li hanno chiamati a sostituire la Jugoslavia. Ma sì, andiamo a giocare a pallone. E hanno vinto. Intanto Sacchi faceva miliardi, ritiri e schemi».

Il tuo film preferito? «Pierrot le fou. Di Godard».

Un film che ti è piaciuto di recente? «Le fate ignoranti. Gran bel film».

Per Santa vi servono comparse? «Non più».

Ti intendi di cinema? «Non so. Per un po' ho scritto recensioni di film su un giornale locale di Avigliana. Mi davano 7mila lire ad articolo, ne spendevo 12 per andare a vedere i film...».

Però ti sei divertito, specie quando il titolare del cinema di Bussoleno ti è venuto a cercare perché avevi sconsigliato di brutto il film che davano da lui. «Ricordo, vagamente».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

luna nuova n. 40 venerdì 25 maggio 2001

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