Marco Ponti: Larger than life
di Marco Spagnoli

Santa Maradona è un titolo tratto da una canzone di Manu Chao. E' anche vero, però, che tutte le persone appartenenti ad una generazione hanno considerato Diego Armando Maradona qualcosa di più. Qual è per lei la fascinazione esercitata da questo calciatore?
Per chi come me si è affacciato al mondo del calcio e delle telecronache proprio negli anni in cui il Napoli era in testa alla serie Maradona  rappresenta una figura di grandissima importanza per due ordini di motivi: innanzitutto perché Maradona ha fatto vedere cose fuori dalla norma aprendo l’immaginario di tante persone che sono rimaste affascinate dal suo modo di giocare geniale e incontenibile. Poi, perché oggi è diventato l’icona di un  modo abbastanza unico di essere ribelli di essere ribelli, lontano dalle logiche che - alla fine - l’hanno schiacciato costringendolo a seguire una parabola discendente dai toni tragici. 
In questo senso i personaggi del mio film hanno una grande connessione con Maradona: non hanno certamente il suo talento e sono molto normali, ma anche loro sono dei ribelli che - in qualche maniera - combattono una battaglia perduta che potrebbe arrivare a schiacciarli.
Ma - come insegna il finale di Butch Cassidy non è detto che una battaglia persa dalll'inizio non valga la pena di essere combattuta fino in fondo, comunque. 

Lei esordisce alla regia dirigendo uno Stefano Accorsi diventato da poco l'attore di riferimento del cinema italiano visto anche il grandissimo successo di pellicole come Le fate ignoranti e L'ultimo bacio. Si è sentito intimorito?
No, affatto. Stefano è una persona meravigliosa dall'enorme disponibilità. Un professionista che sul set è e resta una persona come tutti gli altri.
Del resto - se mi fossi lasciato influenzare - sarei rimasto travolto. Era tutto nuovo per me a partire dalla macchina da presa fino ad arrivare alla responsabilità di una troupe di -sessanta elementi.
Con gli attori è stato molto importante lavorare prima, e guadagnarsi la fiducia e la stima reciproca durante le prove.

Chi sono i protagonisti di Santa Maradona?
Persone normali come me. Che si possono incontrare ovunque mentre vivono storie quotidiane. L'idea alla base del film è quella di raccontare la quotidianità in maniera spettacolare, come fa il cinema americano.

Dopo L'ultimo bacio, Santa Maradona è un'altra commedia generazionale?
Non credo di essere capace di generazione e - forse - non mi interessa nemmeno. I miei sono quattro personaggi ben precisi. Normali e con molti difetti. Le loro vicende, però, restano personali e ben definite.

Qual è il fascino discreto della normalità?
Ho sempre nutrito una grande passione per la Nouvelle Vague. I registi appartenenti a quel movimento artistico come Truffaut, Godard e Rohmer raccontavano una realtà immediata per la quale non c'è bisogno di un sovraccarico spettacolare.
Quando vedo film d'azione e carichi di effetti speciali mi diverto da matti, ma non servono tali artifici per raccontare persone che vivono un certo tipo di esperienze. Quello che loro hanno dentro è sufficientemente interessante.

Il cinema americano indipendente negli ultimi anni ci ha mostrato più volte film capolavoro su un certo tipo di normalità: Happiness di Todd Solondz, Getting to know you delle sorelle Skyler, Conta su di me di Kenneth Lonergan. Si sente influenzato da questo tipo di pellicole?
Sì, ma non solo da questi titoli. Il Jim Jarmusch di Stranger than paradise e Ghost dog, le suggestioni del Kevin Smith di In cerca di Amy e Clerks costituiscono tutti elementi che mi hanno influenzato moltissimo. Ricordo che James Cameron - dopo Titanic - aveva dichiarato: "sono talmente stanco che giuro di girare il prossimo solo con due persone in una stanza. 
Forse era solo una boutade a giudicare dalle voci che vogliono Cameron come regista di un documentario sulla stazione spaziale internazionale. Eppure io mi sono chiesto: come girerebbe davvero una storia del genere e tanto minimalista James Cameron.
La mia idea è stata quella di proporre al pubblico un impatto visivo immediato. Abbiamo usato un po' i colori dei film in Peplum degli anni Sessanta, sfruttando il formato panoramico per la fotografia. Tutto questo accompagnandolo con musica House e inquadrature particolari.
Se appartengo a qualcosa ? Al cinema italiano? Non lo so. Lo conosco poco e solo da spettatore. Preferisco sentirmi parte di un cinema più ampio, volto a raccontare la realtà più grande della vita. Come dicono gli americani Larger than life con una spettacolarizzazione e un ritmo diverso per descrivere la normalità dell'esistenza. Agli americani riesce molto bene, forse anche perché questo concetto espresso in inglese suona molto meglio.

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