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Com'è stata la tua adolescenza? |
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E'
stato un bel periodo, poi come penso tutte le adolescenze un periodo molto
forte: momenti molto belli che si alternavano a momenti brutti.
Ricordo molto bene le estati perché i miei genitori avevano un bar al mare ed io ci trascorrevo i tre mesi delle vacanze, conoscendo un sacco di ragazzi, con cui uscivo spesso dopo il lavoro. Questo, oltre a piacermi molto, mi dava l'opportunità di vivere abbastanza allo stato brado anche se con regole date dal lavoro. In ogni caso i miei mi hanno sempre dato molta autonomia e fiducia. Era traumatizzante il rientro al liceo a settembre, che ricordo sempre come un periodo triste! |
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Che ricordo hai degli anni della scuola e dei tuoi compagni di classe? |
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Alle
elementari e alle medie ho avuto un amico caro col quale ho fatto tutto
fino alla seconda superiore quando sono stato maledettamente bocciato!
Dopodiché, nonostante fossimo rimasti amici perché facevamo
lo stesso sport ed avevamo le stesse frequentazioni, ci siamo persi di
vista per una questione di interessi. Più vado avanti più
penso che siano proprio gli interessi e certe affinità ad unire
le persone. Ho un carissimo amico di Bologna, da quando sono stato bocciato,
che continuo a vedere sempre: o vado io a Bologna, oppure lui spesso viene
a trovarmi. Ho un ricordo soprattutto legato alle persone, non ho un gran
bel ricordo della formazione scolastica che ho avuto, sia perché
io ero piuttosto provocatorio, sia perché... non lo so, c'era troppo
contrasto fra l'estate dove c'era un modo di apprendere molto più
concreto, cioè da persone più grandi di me che vedevo come
vivevano la vita e provavo le esperienze sulla mia pelle, piuttosto che
questa scuola molto molto teorica... un po' disperante. Ne ho trovati pochissimi
di insegnanti bravi, cioè di quelli che riescono a farti dire "Questa
materia ha degli aspetti per i quali anche tu ti puoi appassionare", perché
è quella alla fine il grande motore, la passione, sia nella vita
privata, l'amore, ma anche nel lavoro, in quello che uno fa, qualunque
cosa. Per la passione vai, sei curioso, vuoi sapere, ti diverte, e questa
cosa in pochi sono riusciti a trasmettemela.
Quindi non ho un gran bel ricordo del liceo in sè ma ho un bel ricordo di alcune persone, sia studenti che alcuni professori. |
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A che età hai capito che il lavoro che volevi intraprendere era quello dell'attore? |
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Ma
guarda, io penso di averlo sempre saputo, cioè lo volevo fare fin
da piccolo perché amavo il cinema in un modo incredibile nel senso
che piangevo se i miei non mi ci portavano. E identificavo il cinema con
gli attori.
Poi è andata bene che nella pratica ho riscontrato che mi piaceva anche farlo questo mestiere: più vado avanti e più mi diverte farlo. Quindi l'ho sempre saputo e poi incoscientemente mi sono lanciato in questa carriera, perché ci vuole dell'incoscienza penso a lanciarsi in una cosa così, ma come anche in tante altre cose. E poi è andata bene, insomma. |
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Questa decisione come è stata presa in famiglia? |
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I
miei, come dicevo prima, hanno sempre avuto una grande fiducia in me e
questo mi è sempre servito molto, perché io penso poi che
la famiglia, per quanto mi riguarda, è uno di quei punti di riferimento
importanti.
Quindi mi hanno detto "Va bene, se vuoi provare prova, però tienti come chance l'università, iscriviti all'università, perché se per caso non ti dovesse piacere la scuola di teatro o vedi che non fa per te, hai un'altra possibilità senza perdere tempo". Mi hanno sempre appoggiato, spalleggiato. Devo dire che anche in questo ho vissuto una situazione fortunata, perché ho degli amici che hanno fatto per esempio la scuola di teatro con me, che solo perché facevano questa scuola erano considerati la pecora nera della famiglia, quindi: tolto il saluto, tolto il supporto economico, tolto qualunque tipo di aiuto concreto e morale, ti perdi un po' d'animo. |
C'è stata una persona o un momento preciso che ritieni sia stato molto importante per la tua carriera? | |
Il
primo momento importante è stato quando sono andato alla scuola
di teatro per iscrivermi, e poi quando m'ha scelto Pupi Avati per "Fratelli
e sorelle". Infatti la scuola di teatro che ho fatto e nella quale mi sono
trovato benissimo, quando la osservi dall'esterno vedi tanti ragazzi che,
come me allora, pensano che fare questo mestiere sia una cosa astratta,
quindi l'impostazione della voce, del corpo... ma era tutto ciò
che proprio non mi interessava. Perciò, quando sono andato a fare
il provino, ho pensato "Ti prego, Pupi Avati, portami via da tutto ciò!"
e così è stato.
Questo è stato per cominciare e poi dopo la mia carriera si è evoluta ad altri livelli, per esempio con "Radiofreccia" che è stato un film molto importante perché bellissimo da fare e per il successo di pubblico e di critica che ha avuto. Sono queste le cose che ti danno fiducia. In quegli anni, poi, i film italiani andavano TUTTI male tranne i comici e Salvatores piuttosto che Benigni o Moretti. Tutto ciò che c'era intorno non esisteva. E devo dire che anche quest'ultimo anno mi ha dato una grande carica grazie al fatto che "L'ultimo bacio" sia andato bene, insieme a "Le fate ignoranti", "La stanza del figlio", ma anche altri film che non ho fatto come "I cento passi" e "Pane e tulipani". Si sente che il cinema italiano comincia a dire "Facciamo le cose in un certo modo" e la gente è molto ben disposta verso di lui. |
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Come ti ricordi il tuo primo giorno su un set? | |
Il mio primo giorno sul set è stato sul film di Pupi Avati: ero eccitatissimo. Sono andato sul set il primo giorno di riprese, e non lavoravo io: ero molto eccitato, molto molto eccitato. Poi Pupi Avati è una persona di grande carisma e quindi una persona che crea una tale magia intorno a sè e alle cose che fa, che tutto ha un alone molto particolare. Ma ho avuto anche la sensazione di un posto dove convivono situazioni diversissime: l'attore che recita, il regista che lo dirige, ma anche il macchinista che ha altre cose sue per la testa. Non lo so, mi sembrava... un mondo comunque molto eccitante. Ho questo ricordo bello, elettrizzante. | |
C'è un personaggio in particolare, tra quelli che hai interpretato, che senti più vicino a te? | |
Devo
dire che, per esempio quando ho fatto Jack Frusciante, avevo letto il romanzo
e mi c'ero molto rivisto, ma secondo me per una qualità proprio
intrinseca, nel senso che era un grande romanzo e riusciva a trasmettere
delle cose che riguardavano l'adolescenza anche a persone che non erano
più adolescenti. Quindi quello m'è piaciuto molto.
Però per esempio ne "L'ultimo bacio", o anche ne "Le fate ignoranti", ma in particolare nel primo, ho interpretato un personaggio che mostra anche dei lati deboli, forse anche delle meschinità, degli atteggiamenti non eroici, e questa cosa mi è piaciuta molto. Questo perché in entrambi i film i personaggi che interpreto mostrano i loro lati deboli e anche quello che è il proprio "lato più oscuro", che per tanto tempo anche a livello culturale secondo il mio parere in Italia si è un po' cercato di nascondere. C'era soltanto il bello, il buono, se non ti comportavi in un certo modo non eri buono... e invece no, esiste tutta la persona fatta del bene e del male, ed è bello mostrarne tutti gli aspetti perché penso che ami di più un personaggio. Quindi posso dire che mi sento molto vicino al mio personaggio de "L'ultimo bacio" perché è stato forse il mio primo vero ruolo che mostra anche degli aspetti meno nobili dell'animo, e questa cosa mi piace tantissimo. |
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Le parole globalizzazione e pena di morte a cosa ti fanno pensare? | |
Allora,
partiamo dalla pena di morte. Sono contrario alla pena di morte, assolutamente
contrario perché penso che, così come nessuna persona possa
decidere di togliere la vita ad un'altra... è una cosa troppo
alta poter disporre della vita di un uomo. Mi fa pensare anche un po' alla
situazione delle carceri che, oggi come oggi, sono dei luoghi dove vengono
tenute persone che hanno sbagliato, ma allo stesso tempo non viene fatto
assolutamente nulla per far sì che possano riabilitarsi in qualche
modo. Il carcere è profondamente decostruttivo, cioè ti spezzano
per far sì che tu poi tenga la testa bassa, non cercano di rieducare.
Quindi sono contro la pena di morte e sono contro un sistema carcerario
che è profondamente sbagliato. Certo io non ho la ricetta, però
penso che si potrebbe e si dovrebbe fare qualcosa per migliorare la situazione.
Per la pena di morte sono e sarò sempre contrario.
Per quanto riguarda la parola "globalizzazione" può avere più significati. Se la prendo dal punto di vista positivo è quella per cui ci si può confrontare molto più rapidamente con culture che sono molto distanti dalla nostra. Non mi piace quando è vissuta in modo un po' superficiale, per esempio "la generazione di Internet", eccetera eccetera. Non siamo tutti uguali, anzi è bello che possano essere messe insieme cose diverse. E poi c'è questa logica imperante delle multinazionali per cui globalizzazione ha un'accezione profondamente negativa. Viene presa quasi come un paravento, quando sono soltanto i paesi ricchi che godono di certi benefici a discapito di quelli poveri, pensando selvaggiamente solo ai propri interessi. Globalizzazione dovrebbe avvicinare le "diversità", non allontanarle. Dire "Sono globalizzato anch'io perché ho il mio computer e navigo su Internet" non vuol dire NIENTE. Si è sempre potuto fare, anche se era un po più complicato. Sono stato abbastanza confuso, credo... abbastanza globalizzato! |
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Ritieni che un attore abbia diritto ad avere una propria vita privata o come dicono molti giornalisti è il prezzo della celebrità? | |
C'è
un prezzo alla celebrità, ed è il fatto che una persona,
per esempio, va in giro per strada e -ultimamente mi succede più
spesso- viene riconosciuta. Questo fa sì che tu non viva mai, quando
sei in mezzo alla gente, in una tua atmosfera completamente intima, ma
ti senti sempre osservato.
Non trovo assolutamente, come dicono molti giornalisti che sia il prezzo da pagare. C'è prezzo e prezzo infatti, quando cominciano a chiederti informazioni sulla tua vita privata ossia sulle tue storie d'amore e su fatti personali, lo trovo profondamente scorretto. E' un giornalismo proprio da sbarco. Io faccio questo mestiere: se divento famoso già pago un prezzo perché, per esempio, non posso andarmene tranquillamente ad un concerto o dedicarmi a cose che prima potevo fare. Non vedo perché dovrei anche mettermi a parlare della mia vita privata. Penso assolutamente che le due cose vadano distinte. Però alcuni giornalisti cosa fanno? C'è un sistema piuttosto "mafioso". Piccoli "ricatti", nel senso: "Non vuoi fare un'intervista su queste cose? Bene, noi pubblichiamo lo stesso un pezzo, con delle parti di interviste che tu hai già rilasciato, e se non accetti noi lo pubblichiamo dandogli delle sfumature negative". Questa è una cosa che trovo scorretta e controproducente perché io con quel giornalista non ci parlerò mai più in tutta la mia vita, mentre apprezzo un giornalista serio, che fa il suo mestiere, e che ti può fare anche una domanda sul privato a cui si può anche rispondere, perché c'è modo e modo di entrare nel privato. Quella persona fa un lavoro serio, cioè fa un lavoro tenendo fede a certi principi etici. In conclusione credo che le due cose vadano divise, totalmente divise, perché se no non si vive più: l'alimento fondamentale del proprio lavoro e della propria esistenza rimane quello che viene dalla vita privata, altrimenti si è solo una figura pubblica in balia degli eventi, in balia di tutto e di tutti e non si vive più... e questo non ha senso. |
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